Caritas internationalis: i migranti climatici hanno bisogno di tutele definite

Vatican News

Presentato oggi, 26 ottobre, il rapporto della confederazione che esplora le esperienze delle persone sfollate all’interno e all’esterno delle frontiere a causa delle modifiche climatiche a livello planetario: il documento, un contributo al dibattito globale su come affrontare le lacune esistenti in materia di prevenzione, finanza, protezione legale e politica

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Il nesso tra cambiamenti climatici e migrazioni forzate è sempre più preoccupante. A farsi portavoce dell’urgenza di prevenire in maniera coordinata tra gli Stati le azioni per prevenirne i danni è Caritas internationalis che ha diffuso il rapporto intitolato “Displaced by a Changing Climate: Caritas Voices on Protecting and Supporting People on the Move”.

20 milioni di persone costrette a spostarsi per i cambiamenti climatici

La mobilità, dentro e fuori i confini nazionali, indotta dagli eventi estremi collegati alle variazioni del clima nel pianeta, viene approfondita alla luce dell’opera delle Caritas locali di diverse regioni. Si fa il punto sulle difficoltà affrontate dai profughi in 20 Paesi. “Il documento – si legge nel comunicato di presentazione – cerca di contribuire al dibattito globale su come affrontare le lacune esistenti in materia di pianificazione, finanza, protezione legale e politica per prevenire tali violazioni dei diritti umani e le perdite e i danni associati”. A parlarne, Maria Amparo Alonso, direttrice Advocacy e Comunicazione di Caritas Internationalis.

Ascolta l’intervista a Maria Amparo Alonso

L’indagine è stata realizzata facendo costante riferimento al messaggio del Papa per la Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato. “Abbiamo voluto capire in una prospettiva integrata, quale è la realtà delle persone che si spostano, l’accoglienza, le sfide. Nell’ultimo decennio – sottolinea – oltre 20 milioni di persone sono state sfollate ogni anno all’interno dei confini del loro Paese a causa di eventi meteorologici estremi, ma questo è solo una parte del quadro perché osserviamo che questo fenomeno rimanda a una degradazione progressiva dell’ambiente da cui sono fuggiti”. Alonso precisa che “attualmente sono 3.3 miliardi le persone che vivono in nazioni di alta vulnerabilità umana ma il numero potrebbe in realtà essere ancora più alto”.

Alonso racconta anche la sua personale esperienza di vita e lavoro di due anni (dal 2000 al 2002) nella zona di confine tra Kenia e Somalia dove vivevano due comunità, una di agricoltori e l’altra di nomadi. “Dopo una forte e prolungata siccità, i nomadi hanno cominciato a invadere i territori degli altri. Questo ha generato un conflitto, una vera guerra locale, di cui non si è parlato tanto. Venti anni dopo la situazione è cambiata in peggio. Coloro che invadevano i territori adesso non hanno più bestiame”, spiega parlando di una sorta di spirale viziosa per cui queste persone sono ancora più fragili poiché manca per loro una protezione adeguata. “In Oceania, per esempio, le comunità indigene devono spostarsi in altre isole, in altre zone. I pescatori sono obbligati a diventare agricoltori”, accenna ancora.

Prevenire la violazione dei diritti umani

“Noi ci chiediamo quali siano le misure che ogni Paese mette in campo per rispondere a questa realtà”, sostiene la direttrice che insiste sulla necessità di adoperarsi per prevenire l’eventuale violazione dei diritti umani riferibili a questi tipi di contesti. “Alle volte gli strumenti ci sono ma è necessario muoversi all’azione”: questo è ‘gap’ critico. “C’è anche la necessità di costruire dei database ad hoc, è importantissimo in questo momento storico. Quello che i membri Caritas ci dicono è che queste persone devono affrontare situazioni di precarietà, disintegrazione del nucleo familiare, discriminazione, abuso, sfruttamento, conflitto. Per esempio, in Somalia e Gibuti, sono testimoni di un considerevole aumento del numero di bambini non accompagnati che arrivano ai loro servizi. Pianificare per ridurre il costo degli interventi che affrontiamo è essenziale”.

La Laudate Deum ci conferma che manca il coraggio dell’azione

“Dalla Cop28 (la Conferenza Onu sul clima che inizierà a Dubai il fine novembre prossimo – ndr) ci aspettiamo si rafforzi il pensiero collettivo della costituzione del Fondo per le perdite e i danni perché è necessario aumentare in maniera significativa i finanziamenti per garantire una protezione olistica dei soggetti”. Alonso esprime a Papa Francesco la gratitudine di tutti coloro che sono impegnati nel garantire un futuro dignitoso a chi è forzato ad abbandonare la propria terra per l’Esortazione aspostolica Laudate Deum: “E’ una ispirazione che ci conferma nel nostro lavoro. Quando il Papa parla dell’aumento della temperatura che rischia di avere conseguenze terribili, lo accogliamo come una speranza. Lui insiste sul coraggio. Infatti è proprio il coraggio a mancare. Ci può essere preoccupazione, ma il coraggio manca e le azioni che noi proponiamo nel rapporto rispondono precisamente a questa chiamata del Pontefice”.