Mettiamo a disposizione i testi integrali delle ultime due riflessioni spirituali tenute il 3 ottobre dal frate domenicano ed ex maestro dell’Ordine dei Predicatori ai partecipanti all’assemblea generale del Sinodo dei Vescovi, riuniti in ritiro alla “Fraterna Domus” di Sacrofano
Meditazione n. 5
Autorità
Non può esserci conversazione feconda tra noi se non riconosciamo che ognuno di noi parla con autorità. Siamo tutti battezzati in Cristo: sacerdote, profeta e re. La Commissione Teologica Internazionale sul sensus fidei cita san Giovanni: “Ora voi avete l’unzione ricevuta dal Santo e tutti avete la scienza”. “E quanto a voi, l’unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; […] la sua unzione vi insegna ogni cosa” (1 Giovanni 2, 20, 27).
Durante la preparazione del sinodo molti laici sono rimasti sorpresi di scoprire che, per la prima volta, venivano ascoltati. Avevano messo in dubbio la propria autorità e domandato: “Davvero posso fare qualcosa?” (IL B.2.53). Ma non sono solo i laici a mancare di autorità. L’intera Chiesa è affetta da una crisi di autorità. Un arcivescovo asiatico si è lamentato di non avere autorità. Ha detto: “I preti sono tutti baroni indipendenti che fanno come se non esistessi”. Anche molti sacerdoti affermano di aver perso ogni autorità. La crisi degli abusi sessuali ci ha screditati.
Tutto il nostro mondo sta vivendo una crisi di autorità. Tutte le istituzioni hanno perso autorità. I politici, la legge, la stampa, tutti hanno sentito sfuggire di mano l’autorità. L’autorità sembra sempre appartenere ad altri: o ai dittatori che stanno prendendo il potere in molti luoghi, o ai nuovi media, o alle celebrità e gli influencer. Il mondo ha fame di voci che parlino con autorità del significato della nostra vita. Voci pericolose minacciano di riempire il vuoto. È un mondo alimentato non dall’autorità, ma da contratti – perfino in famiglia, all’università e nella Chiesa.
Quindi in che modo la Chiesa può recuperare l’autorità e parlare al nostro mondo che ha fame di voci che suonino vere? Luca ci racconta che quando Gesù insegnava “rimanevano colpiti dal suo insegnamento, perché parlava con autorità” (Luca 4, 32). Egli comanda ai demoni ed essi obbediscono. Anche il vento e il mare gli obbediscono. Ha perfino l’autorità di chiamare in vita il suo amico morto: “Lazzaro, vieni fuori!” (Giovanni 11, 43). Quasi le stesse parole che troviamo alla fine del vangelo di Matteo: “Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra”.
Ma verso la metà dei vangeli sinottici, a Cesarea di Filippo, c’è una forte crisi di autorità, che fa sembrare nulla quella contemporanea! Gesù dice ai suoi amici più stretti di dover andare a Gerusalemme dove soffrirà, morirà e resusciterà. Loro non accettano la sua parola. Quindi Gesù li porta sul monte ed è trasfigurato davanti ai loro occhi.
La sua autorità viene rivelata attraverso il prisma della sua gloria, come anche attraverso la testimonianza di Mosè ed Elia. È un’autorità che tocca le loro orecchie e i loro occhi, i loro cuori e le loro menti. La loro immaginazione! Finalmente ora lo ascoltano!
Pietro è pieno di gioia: è bello per noi essere qui. Come ha detto Teilhard de Chardin, “la gioia è il segno infallibile della presenza di Dio”. È questa la gioia di cui ha parlato suor Maria Ignazia questa mattina, la gioia di Maria. Senza gioia, nessuno di noi ha alcuna autorità. Nessuno crede a un cristiano triste! Nella Trasfigurazione, questa gioia scaturisce da tre fonti: bellezza, bontà e verità. Potremmo citare altre forme di autorità. Nell’Instrumentum laboris viene sottolineata l’autorità dei poveri. C’è l’autorità della tradizione e della gerarchia con il suo ministero di unità.
Ciò a cui accennerei questa mattina è che le autorità sono molteplici e si rafforzano reciprocamente. Non deve per forza esservi competizione, come se i laici potessero avere più autorità solo se i vescovi ne avessero meno, o i cosiddetti conservatori gareggiassero per l’autorità con i progressisti. Potremmo essere tentati di invocare il fuoco su coloro che consideriamo contrari a noi, come i discepoli nel vangelo odierno (Luca 9, 51-56). Ma nella Trinità non c’è rivalità. Il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non competono per il potere, proprio come non c’è competizione tra i nostri quattro Vangeli.
