La decisione degli Stati Uniti di inviare cluster bombs all’Ucraina riapre il dibattito su queste munizioni che hanno gli stessi effetti delle mine antiuomo. Annunciata la distruzione delle ultime armi chimiche negli Usa: il pianeta ora libero da questi terribili strumenti di distruzione, ma rimane il rischio di programmi non dichiarati. Simoncelli, vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo: “Eliminato il grosso della minaccia”
Michele Raviart – Città del Vaticano
La decisione presa dagli Stati Uniti di rifornire l’Ucraina di cosiddette “bombe a grappolo” per contrastare l’invasione russa ha diviso la comunità internazionale. Dopo il sì, definito dal presidente Usa Joe Biden “particolarmente difficile”, alle richieste ripetute del presidente ucraino Volodymir Zelensky di avere queste munizioni particolarmente efficaci (una sola “bomba” contiene al suo interno decine di altre bombe più piccole che vengono lanciate “a grappolo” con il primo colpo coprendo un’area particolarmente estesa) è arrivato il no delle Nazioni Unite e di gran parte degli alleati europei degli Usa, oltre a quello della Russia. Mosca, che pure sta utilizzando bombe a grappolo nel conflitto – come anche l’esercito ucraino finchè ne ha avute a disposizione, soprattutto ereditate dall’epoca sovietica – ha parlato di “un gesto disperato che avvicina alla terza guerra mondiale”.
Bombe inesplose come mine antiuomo
“È un sistema di armi che è stato contestato a lungo ed è ancora contestato”, spiega a Vatican News Maurizio Simoncelli, vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, “perché una parte consistente che oscilla tra il 25 e il 40% di queste “bomblets” – come vengono chiamate le bombe più piccole – non esplode e rimane sul territorio del combattimento, causando lo stesso effetto delle mine antiuomo che colpiscono perlopiù la popolazione civile”. Sono civili infatti l’80% delle vittime delle bombe a grappolo inesplose che, spiega ancora Simoncelli, sono pari “a circa 5-6 mila morti all’anno a cui si aggiungono le persone che vengono mutilate”. Tra mine e bomblets, aggiunge, “si parla all’incirca di 500 milioni di ordigni inesplosi nel mondo”.
Evitare uno scenario come il Vietnam e la Cambogia
Il parametro chiave, quando si parla di munizioni a grappolo è la percentuale di bombe che restano inesplose. Gli Stati Uniti parlano di un tasso molto basso, e non verificabile in maniera indipendente, di poco superiore al 2%, comunque più alto dell’1% previsto dalla legge americana – per l’esportazione è stata infatti necessaria una deroga. Il rischio, infatti, è che l’Ucraina diventi come il sud-est asiatico dopo la guerra del Vietnam, con gli ordigni inesplosi che hanno colpito per decenni la popolazione. A sottolinearlo è stato lo stesso primo ministro della Cambogia, Hun Sen, che ha ricordato la “dolorosa esperienza” degli anni ’70. “Per pietà per il popolo ucraino, chiedo al presidente degli Stati Uniti, come fornitore, e al presidente, ucraino, come destinatario, di non usare bombe a grappolo nella guerra perché le vere vittime saranno gli ucraini”, ha affermato.
70 Paesi non hanno firmato il trattato di Oslo
A livello internazionale l’uso di bombe è grappolo è vietato da una Convenzione internazionale delle Nazioni Unite firmata a Oslo nel 2008 da 123 Paesi – tra cui l’Italia. Sono fuori dal trattato, e quindi non vincolati dal diritto internazionale su questo tema, alcuni Paesi produttori o rilevanti a livello geopolitico come Stati Uniti, Russia, Cina, Israele, Brasile, Arabia Saudita, India e la stessa Ucraina. “Sono una settantina i Paesi che non fanno parte di questo gruppo di firmatari”, continua Simoncelli, “ ma bisogna rilevare che alcuni loro, pur non facendo parte del Trattato di Oslo, finanziano la campagna internazionale contro lo sminamento delle Nazioni Unite. Uno di questi ad esempio sono gli Stati Uniti. Rimane tuttavia il problema di queste bombe che hanno un effetto devastante anche anni e anni dopo la fine del conflitto”.
Biden annuncia la distruzione delle scorte di armi chimiche
Parallelamente alla decisione di inviare bombe a grappolo all’Ucraina, Biden ha anche annunciato di aver distrutto in maniera sicura le ultime munizioni di armi chimiche dell’arsenale americano. Con questo gesto, ha confermato poche ore dopo l’Opac, l’organizzazione per la proibizione di questi armamenti, sono state distrutte tutte le scorte dichiarate nel mondo. Si trattava di 72 mila tonnellate di armi chimiche che andavano eliminate entro il 30 settembre del 2023. “Le armi chimiche hanno una lunga storia nel XX secolo. Sono state armi terribili ma anche difficili da usare, al punto tale che già nel 1925 ci fu un primo protocollo a Ginevra in cui si parlava di proibire queste armi”, ricorda Simoncelli. “sono ovviamente molto pericolose perché possono essere armi di tipo nervino come il Sarin o il VX che colpiscono il sistema nervoso”. “Ci può essere l’iprite che è vescicante o il fosgene che è soffocante”, ribadisce l’esperto, sottolineando anche i rischi per gli eserciti che usano queste armi,
Simoncelli: il grosso della minaccia è stato eliminato
“Successivamente siamo arrivati alla Convenzione del 1997 per cui 193 Stati, praticamente tutto il mondo si è impegnato per la distruzione. C’è stata quindi una convergenza un po’ interessata da parte di tutti Paesi, però ci sono tante altre armi terribili come quelle nucleari, però queste armi sono terribili ma anche difficili da gestire”. Lo stesso Biden ha parlato anche dei rischi che alcuni Paesi come Russia e Cina abbiano dei “programmi non dichiarati utilizzati per commettere atrocità”. “L’Opac fa analisi, controlli e ispezioni abbastanza precise”, commenta ancora Simoncelli. “Può sempre succedere che qualcuno di nascosto le realizzi però quando noi parliamo della totalità delle armi possiamo parlare del 99%. Teoricamente può succedere anche perché realizzare le armi chimiche è relativamente facile dal punto di vista industriale, però credo che il grosso della minaccia sia stato eliminato”.