Maria Morciano – Città del Vaticano
La basilica di Santa Cecilia sorge nel cuore di Trastevere, ma prima di entrare all’interno della chiesa, occorre attraversare un quadriportico che crea un filtro tra rumore e silenzio. In questo luogo la tirannia del tempo sembra sospesa e ciò che è mondano viene dimenticato per rimanere in meditazione e in preghiera, nel totale abbandono alla bellezza
Entrando nella vasta basilica, tutta giocata sulla trama del bianco e dell’oro, lo sguardo viene immediatamente attratto dalla statua di santa Cecilia sotto l’altare centrale, in marmo bianchissimo, opera di Stefano Maderno, scultore che con quest’opera del 1600 marca il passaggio tra manierismo e barocco.
La statua come un’istantanea della morte
La superficie della statua nel marmo greco, il pario, più pregiato per candore e grana, è finemente levigata. La veste avvolge Cecilia formando larghe spirali intorno al corpo disteso, quasi fosse una colonnina tortile, mentre i capelli sono raccolti in un velo. Le ginocchia delicate appena flesse, i piedi scalzi. Sul collo il taglio fatale e qualche goccia di sangue. La testa è volta all’indietro in modo innaturale e del suo viso non vediamo niente, noi che la guardiamo di fronte, chiusa nella sua cassa di marmi colorati dal fondo nero. Forse è questo il suo fascino, il mistero del suo volto che ci rimane sconosciuto. Possiamo ammirare il profilo delicato, non deturpato da alcuna espressione, se cerchiamo le foto che le sono state scattate durante il restauro del 2001. Nella parte posteriore la statua non è rifinita, segno che è stata concepita per essere vista solo di fronte. Protagoniste sono le mani, con le braccia protese in avanti, abbandonate sul pavimento e tre dita distese a indicare il mistero della Trinità.
Da San Callisto a Trastevere
L’opera era stata commissionata dal cardinale Paolo Emilio Sfrondati, perché durante uno dei vari restauri fatti alla chiesa, nel 1599, fu riesumato il corpo della martire e con grande stupore si vide che era rimasto perfettamente intatto. In questo frangente, Maderno avrebbe eseguito uno schizzo che fu poi tradotto nella scultura. Il ritrovamento suscitò enorme clamore in città e le cronache ricordano che Cecilia appariva con la veste di seta intarsiata con fili d’oro, scalza, con un velo rivolto intorno alli capelli, giacendo con la faccia rivolta in terra, con li segni del sangue e di tre ferite sul collo. Questa non è però la deposizione originale. Il corpo era originariamente sepolto nelle Catacombe di San Callisto e fu trasferito nell’821 da papa Pasquale I nell’attuale basilica, che la ricostruì per l’occasione. Infatti, nel Liber pontificalis si racconta che il Papa, grande promotore della fede e della sua traduzione nelle splendide chiese del periodo che possiamo ammirare a Roma, ebbe un sogno nel quale Cecilia gli avrebbe indicato il luogo della sua sepoltura. Nell’anno della traslazione furono eseguiti gli splendidi mosaici: dell’abside con la teofania di Cristo tra santi, tra i quali Pietro, Paolo, Cecilia, suo marito Valeriano e forse sant’Agata. Appare anche papa Pasquale I, con l’aureola azzurra e quadrata perché ancora in vita, con il modello della chiesa tra le mani e abbracciato dalla titolare della basilica.
Tra le moltissime altre opere che si sono succedute nel tempo, molte delle quali cantano la santità di Cecilia o ne vogliono testimoniare il suo passaggio in vita proprio qui che era ritenuta la sua casa – Cecilia sarebbe vissuta nel II secolo d.C.- nella cripta, sfarzosamente decorata come se fosse ricoperta di stoffe preziose, o in altri monumenti, ricordiamo i pochi frammenti che restano del Giudizio Universale del pittore Pietro Cavallini e il ciborio, opera di Arnolfo di Cambio datato al 1293. E ancora il soffitto affrescato da Sebastiano Conca (1727) e la facciata esterna, opera di Ferdinando Fuga del 1731.
Patrona della musica
Anche per chi di santa Cecilia sa poco è impossibile che possa sottrarsi al suo fascino e provare, al suono del suo nome, un senso di commozione, perché la storia di una giovane martire può essere simile a quella di tante altre, in apparenza fragili ma forti nella fede, fino all’estremo sacrificio della vita, ma lei è legata alla musica. La potenza della musica, una manifestazione umana così vicina al divino, come nessun’altra, ha portato una serie di suggestioni tradotte nelle numerose opere d’arte e musicali che portano il suo nome. L’associazione di Cecilia con la musica tuttavia è attestata solo nel tardo medioevo e sembra il risultato di una interpretazione sbagliata dell’antifona d’introito della messa nel giorno dedicato alla santa.
Cantantibus organis, Cecilia virgo in corde suo soli Domino decantabat dicens: fiat Domine cor meum et corpus meum inmaculatum ut non confundar ,
“Mentre suonavano gli organi, la vergine Cecilia cantava nel suo cuore soltanto per il Signore, dicendo: Signore, il mio cuore e il mio corpo siano immacolati affinché io non sia confusa”.
In realtà, non si parlerebbe dello strumento musicale ma degli strumenti di tortura, che “cadevano” , riferendosi all’accanimento delle atrocità cui fu sottoposta per farla morire e la scena, quindi non parlerebbe delle sue nozze mistiche ma del martirio.
Papa san Giovanni Paolo II, in visita nella basilica, parlando diffusamente della martire fornisce una giusta interpretazione all’errore dell’antifona. Ricordando come nell’iconografia lei appaia sempre con uno strumento musicale, in particolare un organo portatile e come Raffaello nel 1516 con il suo genio creativo, in un celebre dipinto sintetizzò mirabilmente la “passione” antica e l’interpretazione tardiva, rappresentando Cecilia con gli strumenti della musica terrena abbandonati ai suoi piedi e tutta tesa all’ascolto delle celesti armonie (Omelia, 22 novembre 1984).