Parleremo con autorità al nostro mondo perduto se in questo sinodo trascenderemo i modi di esistenza competitivi. Allora il mondo riconoscerà la voce del pastore che li chiama alla vita. Esaminiamo questa scena sul monte e vediamo l’interazione di diverse forme di autorità.
Bellezza
Prima c’è la bellezza o la gloria. Le due parole sono praticamente sinonime in ebraico. Il vescovo Robert Barron da qualche parte ha detto – e ti chiedo perdono, vescovo Bob, se ti cito male – che la bellezza può raggiungere le persone che rifiutano altre forme di autorità. Una visione morale può essere percepita come moralistica: “Come osi dirmi come vivere la mia vita?”. L’autorità della dottrina può essere rifiutata come oppressiva: “Come osi dirmi che cosa pensare?”. Ma la bellezza ha un’autorità che raggiunge la nostra libertà intima.
La bellezza apre la nostra immaginazione al trascendente, la cui patria aneliamo. Il poeta gesuita Gerard Manley Hopkins definisce Dio colui “che è Lui bellezza, che dà bellezza”. San Tommaso d’Aquino afferma che essa rivela il fine ultimo della nostra vita, come il bersaglio verso il quale mira l’arciere (2).
Non c’è da meravigliarsi che Pietro non sappia che cosa dire. La bellezza ci porta oltre le parole. Qualcuno ha detto che ogni adolescente ha qualche esperienza di bellezza trascendente. Se non hanno delle guide, come i discepoli che avevano Mosè ed Elia, quel momento passa. Quando ero ancora un sedicenne in una scuola benedettina, ho vissuto un tale momento nella grande chiesa abbaziale e ho avuto dei monaci saggi per aiutarmi a comprendere.
Ma non tutta la bellezza parla di Dio. I capi nazisti amavano la musica classica. Nella solennità della Trasfigurazione, su Hiroshima è stata sganciata una bomba atomica come odiosa parodia della luce divina. La bellezza può ingannare e sedurre. Gesù ha detto: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all’esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume” (Matteo 23, 27).
Ma la bellezza divina del monte risplenderà fuori dalla Città Santa quando la gloria del Signore verrà rivelata sulla croce. La bellezza di Dio viene dischiusa nella maniera più splendente in ciò che appare più brutto. Bisogna andare in luoghi di sofferenza per scorgere la bellezza di Dio.
Etty Hillesum, la mistica ebrea attratta dal cristianesimo, la trovò perfino in un campo di concentramento nazista: “Voglio essere lì, nel fitto di quello che le persone chiamano ‘orrore’ e poter continuare a dire ‘la vita è bella’” (3). Ogni rinnovamento della Chiesa è stato accompagnato da una rinascita estetica: l’iconografia ortodossa, il canto gregoriano, il barocco della Controriforma (che non è esattamente il mio preferito!). La Riforma è stata in parte uno scontro di visioni estetiche. Di quale rinnovamento estetico abbiamo bisogno, oggi, per aprire uno scorcio sulla trascendenza, specialmente nei luoghi di desolazione e di sofferenza? Come possiamo dischiudere oggi la bellezza della croce?
Quando i primi domenicani arrivarono in Guatemala nel XVI secolo, la bellezza spianò loro la strada per condividere il vangelo con il popolo indigeno. Rifiutarono la protezione dei conquistadores spagnoli. I religiosi insegnarono ai mercanti indigeni locali inni cristiani da cantare quando si spostavano tra le montagne per vendere le loro merci. Ciò aprì la strada ai confratelli che poi poterono muoversi in sicurezza nella regione ancora oggi conosciuta come Vera Paz. Vera Pace. Ma alla fine arrivarono i soldati e uccisero non soltanto gli indigeni, ma anche i nostri confratelli che cercavano di proteggerli.
Quali canzoni possono penetrare il nuovo continente dei giovani? Chi sono i nostri musicisti e poeti? Quindi la bellezza apre l’immaginazione all’ineffabile fine del cammino. Ma, come Pietro, potremmo essere tentati di rimanere lì. Occorrono altre forme di impegno immaginativo per farci scendere dal monte per il primo sinodo sulla via di Gerusalemme. Ai discepoli vengono offerti due interpreti di ciò che vedono, Mosè ed Elia, la legge e i profeti. O della bontà e della verità.
