Medico dello sport, appassionato scalatore, giornalista, ispirato da una visione ecologica integrale, Paolo Crepaz guida il lettore alla scoperta della montagna e a un approccio etico e responsabile a questo ambiente: paesaggio naturale tra sviluppo e conservazione, luogo dove prendersi cura del proprio corpo e coltivare la mente e lo spirito
Adriana Masotti – Città del Vaticano
“Vivere la montagna” porta come sottotitolo le parole “paesaggi”, “sport” e “salute”. Ma c’è tanto altro in questo libro scritto da Paolo Crepaz e pubblicato da Città Nuova Editrice. Numerosi infatti gli aspetti dell’ambiente montano trattati dall’autore che dichiara ai lettori: se queste mie riflessioni “vi faranno innamorare delle montagne così come le montagne hanno fatto innamorare me, avrò raggiunto il mio scopo”.
Della montagna, dunque, nelle 160 pagine del volume si indaga la storia in rapporto alla presenza umana, le peculiarità delle attività economiche come l’agricoltura, la praticabilità di sport che vanno dallo sci al trekking, dalle salite in mountain bike alle camminate sui sentieri tra i boschi con gli effetti sul fisico e sulla mente. E ancora i cambiamenti climatici, l’avvento del turismo di massa, i rischi nei quali si può incorrere, l’opportunità di sperimentare il silenzio e la dimensione spirituale delle vette che in ogni religione richiamano al sacro, la condivisione della fatica e delle conquiste. Un ambiente straordinario che evidenzia la fragilità umana, la bellezza dell’incontro, la semplicità: non per niente solo incrociandosi su un sentiero montano le persone usano ancora oggi scambiarsi un saluto, impensabile in città o anche al mare.
La montagna è un modo di vivere
Paolo Crepaz, medico chirurgo specialista in medicina dello sport e fisiatria, vicepresidente del Coni Trento, delegato provinciale per il Trentino della Federazione Medico Sportiva Italiana, è autore di numerosi articoli e pubblicazioni. In questo saggio offre al lettore una guida per conoscere la montagna e avvicinarsi ad essa con il giusto approccio per poter godere della sua strordinaria bellezza e, alla fine, conoscere di più se stesso. Nell’intervista a Vatican News, l’autore racconta la sua passione per la montagna non idealizzandola ma guardandola nella sua complessa realtà sociale, economica e culturale in continua trasformazione:
Paolo Crepaz, nell’introduzione al libro lei scrive di aver iniziato ad amare la montagna fin da piccolo, in estate in Val di Funes, con le vacanze in tenda, e poi di aver praticato negli anni scalate, discese con gli sci, camminate, corse in montain bike. Ci parla di questo suo grande amore per la montagna?
Il mio è un amore corrisposto perché ho amato la montagna e la montagna mi ha regalato tanto. È stato l’ambiente naturale che ha ispirato e accompagnato la mia crescita. La montagna non è un luogo, la montagna è un modo di vivere la vita ed è per questo che mi ha sempre appassionato fin da quando mia madre mi accompagnava a conoscere i funghi, i fiori, ad ascoltare gli uccelli, a bere l’acqua del ruscello. Questa passione è rimasta e ancora oggi per me la montagna è un dono, un dono prezioso, perché noi facciamo parte della natura, la natura non ci appartiene e questo riuscire ad entrare in dialogo con la natura fa vivere esperienze straordinarie.
La prima parte del libro descrive la presenza dell’uomo tra le montagne e le trasformazioni operate sulla montagna per rendere sempre più accessibile, produttivo e abitabile il territorio montano, fino ad essere poi spopolato di nuovo e abbandonato da chi lo abitava. Tutto questo per interrogarsi sui cambiamenti dell’identità alpina fino alla realtà attuale e cioè l’ottica commerciale con cui spesso è considerata, la montagna che diventa dei cittadini…
Mi sembra importante fare una precisazione che non è mia ma dell’antropologo, Annibale Salsa, il quale spiega molto bene che il termine paesaggio naturale è un ossimoro, nel senso che esiste la natura selvatica e esiste il contributo dell’uomo. Quando parliamo di paesaggio naturale dobbiamo intendere questa complicità fra quello che la natura in sé offre e il lavoro dell’uomo sulla natura. Questo è avvenuto nei secoli, appunto, ed avviene tuttora. Oggi la trasformazione va in un senso, diciamo, turistico, è la sportivizzazione della montagna con sicuramente delle risorse per il contesto turistico, ma delle problematiche nuove che tutti conosciamo: le strade e gli impianti sciistici affollati, la mancanza di neve e quindi l’uso della neve artificiale ecc… Rimane il fatto che il contributo dell’uomo sull’ambiente naturale è fondamentale, in positivo e in negativo. Oggi dobbiamo interrogarci su quanto possa essere davvero negativo l’impatto che l’uomo può produrre perché la montagna sta perdendo le sue qualità.
