Dialogo interreligioso: il contributo dell’Albania nei Balcani

Vatican News

Si è chiusa alla Gregoriana una sessione di studio di due giorni sui temi della libertà religiosa e della cultura dell’incontro. Il direttore del Centro Studi Interreligiosi, Bongiovanni: tutti i tentativi di mettere tra perentesi il discorso religioso, sia in maniera violenta che un po’ più sofisticata, falliscono perché il bisogno più profondo dell’uomo è rapportarsi sempre con una dimensione trascendente. L’importante è che l’identità religiosa sia aperta e dinamica

Antonella Palermo – Città del Vaticano

L’esperienza dell’Albania come processo culturale di coesistenza fra le etnie e le appartenenze religiose. Di questo si è parlato nei due giorni di studio (28 e 29 settembre) “Il dialogo interreligioso: il contributo dell’Albania nei Balcani” organizzati alla Pontificia Università Gregoriana dal Centro Studi Interreligiosi del medesimo ateneo. 

L’armonia, chiave del dialogo interreligioso

Attraverso i contributi scientifici e le testimonianze di laici e religiosi – in particolare dei gesuiti, i quali molto si sono adoperati in Albania soprattutto nel campo pedagogico per circa un secolo fino alla metà del novecento, e poi dagli anni ’90 a tutt’oggi – il seminario è stato un’opportunità per approfondire i temi della libertà religiosa, della cultura dell’incontro, del relativismo religioso e dei processi di secolarizzazione considerati come occasioni, e non solo crisi, del presente, del ruolo chiave svolto dalle scuole cattoliche per la maturazione di una identità nazionale e di una attitudine all’inclusività e alla promozione del bene comune. In una fase di forte polarizzazione internazionale, il valore del dialogo interreligioso rischia di diventare ostaggio di visioni concorrenti, è emerso dal convegno, e di essere strumentalizzato da chi ne contesta l’universalità. È ciò su cui è soffermato, ai microfoni di Vatican News, anche il direttore Centro Studi Interreligiosi della PUG e presidente della Fondazione Magis, professor Ambrogio Bongiovanni:

Ascolta l’intervista ad Ambrogio Bongiovanni

“La parola chiave che è emersa in questi giorni è stata ‘armonia’, una immagine che personalmente mi piace molto perché, per la mia esperienza, mi porta anche lontano, nel contesto asiatico dove questo concetto è molto forte. Una immagine più poetica – sottolinea – ma anche più reale e concreta rispetto al concetto di dialogo che magari ci porta o ad una dialettica o ad un confronto tra idee. L’armonia ha a che fare molto di più con la vita, con le esistenze delle persone, con l’incontro. Quindi, questo concetto, affiancato al concetto di dialogo, è molto importante”.

Come costruire identità religiose aperte e dinamiche

Dalle ricerche universitarie condotte sul campo, è emersa una matrice culturale storicamente documentata di cosa significhi dialogo interreligioso, “nonostante la storia dell’Albania che tutti conosciamo e nonostante tutti i tentativi di chiudere tutti gli spazi ad una riflessione religiosa. Questo dimostra, ancora una volta, che tutti i tentativi di mettere tra perentesi il discorso religioso, sia in maniera violenta che in maniera un po’ più sofisticata, falliscono perché il bisogno più profondo dell’uomo è di rapportarsi sempre con una dimensione trascendente”, spiega Bongiovanni. E il fallimento non si esprime solo sul piano religioso, chiarisce il professore, bensì su quello sociale, relazionale, identitario. È quest’ultimo aspetto che alle volte rischia di diventare scivoloso e fonte di equivoci, anche nel dibattito istituzionale corrente: da un lato, infatti, le persone si identificano inevitabilmente con delle comunità, dall’altro, il senso di appartenenza che ne deriva non può che essere ‘poroso’, aperto e dinamico, se non si vuole strumentalizzare le fedi e i loro simboli. “Il problema è come le comunità di fede devono vivere queste sfide in relazione tra di loro e quindi la modalità sia della formazione religiosa sia della formazione laica. E come costruire identità religiose aperte. Del resto, la questione dell’identità religiosa attraversa l’Europa oggi”. Se, dunque, come afferma Bongiovanni, l’identità è un concetto che fa parte della persona umana, è vero che c’è il problema di come questa categoria è declinata e di come ci formiamo all’identità: “possiamo educare i giovani ad avere una identità aperta e dinamica, oppure una chiusa e statica. Dipende dai modelli formativi con cui narriamo l’altro. L’identità ha sempre a che fare con la relazione con l’altro. Si costruisce in base alla relazione con l’altro. Sempre”.

La cultura dell’incontro per una fratellanza basata su pace e giustizia

L’attenzione che il Papa ha per le periferie del mondo e per le minuscole comunità cristiane non fa che rilanciare proprio questi temi: “Si tratta di un punto nodale del magistero di Francesco, incontrare l’altro con uno sguardo a un futuro di fratellanza che si costruisce appunto su armonia, pace, giustizia”, precisa ancora il direttore il quale ricorda che “anche se il dialogo interreligioso è entrato nella scena pubblica, ha anche una prospettiva etica”. Lo stile pedagico dei gesuiti in Albania, nello specifico, e nel mondo, uno stile che come obiettivo guarda sempre al bene comune, ne è un esempio luminoso e fruttuoso. “Noi siamo concentrati su un homo faber, sull’idea di accumulare competenze. Ma prima di tutto dobbiamo concentrarsi sull’essere, sulle energie spese a far crescere una persona che sia capace di essere nel mondo, di essere in relazione. Il dialogo interreligioso è allora attivare delle dinamiche che favoriscono questo incontro tra le persone”. A questo proposito, i progetti del Magis, che pongono al centro la cooperazione, possono essere considerati l’attualizzazione di questo approccio. “La cooperazione non è solo un termine tecnico. La nostra idea di cooperazione è proprio operare insieme, secondo uno stile, peraltro, pienamente sinodale”. Cooperazione fa il paio con corresposanbilità e, nella Chiesa, è fondamentale, osserva il direttore. “Una volta parlavamo solo di laici collaboratori. Invece no, bisogna cambiare il paradigma ecclesiale dove tutti  i ministeri sono al servizio del Regno di Dio. Ma bisogna creare una coscienza di corresposanbilità e uscire dalla passività perché – conclude – a volte fa comodo essere ‘solo’ collaboratori”.