Bontà
Mosè ha guidato Israele dalla schiavitù alla libertà. Gli israeliti non desideravano andare. Avevano fame della sicurezza dell’Egitto. Temevano la libertà del deserto, proprio come i discepoli temono di andare a Gerusalemme. Ne I fratelli Karamazov di Dostoevskij, il Grande Inquisitore afferma che “nulla è stato mai più insopportabile per l’umanità e la società della libertà… Alla fine deporranno la loro libertà ai nostri piedi e ci diranno: ‘Meglio che ci rendiate schiavi, ma ci diate da mangiare’”
I santi hanno l’autorità del coraggio. Ci sfidano a metterci in cammino. Ci invitano ad affrontare con loro la rischiosa avventura della santità. Santa Teresa Benedetta della Croce è nata in una famiglia ebrea osservante, poi, da adolescente, è diventata atea. Ma quando, per sbaglio, ha preso in mano l’autobiografia di santa Teresa d’Avila, l’ha letta per tutta la notte. Affermò: “Quando ebbi finito il libro, dissi a me stessa: è questa la verità”. Fu questo a portarla alla morte ad Auschwitz. È questa l’autorità della santità. Ci invita ad abbandonare il controllo della nostra vita e a consentire a Dio di essere Dio.
Il libro più popolare del XX secolo è stato Il signore degli anelli di J.R.R. Tolkien. È un romanzo profondamente cattolico. Lui sosteneva che fosse la storia dell’Eucaristia. I martiri erano le primissime autorità nella Chiesa, poiché con coraggio avevano dato tutto. G.K. Chesterton ha detto: “Il coraggio è quasi una contraddizione in termini, perché significa un forte desiderio di vivere che assume la forma di una disponibilità a morire” (4). Abbiamo paura di presentare la pericolosa sfida della nostra fede? Herbert McCabe, OP, ha detto “se ami, verrai ferito, forse ucciso. Se non ami sei già morto”. I giovani non sono attratti dalla nostra fede se noi l’addomestichiamo.
“L’amore perfetto scaccia il timore” (1 Giovanni 4, 18). Frate Michael Anthony Perry, OFM, già Ministro Generale dei Francescani, ha detto: “Nel battesimo abbiamo rinunciato al diritto di avere paura” (5). Io direi che abbiamo rinunciato al diritto di essere resi schiavi dalla paura. I coraggiosi conoscono la paura. Avremo autorità nel nostro mondo pieno di paure solo se la gente vedrà che rischiamo tutto. Quando i nostri fratelli e sorelle europei sono andati a predicare il vangelo in Asia quattro secoli fa, metà di loro è morta ancor prima di arrivare, di malattia, naufragio, pirati. Noi avremmo lo stesso folle coraggio?
Henri Burin de Roziers (1930-2017) era un avvocato domenicano francese, di base nell’Amazzonia brasiliana. Ha portato in tribunale i grandi proprietari terrieri che spesso rendono schiavi i poveri, costringendoli a lavorare nelle loro vaste proprietà e uccidendoli se tentano di fuggire. Henri ha ricevuto tantissime minacce di morte. Gli è stata offerta la protezione della polizia, ma sapeva che molto probabilmente sarebbero stati proprio loro ad ucciderlo. Quando mi fermai da lui, mi offrì la sua stanza per la notte. Il giorno dopo mi disse che non era riuscito a dormire per paura che arrivassero e, invece di prendere lui, per sbaglio prendessero me!
Quindi l’autorità della bellezza parla della fine del viaggio, della patria che non abbiamo mai visto. L’autorità della santità parla del viaggio che dobbiamo compiere se vogliamo arrivare. È l’autorità di quanti danno la propria vita. Il poeta irlandese Pádraig Pearse ha proclamato: “Ho sperperato gli splendidi anni che il Signore Dio ha donato alla mia giovinezza – nel cercare di fare cose impossibili, ritenendo che fossero le sole a valere la fatica. Signore, se avessi gli anni li sperpererei di nuovo. Li scaglio via da me” (6).
Verità
Poi c’è Elia. I profeti sono coloro che dicono la verità. Ha visto attraverso le fantasie dei profeti di Baal e ha sentito la voce ancora sottile del silenzio sul monte. Veritas, verità, il motto dell’Ordine Domenicano. Mi ha attirato verso i domenicani ancor prima che ne incontrassi uno, il che forse è stato provvidenziale!
Il nostro mondo si è disamorato delle verità: fake news, affermazioni selvagge in internet, folli teorie cospirazioniste. Tuttavia, sepolto nell’umanità c’è un istinto inestirpabile per la verità, e quando questa viene detta, ha qualche ultimo vestigio di autorità. L’Instrumentum laboris non teme di essere sincero riguardo alle sfide che dobbiamo affrontare. Parla apertamente delle speranze e delle preoccupazioni, della rabbia e della gioia del popolo di Dio. Come possiamo attirare la gente verso Colui che è la verità se non siamo sinceri riguardo a noi stessi?
