RDC, l’educazione che salva: il recupero dei bambini-soldato

Vatican News

Un progetto attuato nel Paese africano dalla Fondazione Agostiniani nel mondo e dalla Fondazione Otb, con il supporto della tedesca Misereor e della Chiesa locale, mira a salvare i più piccoli dal mestiere della “guerra” e a favorirne il reinserimento sociale ed economico di ex bambini-soldato, sia maschi che femmine

di Roberto Paglialonga

L’educazione è la vera priorità per l’umanità contemporanea. Forse è sempre stato così, ma oggi, in un momento di vero e proprio “cambiamento d’epoca”, come lo ha definito Papa Francesco già nel 2015, che vede intrecciarsi diverse crisi: antropologica, sociale, politica, se ne avverte una sempre maggiore impellenza. Vale a tutte le latitudini, anche se nelle zone dove regnano guerre e povertà ciò è di cristallina evidenza. Nella Repubblica Democratica del Congo la situazione si è fatta negli anni via via più drammatica. A fronte di straordinarie ricchezze naturali e minerarie di cui è in possesso, il Paese è da tempo vittima di crisi umanitarie e alimentari e infestato da una guerra dimenticata che coinvolge bande terroristiche e paramilitari ed esercito governativo, in particolare nella zona del nord-est (Nord e Sud Kivu, Ituri). Nella provincia dell’Haut-Uélé, alla confluenza dei fiumi Dungu e Kibali, nella savana boscosa del nord-ovest, invece, imperversano le milizie del Lord’s Resistance Army (Lra) di Joseph Kony, che da tempo violentano e rapiscono bambine e bambini (alcuni anche di 4-5 anni di età) per avviarli al “mestiere” della guerra. È la piaga dei bambini-soldato.

Bambini senza infanzia e adolescenza

Contro questo fenomeno la Fondazione Agostiniani nel mondo, nata nel 2014 per volontà della curia generalizia dei missionari agostiniani, in partnership con la Fondazione Otb (Only the brave) di Renzo Rosso, e con il supporto della tedesca Misereor e della Chiesa locale, ha avviato un progetto per il potenziamento del Centro residenziale Juvenat nella città di Dungu. Qui – e in altre aree come Amadi, Poko e Buta – gli agostiniani hanno portato la loro missione dopo essere arrivati a Kinshasa negli anni cinquanta, concentrandosi sull’accoglienza e il reinserimento sociale ed economico di ex bambini-soldato, sia maschi che femmine, e di giovani emarginati e vulnerabili. “Questo è un programma che noi abbiamo lanciato già nel 2020, e che nella prima fase ha avuto l’aiuto, oltre che di Misereor, anche della Cei e della californiana St. Augustin Foundation. Siamo partiti sostenendo annualmente 450 ragazzi, ora vogliamo aumentare questo numero del 50%”, spiega Maurizio Misitano, responsabile esecutivo dei progetti internazionali della Fondazione Agostiniani nel mondo. Che aggiunge: “Si tratta di giovani che per diverse ragioni – alcuni a causa del coinvolgimento diretto nella guerra e nella lotta armata, altri a causa della fame o della povertà – hanno perso l’infanzia e l’adolescenza, e nella loro breve vita hanno fatto esperienza solo del male. Necessitano quindi di un grande aiuto psico-sociale, oltre che educativo, per rimettersi in carreggiata”. Le stime parlano di oltre 30.000 bambini-soldato reclutati in questa zona del Paese, molti dei quali ancora nelle mani di vari gruppi paramilitari. La maggior parte di loro hanno dagli 8 ai 15 anni e il 40% sono ragazze. A queste razzie che strappano i piccoli ai rispettivi genitori, si sommano i frequenti raid del Lra che compie veri massacri di civili innocenti.

I bambini soldato nella RDC

Le tappe per il reinserimento

“Noi alla possibilità di essere accolti nella residenza, dove ospitiamo al momento 50 ex bambini-soldato”, prosegue, “aggiungiamo la frequentazione di corsi professionali e laboratori di formazione, al termine dei quali i giovani possano avere l’opportunità di reinserirsi in famiglia e nella società svolgendo un lavoro. Il programma ha perciò tre step: accoglienza, durante la quale ai ragazzi e alle ragazze si fa uno screening psico-fisico per capire il loro stato di salute generale; recupero, momento nel quale vengono formati in specifici laboratori o viene data loro la possibilità di una graduale re-immissione nella scuola, per chi voglia proseguire gli studi; reinserimento nella società, attraverso una collaborazione con imprese e famiglie che ospitano questi giovani per un breve periodo cercando di restituire un sentimento di appartenenza e di legame con gli adulti, che per loro fino a quel momento sono stati solo degli aguzzini”.

La libertà dopo la schiavitù

I laboratori vanno dalla programmazione informatica alla falegnameria, dalla sartoria all’agro-pastorizia. “In quest’ultimo settore – precisa Misitano – Otb ci darà una mano anche dal punto di vista tecnico, oltre che del sostegno economico: in particolare, nella trasformazione di prodotti agroalimentari e nella produzione di mattonelle di carbone per uso domestico da scarti vegetali, in sostituzione a legname e kerosene molto più inquinanti e pericolosi, e causa della deforestazione. Inoltre, avremo attività come l’apicoltura (le arnie sono costruite direttamente dai falegnami del Centro Juvenat), e altre più tradizionali come l’allevamento di suini, bovini e pesci”. Ma nel futuro è previsto l’avvio di percorsi anche di videomaking e recitazione, “e questo perché la cultura, le arti, la musica sono molto importanti in Africa, tanto che vorremmo aprire presto anche il primo cinema nella città di Dungu”. E “ci tengo a sottolineare – conclude – che si cerca di fare tutto nel massimo rispetto dell’ambiente e del clima in un Paese in preda allo sfruttamento delle ingenti risorse del suo sottosuolo e di una deforestazione selvaggia. E’ vero che in città manca la corrente elettrica e quindi abbiamo dovuto fare di necessità virtù, ma tutte le attività del nostro Centro sono alimentate da un impianto fotovoltaico che sfrutta l’energia solare, donato dalla Fondazione Seva for Africa.”
Dopo il buio della schiavitù e delle torture, la luce della speranza. L’educazione è libertà.