Su L’Osservatore Romano la vicenda del medico ungherese proclamato beato da Giovanni Paolo II nel 2003, che dà il nome all’istituto che ospita bambini non vedenti e poveri e che Papa Francesco visiterà il 29 aprile a Budapest
di Enrica Riera
«Diventerò medico e curerò gratuitamente i malati poveri». László Batthyány-Strattmann, sin da bambino, sa ciò che vuole. Nato nel 1870 a Dunakiliti, in Ungheria, da una famiglia nobile, e cresciuto successivamente in quella che sarebbe diventata l’attuale Austria, inizia a maturare il suo proposito a seguito di un evento tragico, che lo segna per sempre. Quando ha 12 anni, infatti, perde la madre: da qui la volontà, o forse il sogno, di aiutare i più fragili, di prendersi cura degli altri.
Se nel 1900 si laurea in medicina a Vienna, nonostante la ritrosia del padre che avrebbe voluto che il figlio amministrasse i beni di famiglia, già due anni dopo László Batthyány-Strattmann fonda un ospedale privato a Kittsee. Sono 25 i letti disponibili, diventano ben 120 nel corso della Grande guerra: tutti posti pronti ad accogliere i soldati feriti durante il conflitto.
Prima medico generico, poi chirurgo, l’ungherese — che sposa Maria Teresa Coreth dalla quale avrà 13 figli — diventa in un secondo momento oculista. «Una vera e propria missione la sua», ribadisce uno scritto che al «medico dei poveri» è dedicato. Si tratta di una biografia a cura di László Imre Nemeth, edita da Velar nel 2013. «Utilizzò — è scritto ancora nell’agile testo che come titolo porta il nome del medico — la ricca eredità dei suoi nobili antenati per curare gratuitamente i poveri e per costruire due ospedali. Mostrò a quanti la Divina Provvidenza gli portava la fonte della sua vita e della sua missione».
Nel 1915, non a caso, László Batthyány-Strattmann eredita, oltre che il titolo di principe, anche un castello, quello di Körmend, in Ungheria: è proprio qui, in un’ampia ala della struttura, che lo specialista — presto noto in tutto il mondo e non solo nella sua Patria — fonda il già richiamato secondo ospedale, dove le cure sono, ancora una volta, gratuite. Anzi, un “prezzo” da pagare c’è: dopo le terapie e le cure in ospedale, il principe chiede ai suoi pazienti di pregare per lui, recitando il Padre nostro. Preghiere, insomma, “in cambio” di cure. E ciò perché il luminare non si sente Dio, non si crede onnipotente, ma piuttosto «uno strumento nelle sue mani» e, quindi, fallibile, capace, come tutti, di commettere errori.
Medicine senza costi da richiedere in farmacia, spesso anche aiuti finanziari che prescindono dalle vere e proprie cure sanitarie: László Batthyány-Strattmann sempre a disposizione di chi si trova in situazioni di disagio e di difficoltà. Essere medico per lui significa, d’altronde, proprio questo: non voltare le spalle agli ultimi, accompagnare tutti — a prescindere da ceto o classe sociale — in un percorso di guarigione, improntato ai principi e ai valori cristiani con cui cresce, alleviare le loro sofferenze come, in un altro tempo, nessuno aveva fatto o potuto con sua madre.
Molti suoi pazienti lo considerano un santo. Alle dimissioni dall’ospedale, l’oculista “di strada” consegna a tutti un libretto dal titolo significativo, Apri gli occhi e vedi. Il suo scopo è, pertanto, chiaro: aiutare a guarire dalla patologia clinica sì, ma anche e soprattutto aiutare a vivere una vita vera, all’insegna della lealtà, dei buoni sentimenti, dei sentimenti cristiani. László Batthyány-Strattmann crede davvero in quello che fa.
Tuttavia «i veri sentimenti cristiani di László Batthyány-Strattmann si manifestano nella più grande prova della sua vita, cioè durante la sua grave malattia. Scrive a sua figlia Lilli dal sanatorio Löw a Vienna: «Non so per quanto il buon Dio mi farà soffrire. Mi dava tanta gioia nella mia vita perciò adesso, a 60 anni, devo accogliere anche i tempi difficili con gratitudine». A sua sorella diceva: «Sono felice. Soffro atrocemente, però amo i miei dolori e mi consola il fatto che li sopporto per Cristo».
Lo ricordò Giovanni Paolo ii nell’omelia per la beatificazione di cinque servi di Dio (23 marzo 2003), tra cui il medico ungherese: «“Ciò che è debolezza è più forte degli uomini”. Queste parole del Santo Apostolo Paolo rispecchiano la devozione e lo stile di vita del beato László Batthyány-Strattmann, che fu padre di famiglia e medico. Egli utilizzò la ricca eredità dei suoi nobili antenati per curare gratuitamente i poveri e per costruire due ospedali. Il suo interesse più grande non erano i beni materiali, né tanto meno il successo e la carriera furono gli obiettivi della sua vita. Insegnò e visse tutto ciò nella sua famiglia, divenendo così il miglior testimone della fede per i suoi figli e traendo la sua forza spirituale dall’Eucaristia. Il beato László Batthyány-Strattmann mai antepose le ricchezze della terra al vero bene che è nei cieli. Il suo esempio di vita familiare e di generosa solidarietà cristiana sia incoraggiamento per tutti a seguire fedelmente il Vangelo».
Il medico degli ultimi muore, dopo oltre un anno di sofferenze, il 22 gennaio 1931 a Vienna e viene sepolto nella tomba di famiglia a Güssing. Il processo per la sua beatificazione viene aperto nel 1944, per poi cadere in oblio. Solo dopo la guarigione inspiegabile a livello scientifico di un uomo, che soffriva di un cancro insanabile e che aveva chiesto l’intercessione di László Batthyány-Strattmann, la beatificazione in questione viene fissata, come ricordato, nel 2003.
Testimone della fede, quella di quest’uomo — a cui oggi è intitolata sempre in Ungheria anche la Casa per Ciechi e ipovedenti, fondata da suor Anna Fehér, pure lei ipovedente, scomparsa nel 2021 — è, quindi, una storia esemplare. Un uomo che, nella vita e nella professione, non ha mai tradito se stesso. Né, soprattutto, la sua volontà, o forse il suo sogno, di curare, nel ricordo di chi lo aveva messo al mondo, gratuitamente i malati poveri. Ciò che sognava da bambino si è così avverato.