Permettetemi di menzionare solo due modi in cui questa tradizione profetica di dire la verità è necessaria. Anzitutto nel parlare sinceramente delle gioie e delle sofferenze del mondo. A Hispaniola, Bartolomeo de Las Casas aveva condotto una vita mediocre fino a quando, nell’Avvento del 1511, lesse il sermone di Antonio de Montesinos, OP, che si confrontava con i conquistadores e la riduzione in schiavitù della popolazione indigena: “Ditemi per quale diritto o per quale interpretazione della giustizia mantenete gli indios in questa crudele e orribile servitù? Per quale autorità avete mosso queste detestabili guerre contro persone che un tempo vivevano tranquille e pacifiche nella loro terra?”. Las Casas lo lesse, sapendo che era vero, e si pentì. Quindi, in questo sinodo ascolteremo persone che parleranno con sincerità delle “gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi” (Gaudium et spes, n. 1).
Per la verità occorre anche un sapere disciplinato che resista alla nostra tentazione di usare la Parola di Dio e l’insegnamento della Chiesa per i nostri scopi. “Dio deve avere ragione perché concorda con me!”. I biblisti, per esempio, ci rimandano ai testi originali nella loro estraneità, nella loro diversità. Quando ero in ospedale, un infermiere mi disse che avrebbe voluto conoscere il latino così da poter leggere la Bibbia nella lingua originale. Non ho detto nulla! I veri studiosi si oppongono a ogni tentativo semplicistico di arruolare le Scritture o la tradizione per le nostre campagne personali. La Parola di Dio appartiene a Dio. Ascoltatelo. Non possediamo la verità. È la verità a possedere noi.
Ogni amore ci apre alla verità degli altri. Scopriamo come, in un certo senso, rimangono imperscrutabili. Non possiamo prenderne possesso e utilizzarli per i nostri fini. Li amiamo nella loro alterità, nella loro incontrollabile libertà.
Così, sul monte della Trasfigurazione, vediamo che vengono invocate differenti forme di autorità per guidare i discepoli oltre la grande crisi di autorità a Cesarea di Filippo. Tutte quest, e altre ancora, sono necessarie. Senza verità, la bellezza può essere vacua. Come ha detto qualcuno, “la bellezza sta alla verità come la bontà sta al cibo”. Senza bontà la bellezza può ingannare. La bontà senza verità cade nella sdolcinatezza. La verità senza bontà porta all’Inquisizione. San John Henry Newman ha usato belle parole per parlare delle molteplici forme di autorità, governo, ragione ed esperienza.
Tutti noi abbiamo autorità, ma in maniera diversa. Newman ha scritto che se l’autorità del governo diventa assoluta, è tirannica. Se la ragione diventa l’unica autorità, cade nell’arido razionalismo. Se l’esperienza religiosa diventa la sola autorità, allora vince la superstizione. Un sinodo è come un’orchestra con i diversi strumenti, ognuno con la propria musica. È per questo che la tradizione gesuita del discernimento è tanto feconda. Alla verità non si giunge per voto maggioritario, proprio come non si guidano un’orchestra o una squadra di calcio votando!
L’autorità della guida certamente assicura che la conversazione della Chiesa sia feconda, che nessuna voce prevalga sulle altre e le soffochi. Discerne l’armonia nascosta. Jonathan Sacks, rabbino capo della Gran Bretagna, ha scritto: “In tempi turbolenti, per i leader religiosi c’è la tentazione quasi irrefrenabile di essere conflittuali. Non solo occorre proclamare la verità, ma bisogna anche denunciare la falsità. Le scelte devono essere presentate come divisioni nette. Non condannare significa condonare”. Tuttavia, afferma, “un profeta non ascolta un solo imperativo, ma due: guida e compassione, l’amore per la verità e una continua solidarietà con coloro per i quali la verità è diventata oscura. Preservare la tradizione e al tempo stesso difendere coloro che altri condannano è il compito difficile e necessario della guida religiosa in un’epoca secolare” (7).
Tutto il potere proviene dal nostro Dio Uno e Trino, colui nel quale tutto è condiviso. Il teologo italiano Leonardo Paris afferma: “Il Padre condivide il suo potere. Con tutti. E configura tutto il potere come condiviso… Non è più possibile citare Paolo – ‘Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù’ (Galati 3, 28) – e fare appello alla sinodalità, senza riconoscere che ciò significa trovare forme storiche concrete, di modo che ognuno si riconosca come avente il potere che il Padre ha voluto affidargli” (8).
Se la Chiesa diventerà davvero una comunità di conferimento reciproco di poteri, allora parleremo con l’autorità del Signore. Diventare una tale Chiesa sarà doloroso e bello. È questo che approfondiremo nell’ultima meditazione.
