Nel suo ultimo discorso in Ungheria, pronunciato durante l’incontro con il mondo universitario e della cultura, all’Università cattolica “Péter Pázmány”, il Papa parla della conoscenza che non deve limitarsi ad un sapere tecnico e che per diventare cultura è chiamata a liberarsi dai confini angusti dell’avere e del possedere. E poi avverte che “un certo uso degli algoritmi può rappresentare un ulteriore rischio di destabilizzazione dell’umano”
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
La conoscenza, i progressi della tecnica, la tracotanza di essere e avere, il rischio che l’uomo si lasci appiattire dalle macchine perdendo il contatto con la realtà e la capacità di coltivare lo spirito: sono questi i temi che Francesco affronta nell’ultimo discorso del suo 41.mo viaggio apostolico, durante l’incontro con il mondo universitario e della cultura all’Università cattolica “Péter Pázmány”. Nelle sue parole c’è anche il richiamo al pericolo di quelle ideologie portatrici di una falsa idea di libertà e a quanto ha vissuto l’Ungheria.
L’Ungheria ha visto il susseguirsi di ideologie che si imponevano come verità, ma non davano libertà. E anche oggi il rischio non è scomparso: penso al passaggio dal comunismo al consumismo. Ad accomunare entrambi gli “ismi” c’è una falsa idea di libertà; quella del comunismo era una “libertà” costretta, limitata da fuori, decisa da qualcun altro; quella del consumismo è una “libertà” libertina, edonista, appiattita su di sé, che rende schiavi dei consumi e delle cose.
E se “è facile passare dai limiti imposti al pensare, come nel comunismo, al pensarsi senza limiti, come nel consumismo”, e “da una libertà frenata a una libertà senza freni”, Gesù insegna che “è vero ciò che libera l’uomo dalle sue dipendenze e dalle sue chiusure”, chiarisce Francesco, aggiungendo che “la chiave per accedere a questa verità è un conoscere mai slegato dall’amore, relazionale, umile e aperto, concreto e comunitario, coraggioso e costruttivo”.
Due tipi di conoscenza da conciliare
Il Papa, espone il suo pensiero sulla conoscenza, richiamando la figura di Romano Guardini, che distinse quella umile e quella relazionale, quel “creare secondo la natura, che non oltrepassa i limiti stabiliti” e quell’analizzare e afferrare le cose che fa convergere le energie e le sostanze ad un unico fine che è la macchina.
Oggi si è molto “social” e poco sociali
Francesco spiega che “Guardini non demonizza la tecnica, che permette di vivere meglio, di comunicare e avere molti vantaggi, ma avverte il rischio” che possa dominare la vita, portando l’uomo a perdere “tutti i legami interiori che gli procurano un senso organico della misura e delle forme di espressione in armonia con la natura”, a stabilire arbitrariamente i suoi fini e ad attuarli dominando e costringendo le forze della natura. Di fronte a tutto ciò, come il grande intellettuale e uomo di fede, il Papa invita a chiedersi se “la vita può rimanere vivente” e sottolinea la domanda all’Ateneo che lo ospita, “dove si approfondiscono l’informatica e le scienze bioniche”. Il pensiero di Francesco va alla crisi ecologica, con la natura reagendo all’uso strumentale che ne fa l’uomo; “alla mancanza di limiti; alla logica del ‘si può fare dunque è lecito’”; “alla volontà di mettere al centro di tutto non la persona e le sue relazioni”, ma l’individuo “avido di guadagnare e vorace di afferrare la realtà”. Ma è in particolare “all’erosione dei legami comunitari” che il Papa invita a guardare, alla solitudine e alla paura che “da condizioni esistenziali, paiono tramutarsi in condizioni sociali, e lancia l’allarme.
Quanti individui isolati, molto “social” e poco sociali, ricorrono, come in un circolo vizioso, alle consolazioni della tecnica come a riempitivi del vuoto che avvertono, correndo in modo ancora più frenetico mentre, succubi di un capitalismo selvaggio, sentono come più dolorose le proprie debolezze, in una società dove la velocità esteriore va di pari passo con la fragilità interiore.
