Pizzaballa: la questione di Gerusalemme è ancora aperta e attende soluzione

Vatican News

Il Patriarca, prossimo cardinale nel Concistoro del 30 settembre, parla del conflitto israelo-palestinese e dell’imminente Assemblea del Sinodo, rilancia la strada del dialogo tra le Chiese di Oriente e Occidente. Sui migranti l’auspicio che una concertazione di impegni impedisca al Mediterraneo di essere luogo di morte, abuso, discriminazione

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Le criticità socio-politiche storiche e contingenti che vive la Terra Santa, lo sguardo all’Assemblea generale del Sinodo che sta per cominciare in Vaticano, le sfide relative alla gestione dei flussi migratori in quel Mediterraneo che pure così tanto riguarda i popoli mediorientali: questi i temi affrontati nel breve colloquio che i media vaticani hanno avuto stamani nella Sala Stampa della Santa Sede con Sua Beatitudine Pierbattista Pizzaballa, Patriarca di Gerusalemme dei Latini, che sarà creato cardinale nel Concistosto del 30 settembre prossimo in Vaticano. Ribadisce che è una grande gioia essere stato nominato per la porpora da Papa Francesco, “un segno di attenzione del Papa e della Chiesa a Gerusalemme che è il cuore del mondo, ma anche la periferia”.

Ascolta l’intervista a Sua Beatitudine Pierbattista Pizzaballa

Perché dice che Gerusalemme è una periferia?

C’è un conflitto. Un conflitto religioso che è anche un conflitto politico, ci sono diseguaglianze sociali. Sono tutte caratteristiche tipiche di una periferia esistenziale.

A proposito del conflitto israelo-palestinese, le recenti affermazioni di monsignor Gallagher all’Onu sono stati chiari. Che impressione le hanno fatto e quale è il suo appello per la regione?

Li commento in maniera molto positiva. Anche la Santa Sede ha ripreso un discorso che da un po’ di tempo non si sentiva. Non si sentiva parlare di Gerusalemme e dello status di Gerusalemme. Molto spesso si pensa che la questione di Gerusalemme sia chiusa. Non è chiusa e attende una soluzione che tenga conto delle varie sensibilità non solo politiche ma soprattutto religiose, dove cristiani, ebrei e musulmani abbiano uguale cittadinanza.

Diciamo che questo governo ha aperto un po’ di ferite, innanzitutto all’interno della società israeliana che oggi è spaccata in due, non tanto destra e sinistra ma proprio sull’idea di Stato, sulla identità di Stato. Ma anche ha riacuito questioni riguardo alle relazioni con le altre comunità, in questo caso anche con la comunità cristiana che in questi ultimi mesi ha vissuto un periodo molto difficile con attacchi ai suoi simboli e alla sua esistenza.

Siamo alla vigilia dell’Assemblea generale del Sinodo in Vaticano. Lei cosa si aspetta in merito al dialogo tra Chiese in Oriente e in Occidente?

Un Sinodo generale non può dare risposte precise e specifiche alle varie realtà che sono molto diverse le une dalle altre. Però può dare delle indicazioni, dei criteri di lettura e può aiutare ogni Chiesa, ogni realtà a darsi i suoi strumenti, senz’altro. La distinzione tra Oriente e Occidente oggi lascia un po’ a desiderare. C’è molto Oriente in Occidente, con l’emigrazione, e c’è tanta immigrazione asiatica o africana in Oriente.

Questo cosa crea?

Crea sicuramente situazioni nuove con cui bisogna fare i conti. In questo senso Gerusalemme è più preparata, da sempre è una società multireligiosa, multiculturale. Un piccolo laboratorio che può dire forse una parola positiva di lettura all’accoglienza di questa situazione che è comune a tutte le società del mondo.

Una parola sul Mediterraneo e sul suo futuro…

Ciò che accade in Mediterraneo accade un po’ in tutto il mondo, il fenomeno dell’emigrazione è globale. Il Mediterraneo è una cartina al tornasole di ciò che accade nel resto del mondo di cui non si parla ma che ha aspetti molto simili: discriminazione, diseguaglianze economico-sociali, sfruttamento, schiavitù, morte, abusi di ogni genere. Bisogna fare in modo che questa situazione non sia solo subita ma venga ad essere gestita con responsabilità da parte di tutti. Richiede una risposta globale: non può essere il Mediterraneo da solo, un Paese da solo che può risolvere il problema. Richiede l’impegno di tutta la comunità, tenuto conto che dietro le migrazioni c’è tanta povertà molto spesso causata da discriminazioni e sfruttamento.