Il summit dei Paesi dell’Organizzazione per il Trattato di Cooperazione Amazzonica (Otca), riunitosi dopo 14 anni, ha fissato 113 punti di azione per la salvaguardia della foresta pluviale. Ma le divergenze sui combustibili fossili minacciano il polmone verde del mondo
Beatrice D’Ascenzi – Città del Vaticano
Evitare un punto di non ritorno. Durante il vertice dei Paesi dell’Organizzazione per il Trattato di Cooperazione Amazzonica (Otca), al via ieri 8 agosto a Belém, è apparso evidente come la salvaguardia dell’Amazzonia, polmone verde del mondo, risulti fondamentale per la lotta alla crisi climatica. Proprio per questo motivo i Paesi coinvolti – Brasile, Bolivia, Colombia, Ecuador, Guyana, Perù, Suriname e Venezuela – puntano alla creazione di un’agenda di cooperazione comune dei Paesi che ospitano la foresta pluviale. Un passo importante quello sottoscritto dalla dichiarazione di Belém, che si concretizza nella realizzazione di un’Alleanza contro la deforestazione, volta allo sviluppo sostenibile delle risorse della regione. Per raggiungere tale obiettivo la dichiarazione ha fissato ben 113 punti di azione divisi in diversi capitoli, i più importanti dei quali riguardano anche la creazione di un Parlamento Amazzonico, oltre che al coordinamento di forze di sicurezza e intelligence nella lotta contro il crimine nell’area, alla creazione di un Centro di Cooperazione Internazionale della polizia e al mantenimento di una politica comune in materia di rispetto dei diritti umani e protezione delle popolazioni autoctone.
Le parole del Papa per un vertice atteso
Anche Papa Francesco – che nella sua enciclica Laudato si’ ha sottolineato l’importanza della tutela della casa comune e all’Amazzonia ha dedicato un Sinodo nel 2019 – durante l’udienza generale di oggi, mercoledì 9 agosto, ha rivolto “un saluto particolare ai presidenti dei Paesi della regione amazzonica che in questi giorni sono riuniti a Belém do Pará, in Brasile. Assicuro le mie preghiere per il buon esito del loro incontro – ha dichiarato il Pontefice – augurando che si rinnovi l’impegno di tutti per la cura del creato e lo sviluppo sostenibile”.
Primo vertice dopo 14 anni
Quello appena concluso rappresenta il primo vertice in 14 anni per il gruppo delle otto nazioni partecipanti. L’incontro venne istituito nel 1995 dai Paesi sudamericani che condividono il bacino amazzonico, un luogo in cui è racchiusa circa il 10% della biodiversità terrestre e che, con i suoi numerosissimi alberi, rappresenta per il pianeta un serbatoio vitale di carbonio, fondamentale nella lotta al riscaldamento globale. La deforestazione infatti – oltre che a distruggere habitat naturali e territori storicamente abitate dalle popolazioni native dell’Amazzonia – abbattendo gli alberi contribuisce al rilascio di carbonio assorbito dalle piante, con conseguenze catastrofiche per il clima.
Le divergenze sul petrolio
I passi in avanti fatti dal vertice hanno tuttavia evidenziato le diverse posizioni dei Paesi membri in merito ai combustibili fossili. Il presidente della Colombia, Gustavo Petro, ha criticato aspramente l’esplorazione del petrolio nella regione, ponendosi in contrasto con il suo omologo brasiliano, Luiz Inácio Lula da Silva, il quale invece non sembra opporsi ai nuovi blocchi off shore che la statale Petrobras vorrebbe avviare alla foce del Rio delle Amazzoni. Questo rappresenta “un enorme conflitto etico, soprattutto per le forze progressiste che dovrebbero stare dalla parte della scienza”, ha detto il leader colombiano nel suo intervento. La posizione del presidente colombiano è fortemente condivisa dalla ministra dell’Ambiente brasiliano, Marina Silva, come Petro preoccupata per i potenziali rischi ecologici. Silva ha infatti difeso la decisione presa a maggio dall’Istituto brasiliano dell’ambiente di negare la licenza a Petrobras dichiarando che: “Non si possono rendere più flessibili le licenze ambientali, come non si può rendere più flessibile la cardiochirurgia. I processi di licenza sono processi tecnici”.