Note:
(1) The Golden Echo (L’eco d’oro)
(2) ST III, 45
(3) An Interrupted Life: The Diaries and Letters of Etty Hillesum 1941 – 43, Persephone Books, London, 2007, p. 276
(4) Orthodoxy, London 1996, p. 134
(5) Benotti, p. 66
(6) Citato dal cardinale Murphy O’Connor, “Fiftieth Anniversary of Priesthood”, in Daniel P. Cronin, Priesthood: A Life Open to Christ (St Pauls Publishing, London, 2009), p. 134.
(7) “Elijah and the Still, Small Voice”, www.rabbisacks.org/covenant conversation/pinchas/elijah-and-the-still-small-voice
(8) cfr. Leonardo Paris, L’erede. Una cristologia, Queriniana, 2021, pp. 220-221. Prossimamente pubblicato anche in inglese da Brill, con una prefazione di Massimo Faggioli
Meditazione n. 6
Lo Spirito di verità
I discepoli vedono la gloria del Signore e la testimonianza di Mosè ed Elia. Ora trovano il coraggio di scendere dal monte e dirigersi verso Gerusalemme. Nel vangelo di oggi (Luca 9, 51-56) li vediamo in cammino. Incontrano i samaritani che li osteggiano perché sono diretti a Gerusalemme. La reazione immediata dei discepoli è quella di far scendere un fuoco dal cielo e distruggerli. In effetti, hanno appena visto Elia ed è ciò che lui ha fatto con i profeti di Baal! Ma il Signore li rimprovera. Ancora non hanno capito il cammino sul quale il Signore li sta conducendo.
Nelle prossime tre settimane potremo essere tentati di invocare il fuoco dal cielo su coloro con cui siamo in disaccordo! La nostra società è piena di rabbia ardente. Il Signore ci invita a bandire tali impulsi distruttivi dal nostro incontro.
Questa rabbia pervasiva nasce dalla paura, ma non dobbiamo avere paura. Il Signore ha promesso lo Spirito Santo, che ci guiderà in tutta la verità. La sera prima di morire, Gesù ha detto “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future” (Giovanni 16, 12-13).
Quali che siano i conflitti sul nostro cammino, di una cosa siamo certi: lo Spirito di verità ci sta guidando in tutta la verità. Ma non sarà facile. Gesù mette in guardia i suoi discepoli: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso”. A Cesarea di Filippo, Pietro non riesce a sopportare di sentire che Gesù dovrà soffrire e morire. In questa ultima sera prima della morte di Gesù, Pietro non riesce a sopportare la verità che proprio lui negherà Gesù. Essere guidati nella verità significa ascoltare cose che sono sgradevoli.
Quali sono le verità che oggi abbiamo difficoltà ad affrontare? È stato molto doloroso affrontare l’entità degli abusi sessuali e della corruzione nella Chiesa. È parso come un incubo dal quale si spera di svegliarsi. Ma se avremo il coraggio di affrontare questa vergognosa verità, la verità ci renderà liberi. Gesù promette che “voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia” (16, 20), come accade per i dolori del parto della donna. Questi giorni del sinodo a volte saranno dolorosi, ma se ci lasceremo guidare dallo spirito, saranno le doglie di una Chiesa rinata.
Questa è la nostra testimonianza a una società che, a sua volta, fugge dalla verità. Il poeta T.S. Eliot ha affermato che “il genere umano non può sopportare troppa realtà” (1). Stiamo andando verso una catastrofe ecologica, ma i nostri leader politici il più delle volte fanno finta che non stia accadendo nulla. Il nostro mondo è crocifisso dalla povertà e dalla violenza, ma i Paesi ricchi non vogliono vedere i milioni di nostri fratelli e sorelle che soffrono e cercano una casa.
La società occidentale ha paura di affrontare la verità che siamo esseri mortali vulnerabili, uomini e donne fatti di carne e sangue. Rifuggiamo la verità della nostra esistenza corporea, facendo finta di poterci identificare da soli come vogliamo, come se fossimo solo menti. La cultura della cancellazione significa che le persone con cui non siamo d’accordo devono essere messe a tacere, deve essere impedito loro di parlare, proprio come i discepoli volevano far discendere il fuoco sui samaritani che non avevano accolto Gesù. Quali sono le dolorose verità che i nostri fratelli e sorelle dei diversi continenti temono di affrontare? Non spetta a me dirlo.
Se avremo il coraggio di essere sinceri su chi siamo, ovvero esseri umani mortali vulnerabili e fratelli e sorelle in una Chiesa che è sempre stata eroica e corrotta, allora parleremo con autorità a un mondo che ha ancora fame di verità anche se teme che questa sia irraggiungibile. Ciò richiede coraggio, che per l’aquinate era fortitudo mentis, ossia la forza della mente per vedere le cose così come sono, per vivere nel mondo reale. La poetessa Maya Angelou ha detto: “Il coraggio è la più importante di tutte le virtù, perché senza coraggio non puoi praticare altre virtù in modo coerente” (2).