Il rischio di una tecnica sempre più dominante
C’è una “tracotanza di essere e di avere” che “il paradigma tecnocratico esaspera, con un certo uso degli algoritmi che può rappresentare un ulteriore rischio di destabilizzazione dell’umano”, avverte Francesco, che a tal proposito cita il romanzo “Il padrone del mondo”, di Robert Benson, già richiamato in diversi discorsi. Un libro profetico, lo definisce il Papa, che descrive “un futuro dominato dalla tecnica e nel quale tutto, in nome del progresso, viene uniformato”, dove vengono annullate le differenze, azzerate le vite dei popoli e abolite le religioni e “ideologie opposte convergono in una omologazione che colonizza ideologicamente” e dove “l’uomo, a contatto con le macchine, si appiattisce sempre di più”. In uno scenario del genere, osserva Francesco, “dove tutti sembrano insensibili e anestetizzati, pare ovvio scartare i malati e applicare l’eutanasia, così come abolire le lingue e le culture nazionali per raggiungere la pace universale, che in realtà si trasforma in una persecuzione fondata sull’imposizione del consenso”.
Curare le relazioni con il trascendente, la società e il creato
Di fronte a un simile scenario, il Papa richiama “i ruoli della cultura e dell’università”, specificando che l’università è “il luogo dove il pensiero nasce, cresce e matura aperto e sinfonico”, “tempio dove la conoscenza è chiamata a liberarsi dai confini angusti dell’avere e del possedere per diventare cultura”, in quelle relazioni che l’uomo coltiva “con il trascendente, con la società, con la storia, con il creato”. Tanto che, il Concilio Vaticano II, nella Gaudium et Spes, afferma che “la cultura deve mirare alla perfezione integrale della persona umana, al bene della comunità e di tutta la società umana” e per questo occorre “coltivare lo spirito in modo che si sviluppino le facoltà dell’ammirazione, dell’intuizione, della contemplazione, e si diventi capaci di formarsi un giudizio personale e di coltivare il senso religioso, morale e sociale”. E allora occorre servirsi della scienza per capire e per fare scelte giuste, e per questo serve umiltà. “I grandi intellettuali, infatti, sono umili – dice Francesco -. Il mistero della vita, d’altronde, si svela a chi sa entrare nelle piccole cose”.
Così intesa, la cultura davvero rappresenta la salvaguardia dell’umano. Immerge nella contemplazione e plasma persone che non sono in balia delle mode del momento, ma ben radicate nella realtà delle cose. E che, umili discepole del sapere, sentono di dover essere aperte e comunicative, mai rigide e combattive.
Conoscere significa anche riconoscere i propri limiti
Insomma, chi ama la cultura “porta in sé una sana inquietudine. Ricerca, interroga, rischia ed esplora; sa uscire dalle proprie certezze per avventurarsi con umiltà nel mistero della vita” che a sua volta “si apre alle altre culture e avverte il bisogno di condividere il sapere”. Ed è questo “lo spirito dell’università”, sottolinea il Papa, rimarcando che l’ateneo cattolico ungherese lo vive “attraverso programmi di ricerca condivisi e anche accogliendo studenti provenienti da altre regioni del mondo, come il Medio Oriente” e “in particolare dalla martoriata Siria”.
La cultura ci accompagna a conoscere noi stessi. Lo ricorda il pensiero classico, che non deve mai tramontare. Vengono alla mente le celebri parole dell’oracolo di Delfi: “Conosci te stesso”.
L’uomo è connesso con gli altri e il creato
Francesco specifica che conoscere se stessi “vuol dire saper riconoscere i propri limiti e, di conseguenza, arginare la propria presunzione di autosufficienza” e che “è anzitutto riconoscendoci creature che diventiamo creativi, immergendoci nel mondo anziché dominandolo”. Allora, bisogna riflettere sul fatto che “il pensiero tecnocratico insegue un progresso che non ammette limiti”, mentre invece “l’uomo reale è fatto anche di fragilità, ed è spesso proprio lì che comprende di essere dipendente da Dio e connesso con gli altri e con il creato”. Perciò conoscere sé stessi significa tenere conto, “in una dialettica virtuosa”, della fragilità e della grandezza dell’uomo.
L’insegnamento di Gesù
E se “è facile passare dai limiti imposti al pensare, come nel comunismo, al pensarsi senza limiti, come nel consumismo”, e “da una libertà frenata a una libertà senza freni”, Gesù insegna che la verità rende liberi, che “è vero ciò che libera l’uomo dalle sue dipendenze e dalle sue chiusure”, chiarisce Francesco, aggiungendo che “la chiave per accedere a questa verità è un conoscere mai slegato dall’amore, relazionale, umile e aperto, concreto e comunitario, coraggioso e costruttivo”. Le università, conclude il Papa, sono chiamate a coltivare questo modo di conoscere, mentre la fede deve alimentarlo. E il suo auspicio per l’ateneo ungherese e ad ogni università è “di essere un centro di universalità e di libertà, un cantiere fecondo di umanesimo, un laboratorio di speranza”.