Siria, la Pasqua degli sfollati assistiti dai gesuiti; ad Aleppo in tanti ancora senza aiuti

Vatican News

Sono circa 8mila le persone che ad Aleppo, rimaste senza casa dopo il terribile terremoto del 6 febbraio scorso, sono state accolte in un campo dove opera il servizio della Compagnia di Gesù per i rifugiati. Tra i religiosi al fianco della popolazione in difficoltà, padre Michel Daoud. In tanti sono scoraggiati, racconta, ma alla gente cerco di dire che essere cristiani significa offrire la propria testimonianza anche nei momenti bui

Jean Charles Putzolu – Città del Vaticano

Ad Aleppo le case già indebolite dai bombardamenti sono crollate durante il forte terremoto del 6 febbraio scorso che ha colpito il nord della Siria e il sud della Turchia. Migliaia di edifici sono stati danneggiati e hanno costretto i residenti a lasciare le loro case. Agli sfollati della guerra, che va avanti da 12 anni, si sono aggiunti gli sfollati del sisma. Nella città che conta 2 milioni di abitanti, le Chiese si sono mobilitate per portare aiuti, sia spirituali che materiali, a quanti non hanno più nulla e incontrano ogni giorno mille difficoltà per procurarsi acqua e cibo.

Tra i religiosi al fianco della popolazione duramente provata anche padre Michel Daoud, gesuita, che insieme ai suoi confratelli è impegnato nell’assistenza quotidiana ai circa 8mila sfollati accolti in un campo del quale si occupa il JRS, il Servizio dei gesuiti per i rifugiati. A Vatican News racconta qual è la situazione oggi in Siria, come vivono quanti sono rimasti senza casa dopo il terremoto e in che modo la Chiesa offre aiuto.

Ascolta l’intervista in lingua originale a padre Michel Daoud

Padre Michel Daoud, in che condizioni è oggi la Siria, in che stato vivono i siriani con i quali condivide la vita quotidiana?

Noi gesuiti stiamo cercando di dire ai cristiani di non partire, ma tutti i giovani stanno lasciando il Paese. Ci sono molti anziani adesso e pochissimi giovani. I giovani universitari, quando stanno per terminare l’università, si preparano per partire verso l’Europa o l’America per darsi un futuro. Sono un po’ abbattuti, non si sentono incoraggiati a prepararsi il loro futuro qui, perché tutto è un po’ a pezzi, tutto è distrutto. Il governo non fa alcuno sforzo per stabilizzare un po’ le persone. Siamo usciti dalla guerra, ma oggi forse siamo in una situazione peggiore, perché appena terminata la guerra, c’erano ancora molte cose. Dopo c’è stata la guerra economica, cioè la gente non ha più soldi e la vita sta diventando sempre più costosa. Gli stipendi sono molto bassi e tutti hanno bisogno di aiuto. E le Chiese fanno quello che possono.

Com’è oggi la situazione, soprattutto dopo il terremoto del 6 febbraio che ha fortemente colpito la sua città, Aleppo?

Il terremoto ha aggiunto una serie di difficoltà che ci hanno riportato indietro. Le persone hanno avuto paura, hanno trascorso la notte fuori casa, nelle chiese, nelle moschee, in macchina. Ci sono stati tre choc simultanei: c’è stato il coronavirus, c’è stata la fine della guerra e c’è stato il terremoto. Molte case si sono ritrovate con le crepe nei muri. Alcuni non hanno il coraggio di viverci, quindi hanno trovato alloggio altrove, da genitori, cugini, zii… Oppure restano nelle loro abitazioni ma hanno paura che un giorno o l’altro ci sia un’altra scossa che possa davvero causare loro problemi. Noi gesuiti abbiamo cercato di aiutare, con pacchi alimentari, un campo per sfollati di cui ci prendiamo cura per sostenere le persone che ci vivono. Ovviamente si tratta di un aiuto parziale, aiutiamo dalle 7 alle 8mila persone. Ma per Aleppo, che è una grande città di circa 2 milioni di abitanti, molte persone non ricevono alcun aiuto.

In questa Settimana Santa in cui ricordiamo anche l’istituzione del sacerdozio, come si sente come sacerdote? Come vede la sua missione, la sua vocazione, in mezzo a questa popolazione?

Questa settimana sto cercando di dire a tutte queste persone che noi cristiani o lo siamo fino in fondo o non lo siamo. Se vuoi essere veramente cristiano, devi essere testimone nei momenti di dolore e nei momenti di gioia, nei giorni difficili come nei giorni felici. Quindi questo è il nostro obiettivo. Ovviamente le persone qui, nelle loro comunità, celebreranno la Pasqua come di consueto nelle loro chiese, con la musica, con tutto ciò che si può immaginare per una festività popolare. È molto bello, ma una volta finita, le persone tornano alle loro abitudini e non cambia nulla. Io cerco il più possibile di fare qualcosa per aiutare questi gruppi, a svegliarsi, a sentire il più possibile che noi cristiani non possiamo essere persone immobili quando ci sono crisi. Al contrario, si tratta di opportunità per rinnovarci e ricrearci nuovamente grazie allo Spirito Santo che è in noi. Senza di esso, si vive una vita molto ordinaria per quanto riguarda il quotidiano, cioè mangiare, bere, dormire, lavorare senza molto gusto. Invece, noi cristiani dobbiamo avere il gusto di vivere, il desiderio di vivere, la gioia di vivere. Altrimenti non vale la pena essere cristiani se non abbiamo questo desiderio.