Quando san Oscar Romero ritornò a casa in El Salvador, un funzionario dell’immigrazione disse “ecco la verità”. Egli fu vero dinanzi alla morte. Seduto su una panchina, domandò a un amico se avesse paura di morire. L’amico rispose di no. Romero replicò: “Ma io sì. Io ho paura di morire”. È stata questa sincerità a rendere così bello il suo martirio. Da quando aveva visto il corpo mutilato del suo amico gesuita Rutilio aveva capito ciò che lo aspettava. Quando fu martirizzato, il suo corpo venne ritrovato coperto di sudore. Sembra che abbia visto l’uomo che stava per ucciderlo, e non è scappato.
L’ultima sera Gesù mette in guardia i suoi discepoli che se rimarranno in lui, la vite vera, verranno potati di modo che possano portare più frutto. In questo sinodo potremmo avere la sensazione di essere potati! È così che potremo dare più frutto. Questo può significare che veniamo potati delle illusioni e dei pregiudizi reciproci che possiamo avere, potati delle nostre paure e delle nostre ristrette ideologie. Potati del nostro orgoglio.
Uno dei miei giovani fratelli mi ha incoraggiato a parlare personalmente su questo argomento, sebbene io abbia qualche remora a farlo. Un paio di anni fa, ho subito un importante intervento per un cancro alla mandibola. È durato diciassette ore. Sono rimasto in ospedale per cinque settimane, incapace di mangiare e bere. Spesso non capivo bene dove mi trovavo e chi ero. Sono stato spogliato della dignità ed ero completamente dipendente dagli altri anche per le esigenze più essenziali. È stata una potatura terribile. È stata però anche una benedizione. In quel momento di impotenza, non potevo pretendere di essere importante, non potevo vantare nessun conseguimento. Ero semplicemente un’altra persona ammalata nel letto di una corsia d’ospedale con nulla da dare. Non potevo nemmeno pregare. Poi i miei occhi sono stati aperti un po’ di più all’amore completamente gratuito e immeritato del Signore. Non potevo fare nulla per meritarlo, ed era meraviglioso che non fosse necessario che lo facessi.
Lo Spirito è in ognuno di noi, guidandoci insieme dentro tutta la verità. Sono stato ordinato dal grande vescovo Butler, la sola persona presente al concilio Vaticano II che parlava un perfetto latino ciceroniano! Amava dire: “Non temiamo che la verità possa nuocere alla verità” (3). Se ciò che dice un altro di fatto è vero, non può minacciare la verità che mi è cara. Devo aprire il cuore e la mente alla spaziosità della verità divina. Se ritengo che ciò che dice l’altro non sia vero, naturalmente devo dirlo, con la dovuta umiltà. Nella lingua tedesca c’è la bella parola Zwischenraum. Se la intendo correttamente, significa che la pienezza della verità sta nello spazio tra noi mentre parliamo. Il mistero di Dio è sempre rivelato in spazi vuoti, dagli spazi vuoti tra le ali del cherubino sull’arca dell’alleanza al sepolcro vuoto.
Lo scontro di verità in apparenza incompatibili può essere doloroso e rabbioso. Pensate solo al racconto che san Paolo fa del suo scontro con san Pietro ad Antiochia, così come narrato nella Lettera ai Galati: “Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto” (2, 11). Ma si diedero la mano destra dell’amicizia e la Santa Sede guarda a entrambi come fondatori! Furono uniti nella morte come martiri.
Dobbiamo cercare vie per dire la verità di modo che l’altra persona la possa ascoltare senza sentirsi abbattuta. Pensate a quando Pietro ha incontrato Gesù sulla riva, nel capitolo 21 di Giovanni. La sera prima della morte di Gesù, Pietro si era vantato di amare il Signore più di tutti gli altri. Ma poco dopo aveva negato il Signore tre volte, nel momento di massima vergogna della sua vita. Sulla riva, però, Gesù non lo assilla per il fallimento. Gli chiede gentilmente, forse con un sorriso, per tre volte: “mi vuoi bene tu più di costoro?”. Con infinita delicatezza aiuta Pietro per tre volte a annullare la sua triplice negazione. Lo sfida ad affrontare la verità con tutta la tenerezza dell’amore. Riusciamo a sfidarci gli uni gli altri con questa delicata sincerità?
La poetessa statunitense Emily Dickinson offre un buon consiglio: “Di’ tutta la verità ma dilla obliqua – Il successo sta in un Circuito”.
