Angelini: “per camminare insieme bisogna incontrare Gesù, pietra scartata”

Vatican News

Pubblichiamo l’introduzione alle Lodi di domenica 1 ottobre di madre Ignazia Angelini al raduno spirituale al quale stanno partecipando i membri, i delegati fraterni e gli inviati speciali del Sinodo dei vescovi alla Fraterna Domus di Sacrofano

Madre Ignazia Angelini

Eccoci in ritiro, insieme, iniziando con la celebrazione delle Lodi per ritrovare le radici vitali, il filo rosso dei giorni, quelli passati e quelli che il Signore disporrà per noi.

Nella fede cristiana, celebrare è sempre pura grazia ogni volta da riscoprire, perché ci apre nuovi mondi, quelli più veri e reali. È un potente fascio di luce, sorgente di energia sul cammino sinodale, che nell’unica dinamica dello Spirito ci sospinge dall’uno ai molti, dall’io al noi. La statio di ogni celebrazione non sarà mai in antitesi al cammino della chiesa in uscita, ma ne costituirà sempre l’intima scaturigine. Il rischio per noi, uomini e donne di chiesa, è di procedere a partire dai nostri navigatori interiori, obiettivi, incalzanti – urgenze, conflitti, difficoltà a leggere il presente – così da perdere l’orizzonte. Anche in questo singolare mattino domenicale, celebrare è ispirante. Da ciò che celebriamo, attingiamo luce e forma al cammino. E le giuste domande.

 “Gesù, il Nazareno, è risorto dalla morte, e vi precede in Galilea” fu l’annuncio delle donne, Maria di Magdala e le altre, in quel primo mattino (cfr. Mt 28,1-10; Mc 16,1-8.9-13; Lc 24,1-10). Le Lodi di stamane, che aprono il ritiro, traboccano di questo annuncio.

Iniziare questo ritiro nel giorno del Signore, che riconduce pure noi a questa complessa “Galilea” dei giorni nostri, è vera grande grazia.  Celebrare le Lodi, è – al modo di cui dice san Benedetto: “la mente che concorda con la voce” (Regola, 19,7) – un evento immersivo, aurorale, battesimale. Non siamo chiesa sinodale anzitutto perché ci confrontiamo scambiandoci pareri – tantomeno parlandoci addosso – se non a condizione che all’origine, che da capo attingiamo nuovamente al Fondamento. È così che presa da meraviglia – la memoria genera futuro. E il vicolo che ci pareva cieco, si spalanca a mostrare orizzonti insperati di vita.

Quella “voce” cui concordare lo spirito, secondo san Benedetto in concreto sono i Salmi, che ogni giorno preghiamo. Qui è Dio che prega Dio, qui è il vibrare nostro e dello Spirito all’unisono con ogni gemito della creatura (cfr. Rm 8,18-27). Resi per grazia “popolo numeroso” (At 18,10), secondo l’originario, irrevocabile desiderio di Dio – senza pentimenti (Sal 110,4; Rm 11,29).

Già all’inizio, per articolare in annuncio il mistero della Pasqua, ai discepoli fu necessario afferrarsi alla Sacra Scrittura – ai salmi, anzitutto – come ci testimonia il Nuovo Testamento. I discepoli della prima generazione, hanno elaborato sinodalmente il senso degli eventi e della vita di Gesù e della loro stessa ben poco lineare esperienza, non a caso cercandone le tracce sulla corda del Salterio, grembo fecondo di ogni sinodalità. Nella preghiera del Salterio – preghiera umanissima, al limite dello scandalo, ma dallo Spirito resa “rivelante” Scrittura di Dio – avviene infatti una sorta di preludio all’incarnazione: il nudo desiderio di vita che si fa grido, incontra Dio, e irresistibilmente raduna, e viene assunto, riconosciuto, e trasmesso come Parola di Dio. Nei Salmi l’invocazione diviene rivelazione. È lì il grembo del senso, il laboratorio fecondo di narrazioni dell’umano. Lì attingiamo non solo parole ma narrazioni della vita, stili di compimento della storia sfilacciata –storia inseparabilmente personale, di chiesa, di umanità. Se il santo popolo di Dio è privato del Salterio che, celebrato nel rito, instaura la memoria rigeneratrice della vita, viene a mancare il linguaggio più elementare per articolare la speranza. La Chiesa madre deve anche offrire un linguaggio “materno” alla preghiera.

Questa mattina la Parola posta sulle labbra per diventare nostra Parola, è in particolare il Salmo 117 (118) – il “bel Confitemini”, come lo chiama Martin Lutero. Celebrarlo in un’assemblea come questa è dirompente, carico di senso.

Sorprendente, ispirante, è anzitutto il fatto che in questo canto si alternano la voce del singolo e dell’assemblea: come a dire che l’esperienza della fede – come la vicenda del padre Abramo illustra (Gen 12,1-3) –, è personale, ma mirata alla convocazione dei molti. Ma l’ “io” generativo del noi passa attraverso dolori di morte, è “pietra scartata” colui che apre il corteo sinodale. Lo stigma pasquale segna anche questo giorno fatto dal Signore. Nel solco del cammino che la rivelazione di Dio dischiude al singolo eletto è delineato lo spazio di convocazione della comunità e la preghiera si fa corale: “Celebrate il Signore perché è buono, il legame del su amore è per sempre”. Il procedere del canto si snoda così a ondate, trapassando dal voi all’io al noi coinvolge tutti, convoca narrazioni diverse di vita “Israele…, la casa di Aronne…, i timorati di Dio…”: ogni vivente che cerca salvezza appartiene alla grande convocazione.

Alla luce del Vangelo di oggi, che è stato proclamato, questi “tutti” possiamo intenderli come “tutti i qualunque”, i peccatori, i piccoli, che riconoscono e trepidano per lo sguardo di Dio sulla loro vita. Così l’esperienza rigenerante spinge irresistibilmente l’orante a chiamare altri a raccolta, e ad avviare un corteo, un cammino festoso – un sinodo, potremmo dire.  Che trae origine dall’uno e il “suo” Dio e raggiunge gli estremi confini dell’umano.

È un potente richiamo, questo salmo d’inizio, per il cammino sinodale. Vibra un filo di intensissima luce, e vibra quale corda di recitazione offerta ai nostri giorni, ai nostri drammi, alle fatiche e ansietà, ai conflitti, ai dubbi inquietanti, e soprattutto vibra quale voce ardita alla speranza.

L’amore di Dio per sempre (vv. 1.2.3.4.29) – ecco il grande orizzonte offerto ai prossimi dialoghi, alle stesse dispute, ai conflitti sofferti, alla paura di esporsi. È il tema dominante, in tensione dialettica con la scandalosa esperienza: la pietra scartata, diventata testata d’angolo (v. 22). È il punto cruciale di questo Salmo (specialmente se messo in rapporto al Vangelo di questa domenica). Amore eterno e leale, che riscatta l’espulso e l’emarginato, e che proprio per la sua dinamica “in uscita”, coinvolge la comunità, tracimando su tutte le genti.

 “Dona, Signore la tua vittoria” (v.25), abbiamo cantato con il Salmo; aggiungendo che la vittoria attesa è la sua salvezza – la “vittoria” su ogni spirito divisore e detrattore. Domandiamo un “buon cammino” sinodale, sui passi della Pietra scartata, viaggiando sulla “piccola via” – Teresa di Lisieux ci fa da battistrada – verso la pienezza della vita ecclesiale.