Molto spesso, infatti, la gente chiede di trovare in montagna tutte le comodità, ma un ambiente di montagna abbina i concetti di fatica e di limite. In montagna tu hai la possibilità di sperimentare il limite, quindi è una risorsa. Il limite significa che lì non ci arrivi perché non hai le forze o che lì non ci si può andare. Questo è un regalo che la natura ti fa e quindi rendere facile l’accesso alla montagna non è sempre una soluzione, prima o poi si esauriscono le risorse: costruire laghetti artificiali, fare seggiovie dappertutto, fare vie ferrate, cioè rendere facile l’accesso alla montagna deve avere un limite. E iI limite e la fatica sono concetti tutt’altro che negativi.
Il lavoro in montagna, l’agricoltura, la pastorizia, le foreste sono tutte realtà con cui è necessario confrontarsi tentando anche nuove strade. Che stagione vive oggi l’economia di montagna?
Ci vorrebbe del tempo per spiegare questo aspetto. Abbiamo nell’immaginario collettivo un’idea della montagna che secondo me è falsa. Qualcuno lo chiama “il mondo di Heidi”, una sorta di cartolina in cui idealizziamo la montagna come luogo del riposo. Questo soprattutto, evidentemente, da parte di chi vive nelle grandi città che immagina di vivere in montagna come in una sorta di paradiso terrestre. Ma la montagna è tutt’altro. La sua bellezza è legata alla cultura, alla presenza dell’uomo, al lavoro. Quindi una delle cose che suggerisco nel libro è quella di andare a scoprire la montagna scoprendo i montanari e andando a conoscere e a capire che cosa è la cultura di montagna, le tradizioni, quanta fatica costa vivere e rimanere oggi in montagna e saper privilegiare questa presenza, conoscerla, valorizzarla.
Come incide sulla montagna il cambiamento climatico? Come affrontarlo?
In montagna è più facile rendersi conto del cambiamento climatico: i grandi temporali, la siccità sono due fenomeni opposti a cui stiamo assistendo. Io però non sarei in generale così pessimista perché, secondo me, noi abbiamo uno sguardo rispetto alle mutazioni climatiche a passo corto. La storia ci insegna che ci sono stati periodi diversi per i quali l’ambiente naturale ha sofferto, diciamo per semplificare, periodi di grande freddo e periodi di grande caldo. Dobbiamo interrogarci su quanto l’uomo può incidere oggi sulle condizioni climatiche e gli esperti ci dicono che questa incidenza c’è. Allora la natura fa il suo corso, ma noi dobbiamo chiederci qual è il contributo, in questo caso in negativo, che l’uomo sta dando all’ambiente naturale.
“Forse è la magia della montagna che ci fa meditare sull’autenticità della vita che conduciamo”, scrive nella prefazione al libro Fausto De Stefani, uno dei più grandi alpinisti italiani, suo amico. Tanti dicono che la montagna fa scoprire il senso della vita. È così, secondo lei?