Perdonatemi se cito delle poesie. Possono essere difficili da tradurre. Quello che lei intende dire è che talvolta la verità viene detta in maniera più potente se viene detta in modo indiretto, cosicché l’altro possa sentire. Se dici a qualcuno che è un dinosauro patriarcale, probabilmente non lo aiuterai! Naturalmente a volte sarà ugualmente doloroso. Ma Papa Francesco ha detto: “proclamate la verità, anche se a volte scomoda” (4).
Questo richiederà a tutti noi una certa perdita del controllo. Gesù dice a Pietro: “‘In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi’. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio” (Giovanni 21, 18).
Se il sinodo ha le dinamiche della preghiera più che di un parlamento, ci chiederà una sorta di abbandono del controllo, perfino una sorta di morte. Lasciare che Dio sia Dio. In Evangelii gaudium il Santo Padre ha scritto: “non c’è maggior libertà che quella di lasciarsi portare dallo Spirito, rinunciando a calcolare e a controllare tutto, e permettere che Egli ci illumini, ci guidi, ci orienti, ci spinga dove Lui desidera” (n. 280). Abbandonare il controllo non significa fare nulla! Dato che la Chiesa è stata così tanto una struttura di controllo, a volte occorrono interventi forti per consentire allo Spirito Santo di condurci dove non avremmo mai pensato di andare.
Abbiamo un profondo istinto ad aggrapparci al controllo, per questo molti temono il sinodo. A Pentecoste, lo Spirito Santo discende con forza sui discepoli, che vengono inviati ai confini della Terra. Gli apostoli invece si sono stabiliti a Gerusalemme e non vogliono partire. Ci vuole la persecuzione per farli uscire dal nido e mandarli lontano da Gerusalemme! Affettuosa fermezza! Sopra il mio ufficio a Santa Sabina, ogni anno fanno il nido alcuni gheppi. È arrivato il giorno in cui i genitori hanno cacciato i giovani uccelli dal nido, sicché sono stati costretti a volare o morire. Seduto alla mia scrivania riuscivo a vedere come si sforzavano per rimanere in aria! A volte lo Spirito Santo ci caccia fuori dal nido e ci chiede di volare! Noi ci agitiamo, presi dal panico, ma voliamo!
Nel Getsemani Gesù cede il controllo sulla sua vita e lo affida al Padre. Non come voglio io! Quando ero un giovane frate, un domenicano francese, che era stato un prete lavoratore, soggiornò presso la comunità. Doveva andare in India per servire i più poveri tra i poveri ed era venuto a Oxford per studiare il bengalese. Gli domandai che cosa intendesse fare: “Qual è il tuo piano?”. Lui rispose: “Come faccio a saperlo prima che me lo dicano i poveri?”.
Da giovane provinciale visitai un monastero domenicano che si stava avvicinando alla chiusura. Erano rimaste solo quattro suore anziane. Mi accompagnava il provinciale precedente, Peter. Quando dicemmo alle suore che il futuro del monastero appariva piuttosto incerto, una di loro rispose: “Ma Timothy, il nostro caro Signore non permetterebbe al nostro monastero di morire, ti pare?”. Peter subito rispose: “Sorella, ha lasciato morire suo Figlio”. Quindi possiamo lasciare morire le cose, non nella disperazione, ma nella speranza, per lasciare spazio al nuovo.
San Domenico cercò di passare il controllo dell’Ordine ai confratelli, perché ognuno di loro aveva ricevuto lo Spirito Santo. Quindi, essere guidati dallo Spirito Santo significa essere liberati dalla cultura del controllo. Nella nostra società la leadership non è altro che mantenere le proprie mani sulle leve del potere. Papa san Giovanni XXIII scherzava su fatto che ogni sera diceva a Dio: “Il Papa adesso deve andare a dormire, quindi tu, Dio, devi prenderti cura della Chiesa per qualche ora”. Come aveva ben compreso, guida a volte significa abbandonare il controllo.
L’Instrumentum laboris ci chiama a compiere “l’opzione preferenziale per i giovani” (p. es. B.2.1). Ogni anno ricordiamo che Dio è venuto tra noi come bambino, neonato. La fiducia nei giovani è una parte intrinseca della guida cristiana. I giovani non sono qui per prendere il posto di noi anziani, ma per fare ciò che noi non riusciamo a immaginare. Quando san Domenico mandò i suoi novizi fuori a predicare, alcuni monaci lo avvertirono che così li avrebbe persi. Domenico rispose: “So per certo che i mei giovani usciranno e rientreranno, verranno mandati fuori e ritorneranno; ma i vostri giovani verranno tenuti chiusi a chiave e comunque usciranno” (5).
