L’istituto Paolo VI di Brescia ha annunciato, nella Sala Stampa della Santa Sede, il conferimento del riconoscimento internazionale al presidente della Repubblica Italiana, che lo riceverà in Vaticano dalle mani di Papa Francesco il 29 maggio, memoria liturgica di san Giovanni Battista Montini. Il presidente dell’Istituto, don Maffeis: “Segno della venerazione del Pontefice per il suo predecessore e della stima verso il capo dello Stato”
Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Il Premio internazionale Paolo VI, assegnato dall’Istituto che porta il nome di Papa Giovanni Battista Montini a personalità che “con il loro studio e le loro opere abbiano contribuito alla crescita del senso religioso nel mondo”, viene conferito quest’anno al presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella e sarà consegnato da Papa Francesco il 29 maggio in Vaticano. Lo ha annunciato ai giornalisti, nella Sala Stampa Vaticana, il presidente dell’Istituto Paolo VI di Concesio (Brescia), don Angelo Maffeis, ringraziando il Papa che, come nelle precedenti sei edizioni i suoi immediati predecessori, ha accettato di consegnare personalmente il premio. Un gesto, che avverrà nella Sala Clementina del palazzo Apostolico nella memoria liturgica del santo, ha sottolineato il presidente dell’istituto, “che testimonia la venerazione di Papa Francesco per Paolo VI, la stima nei confronti del presidente Sergio Mattarella” e anche l’apprezzamento per il lavoro “che ormai da 44 anni l’Istituto svolge per tener viva la memoria del Papa bresciano e studiarne l’insegnamento e l’opera”.
La settima edizione del Premio, avviato nel 1984
Assegnato per la prima volta nel 1984 a Hans Urs von Balthasar per gli studi teologici, il premio, ha ricordato don Maffeis, “intende in particolare riconoscere la fecondità culturale del messaggio cristiano, capace di promuovere un autentico umanesimo”. E l’attribuzione al presidente Mattarella, dopo 14 anni di sospensione (l’ultima assegnazione risale al 2009 alla Collana “Sources Chrétiennes” per l’educazione) dell’edizione dedicata a “Paolo VI e l’Italia: l’eredità storica e l’attualità”, vuole sottolineare, “come l’azione politica e il servizio al bene comune nell’esercizio delle diverse funzioni istituzionali, siano uno degli ambiti significativi in cui ciò può avvenire”.
La partecipazione di Montini alle vicende del ‘900 italiano
Il presidente dell’Istituto bresciano, promosso dall’Opera per l’Educazione Cristiana di Brescia, ha poi sottolineato che quello di Paolo VI “è stato senza dubbio un ministero ecclesiale, al quale sarebbe sbagliato attribuire un’immediata valenza politica”. Ma è anche vero che Giovanni Battista Montini “ha attraversato il Novecento con grande partecipazione alle vicende italiane e internazionali”. Come assistente ecclesiastico della Fuci, “in un contesto dominato dal regime fascista, ha contribuito a formare alla libertà i giovani studenti incontrati nelle sedi universitarie sparse in Italia”. E poi, da sostituto della Segreteria di Stato, nel secondo dopoguerra, “ha accompagnato la crescita della giovane democrazia italiana”. Da arcivescovo di Milano “si è misurato con le profonde trasformazioni in atto in campo culturale e sociale”. E infine, da Papa, “ha continuato a seguire le vicende italiane, con assoluto rispetto per l’autonomia della sfera civile e, insieme, con intima partecipazione personale, tanto nel fervido clima conciliare quanto negli anni drammatici insanguinati dal terrorismo”.
Maffeis: i suoi insegnamenti, ispirazione per i politici cristiani
Nella lettera al padre Giorgio che nel 1924 è incerto se candidarsi alle elezioni politiche, il giovane Montini, ha ricordato infine don Maffeis, “lo incoraggia ad accettare la candidatura e da assumere la responsabilità che ad essa è legata” scrivendo di valutare positivamente “lo sforzo, come il tuo, di quelli che cercano ragioni superiori di coerenza e di moralità politica per rimanere sul campo della competizione, piuttosto che ritirarsi a criticare, e a sognare”. Perché “uno dei pericoli più gravi per un Paese è che dalle sue correnti politiche debbano esulare gli onesti, i probi, i competenti, è quindi atto di civile virtù restare anche quando si debba restarvi come superati e come sconfitti”. Al termine della conferenza, ecco cosa don Angelo Maffeis ha detto ai nostri microfoni:
Perché dopo 14 anni avete voluto riattivare il Premio? E perché la scelta dell’ambito della politica?
Il Premio Paolo VI è stato istituito per presentare al mondo della cultura, al mondo di coloro che guardano all’ eredità di Montini, il significato del pontificato di Paolo VI, ma anche l’esemplarità di alcuni modi in cui persone o istituzioni hanno raccolto questa eredità e l’hanno trasformata in un pensiero, in creazione artistica, in impegno. E quindi, dopo aver percorso l’ambito della teologia, della filosofia, dell’arte, dell’ecumenismo, ci siamo avventurati sul terreno della politica, che certamente era più delicato. Ma ci sembrava opportuno richiamare come l’insegnamento di Montini possa essere significativo proprio per dare un’ispirazione anche a coloro che da cristiani servono il bene comune all’interno delle istituzioni politiche.
Qual è la motivazione del premio di quest’anno al presidente Sergio Mattarella?
