Shevchuk: in Ucraina la seconda Pasqua da aggrediti. Le donne sorreggono il Paese

Vatican News

L’arcivescovo maggiore greco-cattolico riflette sulla Pasqua che le Chiese orientali celebrano domani, 16 aprile: “Da un anno dovevamo essere morti, invece siamo vivi e abbiamo la speranza”. Il plauso ai sacerdoti vicini a chi soffre e alle donne che “portano sulle spalle” il peso del conflitto

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“Io credo che veramente in Ucraina sperimentiamo la presenza del Risorto fra noi, perché ormai da un anno che non dovevamo esistere… Ma noi siamo ancora vivi e possiamo confermare a tutto il mondo da Kyiv che Cristo è risorto, è veramente risorto”. L’arcivescovo maggiore di Kyiv-Halyč, Sviatoslav Shevchuk, parla al telefono con Vatican News mentre dalla finestra del suo studio guarda il fiume Dnipro. L’acqua scorre, così come la vita nella capitale del Paese in guerra da oltre un anno. Domani, 16 aprile, la celebrazione della Pasqua secondo il calendario giuliano: “La nostra seconda Pasqua che resistiamo a questa aggressione”, dice il capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, e assicura: “Abbiamo la speranza. Speranza che esce fuori dagli orizzonti umani, perché né militarmente, né economicamente, né umanamente, l’Ucraina ha le risorse per resistere a un invasore così imponente”.

Ascolta l’intervista all’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk

Beatitudine, in Ucraina a Pasqua i credenti si salutano con le parole “Cristo è risorto, è veramente risorto”. Questo saluto nel contesto drammatico della guerra che dura da più di un anno, che significato ha? 

Ricordo che da bambino i miei genitori mi hanno insegnato a salutare tutti con questo saluto. Per caso, senza saperlo, una volta ho salutato un rappresentante del Partito comunista, ateo militante. “Cristo è risorto!”, ho detto. Lui stupito mi ha risposto: “Sì, sì, mi hanno informato”. Porto nel mio cuore questa risposta e nel contesto della guerra la capisco sempre di più: una cosa è essere informati della risurrezione di Cristo, altro è verificare questo messaggio attraverso la propria esperienza di vita. Veramente la risurrezione vuol dire professare la propria fede cristiana, ma anche dire che questa verità corrisponde esperienza vissuta. Adesso io credo che veramente in Ucraina sperimentiamo la presenza del Risorto fra di noi.

Questo messaggio di salvezza come viene recepito dalle persone, dai credenti? In mezzo a tanto dolore, a tanta morte, distruzione, c’è chi ha perso la fede?

Direi il contrario, l’esperienza diretta della morte per molte persone, di trovarsi faccia a faccia con questo disastro, porta alla conversione. Veramente in Ucraina abbiamo un grande periodo di ricerca di Dio. Si dice che sul fronte anche gli atei pregano per i soldati e, quando tornano dai combattimenti, cercano un padre spirituale con cui condividere le loro esperienze. Questo dolore, queste sofferenze evocano le domande esistenziali non solo sul significato della sofferenza, ma anche della morte. E il messaggio cristiano veramente è la fonte della speranza, perché noi abbiamo una prospettiva di vita che oltrepassa la morte. Una prospettiva più grande, più larga, più ampia della vita, che ci dà la forza interna di continuare a costruire, mentre qualcuno ogni giorno distrugge; di continuare a guarire e curare le ferite, mentre qualcuno ogni giorno ce le infligge. Continuare anche a sperare mentre qualcuno dice che non abbiamo più la speranza.

Sviatoslav Shevchuk

Che effetto ha avuto la guerra su tutti i sacerdoti e anche nei rapporti tra lei come capo della Chiesa greco cattolica e il clero?

