Una riflessione del cardinale emerito di Leiria-Fátima, António Marto, su L’Osservatore Romano, dopo l’annuncio di oggi del riconoscimento da parte del Papa delle virtù eroiche di una delle tre pastorelle
di António Marto *
Che cosa significa essere un testimone se non fare della propria vita un memoriale, una memoria vivente dell’esperienza di Dio? Così si può definire la vita di Lucia di Gesù (1907-2005), la pastorella di Fátima che divenne religiosa carmelitana e ben presto comprese che la sua vocazione era quella di vivere nel mondo «ricordando a quelli che passano la grandezza delle Misericordie Divine» (Memorie di Suor Lucia, p. 186). Il suo nome, Lucia, ci presenta in effetti la giusta metafora che sintetizza la sua vita aperta alla luce di Dio e divenuta riflesso di questa luce. La sua biografia si è trasformata in un permanente incontro con quel Dio che al suo cuore in ricerca si era rivelato come Luce. Lucia accoglie l’immensità della luce di Dio, lasciandosene conquistare fino al punto di rendere il suo volto un inatteso riflesso di questa stessa luce. Divenne il suo progetto di vita, che è progetto di santità: «vivere alla luce di Dio che abita in me, vivere nella luce e vivere per la luce» (Diario, 18.06.1970).
Innamorata della bella luce di Dio
Insieme ai suoi cugini san Francesco e santa Giacinta Marto, Lucia di Gesù, ora venerabile, è stata testimone della buona novella che la Signora del Rosario aveva loro affidato a Fátima: la bellezza accattivante di un Dio che è comunione d’amore. Il mistero dell’Amore trinitario di Dio, nel quale Lucia venne introdotta dall’angelo e poi avvolta nell’apparizione del giugno 1917, l’ha affascinata ed è diventato il cuore pulsante della sua vita: mistero contemplato, amato e adorato nel silenzio contemplativo ed orante, dalla sua infanzia fino agli ultimi giorni della sua vita in clausura. Nel libro Come vedo il messaggio, a distanza di ben 66 anni da questa sua prima esperienza, Lucia ricorda di quel momento le braccia aperte di Maria che «con un gesto di protezione materna, ci avvolse nel riflesso della Luce dell’immenso Essere di Dio. Fu una grazia che ci segnò per sempre nella dimensione soprannaturale» (p. 44). Questo abbraccio dell’amore di Dio è, per lei, non solamente un momento iniziale della conversione, ma è il luogo in cui tutta la sua esistenza trova una dimora e dove poggiano le fondamenta stabili del suo impegno vocazionale.
In un mondo in cui, da una parte, molti credenti hanno perso o, magari, non hanno mai sperimentato la bellezza di Dio nel cuore e nella vita e, dall’altra parte, sono però molti quelli che sono assetati di una bellezza che sappia ricolmare le ansie profonde dell’esistenza, la testimonianza di Lucia viene a ricordarci che, come diceva J. B. Metz, «alla crisi di Dio si risponde solo con la passione per Dio» e che alla sete di Dio si risponde con la trasparenza di una vita innamorata del suo mistero di bellezza e di bontà.
Consacrata al Cuore della Madre
Proprio come il discepolo Giovanni ai piedi della croce, così anche suor Lucia ha ricevuto Maria «nella sua casa» con una devozione e un affetto speciali. Lo esprime così: «Vedevo lì una Signora tanto bella che mi diceva essere del cielo! Sentii una gioia tanto intima che mi riempì di fiducia e di amore; mi sembrava che niente potesse più separarmi da questa Signora» (Come vedo il messaggio, p. 30). Ed era questa, in effetti, la promessa che la Signora le aveva fatto nel luglio del 1917: «Io non ti lascerò mai. Il mio Cuore Immacolato sarà il tuo rifugio e il cammino che ti condurrà a Dio». Lucia confida in questa certezza e, contemplando questo Cuore Immacolato, impara quella umiltà e quella semplicità che lasceranno stupiti tutti coloro che la incontreranno. Questa umile semplicità di cuore rafforza la credibilità del messaggio che ella annuncia.
Lucia si consacra al Cuore materno di Maria che aveva promesso di accompagnarla e si impegna nella consacrazione del mondo intero a questo Cuore. La Signora aveva promesso: «Alla fine, il mio Cuore Immacolato trionferà». Questa promessa ricorda la vittoria della Misericordia, della quale il Cuore Immacolato è un simbolo umile, ma anche tenero, affettuoso e capace di attrarre per poter così condurre il cuore umano a Dio. La vita di Lucia diventa immagine anche del paradossale trionfo del Cuore: nascosta nella clausura, lontano dal palcoscenico dei grandi decisori e dalle luci della notorietà, una santità portata avanti nel silenzio contemplativo, nella condivisione semplice, nell’accoglienza di ciò che accade e nella preghiera fiduciosa. È il trionfo della santità che null’altro è che «vivere nella luce di Dio»
Testimone per il mondo
A suor Lucia compete, in un modo particolare, ricordare alla Chiesa e al mondo la buona notizia della presenza di Dio. Il messaggio di Fátima è una parola profetica, di avvertimento e, nello stesso tempo, di promessa di riconciliazione e di pace. Nel momento in cui le guerre mondiali — durante le quali i popoli rimanevano coinvolti in un processo di annichilimento e di morte mai visto né immaginato — immergevano nella violenza il secolo XX, Dio, attraverso la madre del Suo Figlio, dà dei segni della Sua misericordia: si rende presente, invita gli uomini a non rassegnarsi alla banalizzazione del male e risveglia la speranza per mezzo di un vasto rinascimento spirituale di fervore, preghiera e profonda conversione dei cuori.
Lucia è stata la testimone di questo messaggio, una memoria vivente lungo tutto il secolo XX, nella verità, nell’umiltà e nella discrezione del suo silenzio contemplativo. Stupisce il fatto che un’umile bambina, una pastorella, che poi divenne una semplice suora di clausura, trovi nell’intimità della sua cella carmelitana la dinamica della fedeltà alla sua vocazione missionaria. Lucia si ritira nel segreto della sua clausura perché la luce del messaggio brilli con intensità. E da lì scrive le memorie relative agli avvenimenti di Fátima, mantiene una corrispondenza epistolare con la Chiesa e con il mondo e non desiste mai dal farsi eco del messaggio evangelico che aveva accolto.
La sua vocazione al Carmelo fu come il coronamento del “sì” dato alla Madonna già sin dalla prima apparizione. Suor Lucia comprese sempre di più che, nella sua vocazione di carmelitana alla quale si era sentita chiamare da Dio, si sarebbe potuta consacrare e offrire totalmente a Lui per il bene di tutta l’umanità, in una vita di preghiera e di sacrificio. I maestri del Carmelo le insegneranno il cammino della discepolanza, che è sempre stato un cammino di obbedienza.
Richiamare la vita di Lucia diventa, allora, un invito a riconoscere nel tempo presente, anch’esso carico di incertezze, timori e violenza, la presenza sicura e misericordiosa di Dio. E significa anche interpellare la Chiesa affinché diventi costantemente una comunità che si assume la responsabilità di un modo di essere allo stesso tempo coraggioso e discreto, che faccia trasparire così la memoria del Vangelo.
* Cardinale vescovo emerito di Leiria-Fátima