Nelle meditazioni del primo e due ottobre al ritiro presinodale di Sacrofano, padre Timothy Radcliffe ha offerto una panoramica spirituale ed esperienziale sul senso del “camminare insieme”
L’Osservatore Romano
Speranza, casa, amicizia, conversazione: sono le quattro parole-chiave sulle quali si è soffermato, tra ieri e oggi, il padre domenicano Timothy Radcliffe. Partecipante alla xvi Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi in qualità di assistente spirituale, padre Radcliffe ha tenuto quattro meditazioni durante il ritiro che i membri, i delegati fraterni e gli invitati speciali dell’Assise hanno fino a domani, 3 ottobre, a Sacrofano, vicino Roma. Le meditazioni (altre due seguiranno domani) scandiscono le giornate aperte dalle Lodi, intervallate da conversazioni sullo Spirito e concluse dalla Messa. Le riflessioni di padre Radcliffe sono arricchite da ricordi personali, esperienze di vita vissute in prima persona dal padre domenicano che ha visto con i propri occhi molti Paesi del mondo. Una testimonianza, la sua, diretta e concreta, di ciò che significa essere “Sinodo”, ovvero “camminare insieme”.
Nella prima meditazione, pronunciata ieri mattina e intitolata “Sperare contro ogni speranza” — la spes contra spem di San Paolo (Rm 4, 18) — padre Radcliffe si sofferma sulla «speranza eucaristica», quella rappresentata da Cristo che ha dato il suo corpo e ha versato il suo sangue per la salvezza dell’umanità. Tale speranza, sottolinea il padre domenicano, «sta al di là della nostra immaginazione» e «ci chiama al di là di ogni divisione», perché abbraccia e trascende tutto ciò che desideriamo. Soprattutto essa racchiude due auspici: uno riguarda la Chiesa, affinché «questo Sinodo porti non a una divisione, ma a un suo rinnovamento» e a una sua «primavera ecumenica». Il secondo auspicio riguarda invece l’umanità: di fronte a un «futuro cupo», punteggiato da catastrofi ecologiche, da milioni di persone in fuga da povertà e violenza e da centinaia di migranti annegati nel Mediterraneo, bisogna «raccogliersi nella speranza per l’umanità, soprattutto per i giovani».
Non conta, continua padre Radcliffe, se le speranze iniziali dei partecipanti all’Assise sono diverse tra loro: il Sinodo non è «un dibattito politico» al quale si partecipa «per vincere», bensì è come l’Ultima Cena, là dove la speranza «non è l’ottimismo, ma la fiducia che tutto ciò che viviamo, tutta la nostra confusione e il nostro dolore in qualche modo avranno senso». Solo così, «ascoltando il Signore e gli uni gli altri, cercando di capire la sua volontà per la Chiesa e per il mondo — evidenzia il domenicano —, saremo uniti in una speranza che trascende i nostri disaccordi». Un’ulteriore riflessione l’assistente spirituale la fa su Teresa di Lisieux, di cui ieri, 1° ottobre, ricorreva la memoria liturgica: questa santa della «piccola via» che conduce al Regno insegna che ogni piccola azione compiuta durante il Sinodo può portare «frutti che vanno oltre la nostra immaginazione».
Nella seconda meditazione, pronunciata nella tarda mattinata di ieri e intitolata “A casa in Dio e Dio a casa in noi”, padre Radcliffe analizza in primo luogo il concetto di “casa”: oggi, spiega, un po’ ovunque si registra una grave crisi abitativa che riguarda in particolare milioni di migranti e di giovani. Ma c’è anche un’altra crisi, rappresentata da «una terribile mancanza di casa spirituale» e dovuta all’individualismo acuto, alla disgregazione della famiglia, alle disuguaglianze sempre più profonde che provocano un vero e proprio «tsunami di solitudine».
Anche la Chiesa è spaccata da diverse concezioni su cosa significhi essere “casa”, continua il padre domenicano: da un lato, ci sono coloro che guardano solo alla tradizione antica e che credono che l’identità ecclesiale richieda confini ben delimitati; dall’altro ci sono quelli che desiderano una Chiesa rinnovata e per i quali il cuore stesso dell’identità ecclesiale è rappresentato dall’apertura verso l’esterno. Ma queste due concezioni, sottolinea padre Radcliffe, sono «entrambe giuste», perché se prevale solo la prima, la Chiesa rischia di essere «una setta»; se si guarda solo alla seconda, si finisce per «diventare un vago movimento di Gesù». Bisogna quindi tenerle entrambe in considerazione, anche perché «il Verbo si fece carne» e «qualunque sia la nostra casa, Dio viene ad abitarvi», in ognuna delle nostre culture, ovunque siamo, qualunque cosa abbiamo fatto, «Dio fa la sua casa con noi, viene a stare con noi». Egli è l’Emmanuele, “Dio con noi”, Colui che fa la sua casa anche «in luoghi che il mondo disprezza», come il carcere.