La guerra ci ha portato a una vera e autentica conversione pastorale. I sacerdoti non sono più una élite sociale, una casta di intoccabili. Il sacerdote è quello che deve discendere dal suo piedistallo e inginocchiarsi di fronte a chi è ferito, consolare quelli che piangono la morte dei propri cari. Questa conversione pastorale fa scoprire una dimensione del sacerdote che è un servitore, come diceva Cristo. Per me, come vescovo, questo periodo è stato un periodo di vicinanza stretta con i sacerdoti. Perché loro, sì, sono vicini al popolo sofferente, ma io devo essere vicino ai miei sacerdoti. Loro curano le ferite del popolo, ma io devo curare le loro ferite, devo essere padre quando si sentono “bruciati”, stanchi, metterli sulle spalle per dare loro riposo e coraggio. Questa comunione della Chiesa, fra sacerdoti e fedeli, tra sacerdoti e presbiterato, tra il vescovo e i suoi sacerdoti, è il segreto della resistenza, della forza della nostra Chiesa in queste condizioni.

Parliamo invece delle donne. A loro per prime si è manifestato Cristo risorto. Quale ruolo svolgono le donne in Ucraina, in particolare all’interno della Chiesa, in questo periodo drammatico?

Le donne al momento sono la maggioranza nelle nostre comunità perché ci sono dei villaggi dove non ci sono più uomini. Stanno tutti al fronte combattendo… La donna adesso è dunque quella che veramente porta sulle spalle il peso di questa guerra. Con il volontariato, con gli aiuti umanitari… Da sempre nella nostra Chiesa la donna è stata prima annunciatrice della fede cristiana nelle famiglie e nelle parrocchie. Quasi il 99% dei catechisti da noi sono donne e il 90% del nostro clero è sposato e il ruolo della moglie del sacerdote anche nella parrocchia è molto importante. Abbiamo donne veramente molto colte, dotte, intelligenti, che lavorano nei vari campi della vita della Chiesa e che offrono un contributo importante nei meccanismi decisionali.

Si può dire quindi che le donne sono quelle che stanno sorreggendo l’Ucraina in questo contesto di guerra?

Senz’altro… Adesso le donne sono immagine dell’Ucraina: l’immagine di una mamma che piange il suo figlio o una sposa che spera il ritorno di suo marito. Sono l’icona dell’Ucraina.

Donne in preghiera in Ucraina

Lei in tante occasioni anche in passato ha denunciato il rischio della indifferenza o di abituarsi alla sofferenza? C’è ancora questo rischio? Cosa si può fare per contrastarlo?

Sì, è un grande rischio, perché ogni giorno cadono le bombe ma queste bombe non spaventano più. Anche l’orrore della morte non spaventa più. È una questione di psicologia umana: l’indifferenza difende della realtà crudele. Ma questa indifferenza può essere veramente molto pericolosa, perché il cuore inaridisce, non è capace più di essere empatico con chi soffre e non si sente più il grido di coloro che stanno nella estrema necessità. Cosa fare? Per noi cristiani bisogna ascoltare la Parola di Dio, praticare la nostra pietà cristiana, pregare. La preghiera, i sacramenti e l’ascolto della Parola di Dio ci aiutano a non cadere nelle mani dell’indifferenza.

E chi non ha gli strumenti della fede, come si approccia davanti a questo orrore che sembra avere normalizzato anche gli stessi crimini di guerra?

Vedo che quelli che non hanno la fede cristiana cercano qualcuno che legittimi la violenza o l’odio. È molto pericoloso se uno giustifica la violenza dal punto di vista religioso o cristiano, perché così la valanga della vendetta diventa veramente, veramente inarrestabile. E l’odio fa veramente bruciare l’anima. La prima vittima dell’odio è colui che sta odiando. Noi stiamo cercando di non spingere all’odio verso il nemico. Non siamo quei leader che benedicono la violenza, a differenza di quello che sentiamo da parte russa. Non tutti ci capiscono…. Noi non soltanto vediamo che la fede cristiana è una forza, ma anche che è qualcosa che apre gli orizzonti, che ci dà la vita per sopravvivere in queste condizioni. Invece l’odio e la violenza distruggono.

Papa Francesco e l’arcivescovo Shevchuk