Dipende con quale predisposizione la si affronta. Perché se immaginiamo la montagna fatta di rifugi come resort di lusso, in cui mangiare il pesce e trovare le docce calde e la Jacuzzi, abbiamo sbagliato indirizzo. Ci siamo persi un’occasione straordinaria di fare quell’esperienza che specificatamente la montagna può offrire. Se la montagna offre alcune situazioni che sono quelle dell’aria pulita, del silenzio, della luce particolare del paesaggio, delle albe e dei tramonti, chi va in montagna deve essere, vorrei dire, furbo per rendersi conto di questo ambiente, di questa opportunità che può vivere. Molti invece temono il silenzio, perché il silenzio ti obbliga a pensare, la montagna, se vuoi, ti obbliga a pensare e sta a te cogliere o meno questa occasione di stare in silenzio. Un contesto montano offre questa possibilità perché lì tu ti senti relativo, direi minimo, rispetto all’ambiente naturale. Io ho fatto questa esperienza alle falde dell’Everest e ti senti interrogato sulla tua esistenza, ma sta a te accettare o meno che la natura ti interroghi.
Lei è medico dello sport e dedica diverse pagine al movimento, all’esercizio fisico, fa un elogio del camminare per i suoi benefici per la salute fisica e per quella mentale. Anche questa è una cosa importante da sapere…
Abbiamo parlato prima della crisi climatica, ora io vorrei parlare della crisi della salute pubblica. Oggi siamo di fronte a una situazione veramente critica nella quale l’innalzamento, per fortuna, dell’aspettativa media di vita delle persone, aumenta le cronicità e dobbiamo interrogarci su quali risposte la sanità pubblica è in grado di offrire. Anche per questioni strettamente economiche, dobbiamo puntare sulla prevenzione e non sulle terapie e nella prevenzione sono cardine i sani stili di vita. Questo significa un’alimentazione corretta, abitudini di vita corrette, ma significa soprattutto movimento. L’attività fisica, parlo del camminare come gesto accessibile a tutti, rappresenta l’unica medicina in grado di curare contemporaneamente tante malattie. È l’unica medicina oggi in commercio, mi permetto di dire, senza effetti collaterali e praticamente a costo zero. Prescrivere l’esercizio fisico non è soltanto una cosa chic, una cosa alla moda, è diventata un’esigenza individuale e sociale per la salute. E l’ambiente montano offre semplicemente le opportunità per farlo perchè è motivante, è gradevole, offre delle condizioni particolari per cui siamo invitati più naturalmente a metterci in movimento.
Ha qualche consiglio da dare su come vivere un rapporto corretto con la montagna?
I consigli potrebbero essere questi: prima di tutto è possibile andare in montagna anche fuori dall’alta stagione, cioè nei momenti in cui è meno affollata. Seconda cosa, sono bellissime le località turistiche affermate, ma esistono per fortuna ancora molte località meno note, più nascoste ma altrettanto affascinanti. Un altro consiglio per quando si va in montagna o prima di andarci è quello di conoscere, di studiare, di leggere qualche cosa sulla cultura di quel posto, sulle tradizioni. E poi nel momento in cui si va in montagna, conoscere le persone del luogo, non vivere l’esperienza della montagna come una realtà “mordi e fuggi”, ma fermarsi a parlare con i contadini, con gli artigiani, con gli anziani, con le persone che ci vivono. Saremo arricchiti da questa opportunità. L’ultima cosa forse la riserverei ad uno slogan che è in uso nell’ambito sportivo, e cioè “più veloce, più forte, più in alto”. Ecco, di fronte alla montagna io prenderei un motto diverso, che è quello di Alexander Langer, un ecologista ante litteram. Langer suggeriva di andare “più piano, più profondo e più soave”. Questo è il motto con il quale suggerisco di avvicinarsi alla montagna: faremo delle esperienze straordinarie che non possiamo nemmeno immaginare.
Ha detto che la montagna per lei è un dono. Che cosa prova quando va in montagna? Qual è la cosa più bella che si porta con sé quando torna a valle?
Come dicevo, la montagna mi regala l’opportunità di riflettere sulla mia vita, sul passato, sul presente, ma soprattutto sul futuro. La montagna, e spero che questa esperienza sia accessibile a tanti, a me offre l’opportunità di prendere consapevolezza e coscienza della mia quotidianità. Ho un lavoro molto impegnativo, faccio 45-50 ore di ambulatorio alla settimana, dalla montagna torno a casa con più attenzione alle ore del sonno, ad un’alimentazione corretta, a ricavare momenti di attività fisica e soprattutto a ricavare momenti per costruire relazioni.