Come sacerdote, come riesce ancora oggi nel difficile, difficilissimo contesto di Aleppo, a dare speranza ai suoi fedeli?

Con la nostra presenza, con il nostro ottimismo, con il nostro impegno, con il nostro modo di essere e di vivere, siamo solidali con queste persone. Alcune persone trovano da noi un supporto. Vengono per chiedere un aiuto materiale, morale o spirituale. C’è chi sta facendo un ritiro online e questo è straordinario. Quindi, nonostante tutto, c’è ancora uno spiraglio di luce che nasce da tutte queste difficoltà. Ma ovviamente, il lato un po’ negativo, il lato pessimista un po’ domina le persone perché hanno ancora molte difficoltà nella loro semplice vita quotidiana, e non si preoccupano molto di vivere il loro cristianesimo perché passano il loro tempo a pensare alle cose materiali. Allora cerchiamo di proporre attività. Abbiamo un centro per aiutare le persone a trovare lavoro. Vengono offerte sessioni di formazione, di apprendimento delle lingue, di informatica, assistenza psicologica anche, in modo che sappiano meglio come comportarsi nella vita di fronte ai problemi e nelle relazioni. Abbiamo anche una biblioteca per aiutare gli studenti a prepararsi per gli esami da noi, assicuriamo loro luce, riscaldamento, un posto tranquillo perché possano usufruire di questi beni che abbiamo e che la città non può fornire. Quindi le persone sono felicissime, pagano qualcosa di veramente simbolico per questo. Ma paghiamo anche qualcosa di simbolico a quanti lavorano da noi perché si sentano comunque aiutati e sostenuti. Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati fa lavorare persone, offre assistenza medica ai malati. Aiuta anche un po’ con l’alfabetizzazione. Cerchiamo di rispondere su questi due livelli, umano e mediale. Ecco un po’ di ciò che stiamo facendo ad Aleppo.

Padre Michel Daoud, lei si è mai sentito scoraggiato?

Non posso negarvi che a volte siamo un po’ scoraggiati. Ma grazie al nostro impegno, ai nostri voti apostolici – poiché i nostri voti gesuiti sono apostolici – cerchiamo davvero di sostenerci a vicenda attraverso la nostra vita personale, spirituale, per avere un po’ di slancio e continuare. Sicuramente, se indulgiamo nel pessimismo e in quello che dice la gente, ci scoraggeremmo. Ma credo che il Signore sia lì per dirci: “Svegliatevi!”. Quando Gesù era in agonia, trovò i suoi discepoli addormentati e venne a svegliarli. Cerco anche, con la comunità, di essere il più sveglio possibile per rispondere un po’ ai bisogni di queste persone.

Precisamente, queste persone, questi cattolici, questi cristiani, questi siriani nel loro insieme, le difficoltà che stanno attraversando sono una forma, anche per loro, di Via Crucis?

Si, esattamente. Certo, c’è stato Simone di Cirene che ha aiutato Gesù a portare la sua croce; e noi cercheremo il più possibile di contribuire un po’, nel portare la croce di queste persone per quanto potremo. Non è sempre facile. I bisogni delle persone sono enormi. Spesso abbiamo l’impressione che le persone si rivolgano a noi per un aiuto sia materiale che spirituale, perché la vita quotidiana è un bisogno urgente. Avere pane, avere carne… Non mangiamo più carne, ma riso, grano, verdure, ma pochissima frutta, pochissima carne, pochissimo formaggio. Il formaggio costa dalle 30 alle 40mila sterline al chilo. È molto costoso. La carne è a 70mila sterline. Prima costava 20 sterline, 30 sterline, ma ieri era a 70mila sterline.

Come si può aiutare oggi questa popolazione? Concretamente, cosa è possibile fare in questa “Via crucis”?

Aiuto alla Chiesa che Soffre ci invia qualche volta aiuti per coprire parte delle nostre spese. Ma ci sono sempre tante persone che non sono aiutate, né dalle comunità cristiane né da altri. Se si fanno campagne e se si possono inviare aiuti, occorre indirizzarli alla Compagnia di Gesù a Beirut, e specificare che sono per la Siria. Lo apprezzeremo. Se non è possibile, ringraziamo per la solidarietà nei nostri confronti almeno con il pensiero.

Possiamo sperare, padre Michel, in una “resurrezione” per questi cristiani in Siria?

Credo che tutte queste prove che abbiamo avuto siano comunque una possibilità perché questi cristiani vadano oltre. Certo, per alcuni è disperazione, occorre partire. Ma ci sarà sempre quella che si chiama la “piccola minoranza” che rimarrà; e questa piccola minoranza che resterà sarà il lievito nella pasta.