“Grazie dottore” è lo slogan della prima campagna mondiale a favore del prezioso ruolo del medico di base, presentata oggi al Pontificio Collegio Teutonico in Vaticano. L’iniziativa cerca di rispondere alla crisi del sistema sanitario in molti Paesi dove questa categoria subisce mancanza di sostegno e di riconoscimento professionale
Marina Tomarro – Città del Vaticano
Riaffermare l’importanza e il valore dei medici di famiglia. È questo l’obiettivo dell’iniziativa, presentata oggi al Pontificio Collegio Teutonico in Vaticano, che ha come slogan “Grazie, dottore”, (thankyoudoctor.org). La campagna è promossa dall’associazione no-profit di medici SOMOS Community Care, che riunisce più di 2.200 medici a New York per aiutare pazienti immigrati, ed è sostenuta dalla Pontificia Accademia per la Vita, oltre che da altre organizzazioni mediche, infermieristiche, civiche e accademiche. Nel corso della conferenza, è stata presentata la “Dichiarazione per la riscoperta del medico di famiglia” che intende ricordare ai governi, alle istituzioni pubbliche e ai sistemi sanitari la necessità di rimettere al centro la figura del medico di base.
Il medico come il buon sammaritano
“Questa Dichiarazione – ha spiegato alla presentazione monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita – vuole rimettere al centro dell’attenzione dei sistemi sanitari il rapporto medico-paziente e il riconoscimento del lavoro quotidiano di milioni di medici che si impegnano nella cura dei malati. E mi pare saggio che la Dichiarazione arrivi a chiamare i medici “buoni samaritani”. È certo una qualifica che li onora ma soprattutto li responsabilizza nei confronti dell’umanità bisognosa di cura”.
Non solo cura ma anche prevenzione
Infatti la Dichiarazione vuole essere un’occasione mondiale per affermare sempre di più l’importanza del medico di famiglia e come si collochi nei vari contesti sociosanitari e come i servizi sanitari che sono anche diversificati nei vari Paesi sappiano rimettere questa figura al centro di tutto il mondo assistenziale. “Si vuole recuperare una centralità del medico di famiglia – ha sottolineato monsignor Renzo Pegoraro, cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita – è importante anche la terminologia che usiamo perché da volte si parla di medico di base o medico di medicina generale e invece affermando la dizione ‘medico di famiglia’ si dà importanza al contestualizzare bene ogni paziente nelle sue relazioni fondamentali basilari”, ovvero “il contesto in cui vive e in cui abitano le persone accanto, i legami affettivi e sociali che ci sono, in modo tale che il medico sia il primo e fondamentale interlocutore con chi ha bisogno di cure. Ma il medico è anche un contatto fondamentale per i percorsi di prevenzione, diagnosi e cura delle persone”.
La comunicazione tra medico e paziente
Tra medico e paziente deve nascere un rapporto creato sulla reciproca fiducia per sostenere programmi di prevenzione e di aderenza ai percorsi di cura delle malattie, specie quelle croniche, anche attraverso un accesso ragionato o appropriato alla medicina specialistica “La sanità ideale e del futuro per il medico di famiglia – ha evidenziato Filippo Anelli, presidente del Federazione Nazionale dei Medici Italiani – deve essere: pubblica, partecipata, adeguatamente finanziata, con un numero congruo di professionisti, organizzata per rispondere efficacemente agli obiettivi di salute dei cittadini e che rispetti le decisioni del paziente. Questo rapporto tra medico di famiglia e paziente è fondato sull’interesse primario della Persona e sul suo bisogno di salute e s’instaura grazie alla libera scelta del medico da parte del cittadino. Un rapporto che rispecchia i principi etici indicati nel Codice di deontologia medica rispetta le reciproche autonomie e si fonda sulla comunicazione come tempo di cura”.
La vicinanza cristiana a chi soffre
La malattia, quindi non è un problema solo della medicina ma diventa domanda di aiuto e di amore, affinché si intensifichi la vita attorno a chi la sente ferita e indebolita. “È importante – ha detto ancora monsignor Paglia – far emergere questa dimensione terapeutica della comunità cristiana soprattutto in una società come quella attuale che, con i suoi squilibri sociali e i suoi processi di emarginazione, aggrava la già connaturale debolezza. I miracoli delle guarigioni, intese nel senso più ampio, debbono spingere le comunità cristiane a essere più audaci nel rapporto con i malati, e a sentirli come la loro parte privilegiata su cui riversare molta cura”.