La motivazione ufficiale è in fase di redazione e verrà letta il 29 maggio, ma credo che raccoglierà questa duplice indicazione, cioè la sua capacità di incarnare la fecondità culturale e sociale di un messaggio cristiano, anche attraverso il servizio delle istituzioni. E dall’altra parte, questa capacità di coniugare un senso di appartenenza a una comunità, che il presidente Mattarella ha sempre sottolineato, e uno sguardo universale, europeo anzitutto, ma poi che abbraccia tutto un orizzonte globale.
Il professor Andrea Riccardi, membro del vostro comitato scientifico, ha segnalato come uno degli obiettivi dell’istituto è anche quello di trasmettere il messaggio di Paolo VI alle giovani generazioni. Anche gli studi che adesso state portando avanti sul giovane Montini e le sue lettere possono aiutare in questa missione?
Sì, in qualche misura certamente. Bisogna evitare anacronismi, perché è passato un secolo dal momento in cui Montini scriveva le sue riflessioni o intratteneva il dialogo con gli studenti universitari della Fuci e quindi molte situazioni sul piano culturale e sociale sono cambiate. Però dall’altra parte, abbiamo la convinzione, che trova conferma ripetutamente, che questa eredità continua ad essere viva. Bisogna tradurla, ma credo ad esempio, che questa convinzione che Montini ha praticato nella sua pastorale con gli studenti universitari, cioè educare la coscienza a un pensiero libero, critico, religioso che non separa la dimensione di studio, intellettuale, e quella del credente, è un patrimonio che ha un valore che non tramonta.
Un senso del bene comune superiore all’essere parte
Nel suo intervento, Andrea Riccardi, professore emerito di Storia Contemporanea e membro del comitato scientifico dell’Istituto Paolo VI, parlando delle motivazioni del Premio, ha sottolineato che “il presidente Mattarella ha espresso nei suoi due mandati il senso del bene comune superiore alla dimensione di essere parte e partigiani, raccogliendo l’eredità dei padri della democrazia e proiettandola in un tempo globale”. E che il capo dello Stato, “non solito accettare molti riconoscimenti e premi”, ha accolto questa proposta “per il rispetto e la venerazione per la figura di Paolo VI”, per l’amicizia con Papa Francesco e anche per “l’interesse per il lavoro dell’Istituto Paolo VI di Concesio, che ha visitato insieme alla casa natale di Montini”. Le sue parole hanno preceduto il saluto di Pierpaolo Camadini, presidente dell’Opera per l’Educazione Cristiana.
Riccardi: accomunati dalla scelta del governo come servizio
La consonanza tra le due figure, quella di Paolo VI e del presidente Mattarella, per Riccardi, pur lontane nel tempo e con curve esistenziali diverse, è “nell’idea alta della politica, di un cattolicesimo impegnato in politica che si fa parte, ma non è di parte”. Ed ha ricordato che in un’intervista a La Civiltà Cattolica del 2017, Sergio Mattarella diceva come gli anni della sua maturità, quelli di Paolo VI e del Concilio, hanno molto influenzato la sua formazione. E che l’impegno politico per chi ha una formazione cristiana, “richiede una dose di eticità maggiore”. In questo Riccardi sente “un richiamo ad una spiritualità ed un etica della politica montiniane”. In questo premio, ha concluso il fondatore della Comunità di sant’Egidio, c’è un “messaggio ai giovani” in un “momento di disimpegno”: si vuol sottolineare che “l’impegno politico e la dimensione politica non è qualcosa di disprezzabile da cui tenersi lontano”. Ecco Andrea Riccardi al nostro microfono al termine della conferenza:
In quali tratti dell’attività politica del presidente Mattarella avete individuato legami con la spiritualità e anche l’etica della politica di Giovanni Battista Montini?
Nella scelta per la democrazia: Montini è stato un democratico intransigente, come lo è il nostro presidente della Repubblica. Nella scelta del governo come servizio: anche come Papa, Montini è stato un maestro di servizio nel governo. Io vorrei dire il suo carisma è stato il governo, nel senso alto, di tenere unita la comunione della Chiesa. Aggiungerei a tutto questo il bene comune che il presidente della Repubblica mostra di avere molto chiaro, ma ricordiamo quante parole dell’insegnamento montiniano sul bene comune, penso all’enciclica Ecclesiam Suam, come il modo per raggiungere il bene comune, il bene comune mondiale, quello delle comunità, della politica…
Perché come Istituto Paolo VI avete deciso di spostare il premio dall’ambito più sicuro degli studiosi a quello più insidioso della politica?
È stato un bisogno che appariva dal profondo, da una stessa rimeditazione della figura di Paolo VI. L’Istituto Paolo VI non vuole fare politica o non ha ambizioni di continuare la presenza di Papa Montini nella storia, ma vuole dialogare con tutta la vita sociale e culturale, il pensiero e quindi anche la politica. E chi meglio del presidente Mattarella è l’erede spirituale di questa tradizione.
Da studioso della storia del cattolicesimo italiano, qual è stato il grande contributo del giovane sacerdote Montini per lo sviluppo di un cattolicesimo impegnato in politica?
Una coscienza politica libera da giovane, poi la scelta per la libertà e quindi l’antifascismo. Un antifascismo da sacerdote, che amava costruire coscienze libere nei giovani, e questo è molto importante. E poi l’appoggio a De Gasperi nella fondazione della Democrazia Cristiana. E averlo seguito fin quando è stato sostituto della Segreteria di Stato a Roma. Ma anche da Papa ha avuto un occhio attento alla politica, anche sempre da Papa, ma tante memorie, penso quelle di Rumor, lo sottolineano.