Esseri guidati dallo Spirito in tutta la verità significa lasciare andare il presente, fiduciosi che lo Spirito genererà nuove istituzioni, nuove forme di vita cristiana, nuovi ministeri. Nel corso degli ultimi due millenni, lo Spirito Santo è stato all’opera creando nuovi modi di essere Chiesa, dai Padri e le Madri del deserto agli Ordini di frati nel XIII secolo, e perfino ai Gesuiti durante la Controriforma! I nuovi movimenti ecclesiali nello scorso secolo. Dobbiamo lasciare che lo Spirito Santo agisca in modo creativo in mezzo a noi, con nuovi modi di essere Chiesa che noi ora non riusciamo a immaginare, ma forse i giovani sì! Ascoltatelo, ha detto la voce sul monte. E questo include ascoltare i giovani, nei quali il Signore vive e parla (cfr. Matteo 11, 28).
Essere guidati nella verità, come abbiamo visto, non è solo una questione di confronto razionale. Non siamo solo cervello. Dischiudiamo gli uni agli altri chi siamo, la nostra umanità vulnerabile. San Tommaso d’Aquino amava dire di Aristotele che “anima este quodammodo omnia”, “l’anima in un certo senso è tutto”. Comprendiamo in profondità aprendo il nostro essere a ciò che è altro. Consentiamo di essere toccati e cambiati dall’incontro reciproco. La verità di pienezza nella quale ci sta guidando lo Spirito Santo non è conoscenza spassionata che analizza da lontano. È più una conoscenza propositiva. È inscindibile dall’amore trasformativo (IL A.1 27). La via Domenicana è che attraverso la conoscenza giungiamo ad amare. La via Francescana è che attraverso l’amore giungiamo a conoscere. Entrambe hanno ragione.
Il mistero dentro il quale veniamo guidati è quello di un amore totalmente senza rivali. Tutto ciò che il Padre ha, viene dato al Figlio e allo Spirito Santo. Perfino l’uguaglianza. Partecipare alla vita divina è essere liberati da ogni rivalità e competizione. È con questo stesso amore divino, liberato da ogni rivalità, che dovremmo amarci gli uni gli altri durante questo sinodo. San Giovanni ha scritto: “Se uno dicesse: ‘Io amo Dio’, e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Giovanni 4, 20).
Il viaggio nella pienezza della verità è inscindibile dall’imparare ad amare. Il cambiamento profondo si realizzerà solo se la ricerca per comprendere la volontà del Signore sarà attorcigliata nella doppia spirale dell’imparare ad amare coloro che troviamo difficili. Sarà complicato comunicarlo alle persone che non sono qui. Davvero tutte queste persone hanno fatto tanta strada, affrontando grandi spese, solo per amarsi reciprocamente? Le decisioni pratiche, naturalmente, sono inevitabili e necessarie. Ma devono nascere dalla trasformazione personale e comunitaria di chi siamo, altrimenti sono mera amministrazione.
Immaginate la gioia di essere liberati da ogni competizione tra voi, sicché la maggior voce che hanno i laici non significa che i vescovi se ne sono andati, o che più autorità viene concessa alle donne, meno ne hanno gli uomini, o che la maggior considerazione che ricevono i nostri fratelli e sorelle africani sminuisce l’autorità della Chiesa in Asia o in Occidente.
Ciò richiede da ognuno di noi profonda umiltà mentre attendiamo fiduciosi i doni di Dio. Simone Weil era una mistica ebrea francese, deceduta nel 1943, che nel suo cammino verso la verità giunse a dire: “Io credo in Dio, nella Trinità, […] nella Redenzione, nell’Eucarestia, negli insegnamenti dell’Evangelo” (6). Scrisse che “i beni più preziosi non devono essere cercati ma attesi… Uno sguardo anzitutto attento, in cui l’anima si svuota di ogni contenuto proprio per accogliere in sé l’essere che essa vede così com’è nel suo aspetto vero” (7).
Se ci lasciamo guidare dallo Spirito di verità, senz’altro discuteremo. A volte sarà doloroso. Ci saranno verità che preferiremmo non affrontare. Ma verremo guidati un po’ più in profondità nel mistero dell’amore divino e conosceremo una tale gioia che la gente ci invidierà perché siamo qui e desidererà partecipare alla prossima sessione del sinodo!
Note:
(1) Burnt Norton, I quattro quartetti
(2) Cerimonia, Cornell, 24 maggio 2008
(3) Ne timeamus quod veritas veritati noceat
(4) cfr. 24 gennaio 2023
(5) ed. Simon Tugwell, OP, Early Dominicans: selected writings, Ramsey N.J., 1982 p.91
(6) S. PÉTREMENT, La vita di Simone Weil, Adelphi, Milano 2010, p. 646
(7) Waiting on God, trad. di Emma Craufurd, London 1959, p.169.