Nel corso della ottantatreesima udienza del procedimento sulla gestione dei fondi della Santa Sede, nell’aula polifunzionale del Musei Vaticani, le conclusioni delle difese del cardinale, già sostituto della Segreteria di Stato e dell’ex funzionario dell’Ufficio amministrativo. Chiesta per entrambi l’assoluzione. Lunedì e martedì le repliche di accusa, parti civili e difensori, ed entro la settimana la sentenza
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“Un teorema per coinvolgere il cardinale Becciu” in una gestione degli investimenti della Segreteria di Stato che era responsabilità del capo dell’Ufficio amministrativo, monsignor Perlasca, passato da indagato a “testimone chiave” dopo la consegna di un memoriale accusatorio verso il porporato suo superiore. Una “colossale illusione ottica” escogitata dal broker Torzi, “un pifferaio” per dare responsabilità decisorie ad un minutante come Tirabassi, solo funzionario dello stesso Ufficio Amministrativo, e nascondere la truffa e l’inganno ai danni dello stesso Tirabassi e della Segreteria di Stato. Così le difese del cardinale Giovanni Angelo Becciu e di Fabrizio Tirabassi, imputati nel processo sulla gestione dei fondi della Santa Sede, hanno cercato di smontare le accuse dell’Ufficio del Promotore di giustizia Alessandro Diddi, chiedendo l’assoluzione da ogni capo d’imputazione per i propri assistiti.
Le conclusioni della difesa del cardinale Becciu
Ad aprire l’udienza numero 83 del procedimento avviato nel luglio del 2021, l’avvocato Fabio Viglione, legale del cardinale Becciu, che in meno di un’ora, nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani, ha concluso l’intervento iniziato il 22 novembre con la collega Maria Concetta Marzo. Il difensore ha ribadito le “evidenti contraddizioni dell’accusa, e il pregiudizio verso Becciu, misurato su fatti documentati” rispetto ai quali “alla luce di quanto abbiamo ricostruito, il suo coinvolgimento è totalmente ingiustificato”.
Il “teorema” dell’accusa basato sul memoriale di Perlasca
Viglione ha contestato la mancanza di logica nell’accusa: “per quale motivo – si è chiesto – il cardinale avrebbe dovuto consciamente violare la legge e consentire a persone sconosciute di guadagnare ai danni della Segreteria di Stato?”. A Becciu il promotore di Giustizia ha contestato i reati di abuso d’ufficio, peculato e subornazione, chiedendo al Tribunale una pena di sette anni e tre mesi di reclusione, oltre a 10.329 euro di multa e l’interdizione perpetua dai pubblici uffici. Il legale ha parlato di “ottusa ricostruzione” dei fatti, basata sulle parole di monsignor Alberto Perlasca “portatore sano di malafede, che dovrebbe essere il primo a conoscere gli investimenti realizzati”.
Il dibattimento e la versione di Perlasca
Per la difesa di Becciu, il suo successore nell’incarico di sostituto, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, nella sua testimonianza in aula, “ci ha fatto un quadro ben definito su chi prendeva le decisioni dopo l’istruttoria degli investimenti”. Per questo, ha ribadito Viglione “è inconcepibile, rispetto ai dati che ci offre il processo, riconoscere una responsabilità del cardinal Becciu per questi investimenti”. La genesi del teorema, per il legale del porporato, è nell’interrogatorio di Perlasca del 29 aprile del 2020, con l’invito del promotore: “Le diamo un secondo tempo”. La versione dell’ex capo dell’Ufficio amministrativo della Segreteria di Stato, per Viglione, “non è stata rafforzata dall’esito del dibattimento, anche se così dice il Promotore di giustizia nella requisitoria”.