Di qui, l’esortazione di padre Radcliffe a camminare verso una Chiesa in cui chi ora si sente ai margini, escluso — come ad esempio le donne, i divorziati risposati, le persone omosessuali — avverta invece di essere pienamente a casa, riconosciuto. In fondo, spiega ancora il religioso, «rinnovare la Chiesa è come fare il pane: si raccolgono i lembi di pasta al centro e si allarga il centro ai margini, riempiendo il tutto di ossigeno». In questo «pane di Dio, il centro è ovunque e la circonferenza non è da nessuna parte». Alla fine, conclude il padre domenicano, «Dio rimane nella nostra Chiesa per sempre, nonostante la corruzione e gli abusi». Ma al contempo, il Signore «è con noi per condurci negli spazi più ampi del Regno», per farci «respirare l’ossigeno pieno di Spirito della nostra futura casa senza confini».
Il tema della terza meditazione, tenuta stamani, è invece “L’amicizia”, non a caso citata nell’odierna festa degli Angeli custodi, che sono «segni dell’amicizia unica che Dio ha per ciascuno di noi». «Questo Sinodo — dice l’assistente spirituale — sarà fruttuoso se ci condurrà a una più profonda amicizia con il Signore e tra noi». Solo attraverso di essa, infatti, sarà possibile compiere «il passaggio dall’io al noi», in una «collegialità affettiva» che può anche precedere quella effettiva. Non importa se ai mass-media tutto questo apparirà come uno spreco di parole, una perdita di tempo; ciò che conta è comprendere l’amicizia divina, ovvero il fatto che Dio ha attraversato i confini tra la vita e la morte e che «predicare il Vangelo è un atto di amicizia o non è nulla», così come «il cuore della vocazione sacerdotale è l’amicizia eterna e paritaria della Trinità», in grado di dissolvere «il veleno del clericalismo».
Tutto questo diventa ancora più rilevante, continua padre Radcliffe, nel mondo di oggi che «ha fame di amicizia, ma è sovvertito da tendenze distruttive», come l’ascesa del populismo, i facili slogan, la cecità della folla, l’individualismo acuto che guarda solo alla storia del singolo. Al contrario, «gli amici guardano nella stessa direzione», nel senso che «possono pure essere in disaccordo l’uno con l’altro, ma almeno condividono alcune delle stesse domande». In pratica, un amico è colui che dà grande importanza alle nostre stesse questioni, anche se è in disaccordo con noi sulle risposte. Dunque, conclude il religioso, dal coraggio che si ha nel «condividere i dubbi e nel cercare insieme la verità» fiorisce l’amicizia nella quale tutti i partecipanti al Sinodo sono chiamati a camminare, radicati nella gioia di stare insieme.
Ed è sul cammino, o meglio sulla “Conversazione sulla via di Emmaus” tra i discepoli e Gesù, che si sofferma la quarta meditazione tenuta nella tarda mattinata di oggi. Come i discepoli fuggono verso Emmaus pieni di rabbia e di delusione, spiega il padre domenicano, così anche la Chiesa oggi è contagiata dalla rabbia, «giustificata per gli abusi sessuali sui bambini, per la posizione delle donne» nella vita ecclesiale, per le divisioni tra cosiddetti conservatori e liberali. La speranza di molti che si sentono ignorati è che ora il Sinodo ascolti la loro voce: «Siamo qui per ascoltare il Signore e gli uni gli altri — sottolinea l’assistente spirituale —. Ascoltiamo non solo ciò che le persone dicono, ma ciò che stanno cercando di dire, le parole non dette», perché la vera conversazione, quella che non parte da risposte preconfezionate e già pronte, «ha bisogno di un salto fantasioso nell’esperienza dell’altro». In quest’ottica, dal domenicano giunge anche l’invito a «imparare a parlarsi in modo giocoso», a «diventare bambini» secondo gli insegnamenti del Vangelo, «bambini, ma non puerili». Solo così si riuscirà vincere quella «serietà ottusa e senza gioia» che ci affligge a volte nella Chiesa.
Un’altra caratteristica della vera conversazione, quella che «porta alla conversione», aggiunge padre Radcliffe, è il suo essere «rischiosa», in quanto ci cambia e fa nascere una dimensione della nostra vita e della nostra identità che «prima non era mai esistita». In fondo, l’essere umano è «un lavoro in corso», perché la coerenza lo precede nel Regno. Restare ancorati a «identità chiuse e fisse, scolpite nella pietra», quindi, non ci permette di aprirci alla «spaziosa amicizia del Signore». Ciò implica anche — è la sottolineatura del padre domenicano — arrivare a capire che «la differenza è fertile, generativa».
E su questo punto, ovvero su come affrontare le differenze, padre Radcliffe conclude la sua meditazione, affermando che «le famiglie possono insegnare molto alla Chiesa», perché è in esse che «i genitori vanno incontro ai figli che fanno scelte incomprensibili e che tuttavia sanno di avere ancora una casa».