Il ruolo delle testimoni Ciferri e Chaouqui
Le ricostruzioni sarebbero, per la sua difesa, “tutte volte all’obiettivo di colpire il cardinale, portato come salvacondotto per Perlasca da chi ha ispirato il memoriale del 31 agosto 2020”. Un atto di accusa nei confronti di Becciu, che “entra a sostituire come per un illusionismo monsignor Perlasca”. Un memoriale “a più mani, con illazioni e sospetti, cose dette e non dette”, che sarebbe stato dettato al monsignore dall’amica Genoveffa Ciferri, e a questa suggerito dalla pr Francesca Immacolata Chaouqui, nelle vesti di un fantomatico “anziano magistrato”. Viglione ha contestato anche le accuse per i finanziamenti alla Caritas di Ozieri, “sparite dalla requisitoria”, e per quelli alla cooperativa gestita dal fratello del cardinale, Tonino, che aveva la fiducia dell’ ex vescovo di Ozieri Sanguinetti.
I finanziamenti alla diocesi di Ozieri
Il legale di Becciu ha spiegato poi di aver provato che i 25 mila euro di finanziamenti sono stati utilizzati per far ripartire il panificio della cooperativa, distrutto da un incendio, che oggi continua a dare lavoro a centinaia di persone. Gli altri 100 mila euro contestati al cardinale, sono stati chiesti dal vescovo Melis per il progetto della “Cittadella della Carità”, dedicata agli ultimi di Ozieri. Perlasca stesso, in aula, ha ricordato di averli versati alla Caritas, “anche se il procuratore continuava a chiedergli se li aveva dati alla cooperativa del fratello del cardinale”.
Chiesta l’assoluzione con la formula più ampia
Nelle conclusioni, la legale Marzo ha evidenziato “l’enorme sofferenza che le accuse hanno provocato al cardinale Becciu come uomo e sacerdote, nonostante la sua totale innocenza”. Le prove esibite nel dibattimento avrebbero “dimostrato la più totale innocenza del cardinale da ogni reato contestato”. Per questo ha chiesto “l’assoluzione con la formula più ampia possibile, per restituire al cardinale la sua dignità personale”.
Tirabassi solo esecutore delle decisioni di Perlasca
Per difendere la posizione di Fabrizio Tirabassi, accusato di peculato e peculato aggravato, abuso d’ufficio aggravato, corruzione e corruzione aggravata, riciclaggio-autoriciclaggio, truffa aggravata, estorsione aggravata e abuso d’ufficio, è intervenuto poi, per più di 5 ore, il suo legale Massimo Bassi, dopo l’arringa di Cataldo Intrieri del 19 ottobre. Il difensore ha sottolineato che monsignor Perlasca era “il reale responsabile dell’Ufficio”, non “quell’analfabeta della finanza che ha voluto mostrare di essere”, “debole, confuso”. Esercitava il potere con “il pugno di ferro”, ha proseguito “si alterava e commetteva intemperanze nei confronti dei dipendenti”. E quindi Tirabassi è stato sempre e soltanto un esecutore di incarichi, senza nessun potere decisorio o di firma. “In aula ci è venuto a dire – è stato ricordato – ‘all’inferiore (i dipendenti) spetta obbedire: noi siamo stati abituati a questa scuola’”.
L’utilizzo dell’Obolo di san Pietro
Bassi ha parlato ancora degli accordi e dei contratti di Londra per l’acquisto del palazzo di Sloane Avenue e dell’Obolo di San Pietro. “Non è stato possibile dimostrare che sia stato usato per questi investimenti – è stato detto – senza considerare il fatto che non era sufficiente neanche a coprire le spese della Curia Romana”. E rispetto alla consuetudine dell’Istituto per le Opere di Religione di cedere fondi alla Segreteria di Stato, è stato precisato che “si è sempre trattato di un trasferimento, non una donazione, essendo già nella sfera proprietaria della Santa Sede”. Lunedì 11 dicembre, alle 9.30, è prevista la replica del promotore di giustizia e delle parti civili, mentre martedì quelle delle difese degli imputati. Entro la fine della settimana ci sarà la sentenza.