Migranti, a Brindisi le persone salvate dalla nave Geo Barents

Vatican News

L’imbarcazione di Medici Senza Frontiere aveva soccorso un peschereccio in difficoltà a largo della Libia in zona Sar maltese. Tra loro otto donne e trenta bambini. Un’operazione particolarmente difficile a causa del maltempo. L’esperto di immigrazione Christopher Hein: bisogna evitare che le persone abbiano come unica scelta quella di pagare i trafficanti

Beatrice D’Ascenzi e Michele Raviart – Città del Vaticano

Le autorità italiane hanno assegnato il porto di Brindisi come destinazione per le persone migranti soccorse la scorsa notte dalla nave Geo Barents dell’ong Medici senza Frontiere a largo di Malta. Si tratta di 339 persone, la maggior parte delle circa 440 che erano presenti a bordo. Le altre cento saranno infatti trasferite su un assetto navale italiano al largo delle coste della Sicilia. Tra le persone recuperate ci sono trenta bambini e otto donne, tra cui una donna trasferita in elicottero a Malta che aveva perso i sensi a causa della disidratazione. Partiti dalla Libia, vicino a Bengasi, i migranti provengono da Siria, Pakistan, Bangladesh, Egitto, Somalia e Sri Lanka. I sopravvissuti, partiti il primo aprile, hanno riferito di essere rimasti in mare per oltre quattro giorni, di cui gli ultimi due senza cibo né acqua.

Un soccorso particolarmente difficile

L’operazione di soccorso è stata conclusa dopo undici ore nella zona Sar di Malta ed è stata aggravata dalle difficili condizioni metereologiche e dal mare in tempesta. Era stata Alarm Phone, che si occupa di avvertire circa le persone in pericolo in mare, ad indicare l’imbarcazione, già segnalata in pericolo a largo della Libia. “Questo soccorso è stato uno dei più impegnativi, se non il più impegnativo, della Geo Barents”, ha affermato il responsabile dei soccorsi della nave Riccardo Gatti, che ha messo in evidenza la necessità di regolamentare gli interventi in mare, “perché quello che succede nel Mediterraneo è che se queste persone non vengono soccorse muoiono”.

Le responsabilità delle zone Sar

L’operazione di salvataggio ha posto ancora una volta l’attenzione sulle complesse norme che regolano i soccorsi nel Mediterraneo. “L’imbarcazione in questione si è trovata nelle acque della zona Sar di Malta”, spiega Christopher Hein, docente di Diritto e politiche di immigrazione e asilo e Gestione delle migrazioni all’Università Luiss e fondatore del Consiglio italiano per i rifugiati, “e questo comporta delle responsabilità del governo maltese tanto sotto l’aspetto del diritto internazionale del mare, come anche della più specifica convenzione di Amburgo sul salvataggio in mare”. “La difficoltà”, aggiunge, “è che Malta è una piccola isola nel centro del Mediterraneo e non riesce da sola ad accogliere tutte queste persone, ma questo è un problema da affrontare in sede dell’Unione europea”.

Ascolta l’intervista integrale a Christopher Hein

La situazione nel Mediterraneo centrale

“Ogni Stato del mondo”, spiega ancora Hein “ha una zona Sar che può notificare alla organizzazione internazionale marittima a Londra, che va ben oltre le acque territoriali e dove ha responsabilità di intervenire o comunque di assicurare che qualcuno intervenga: una nave commerciale, un peschereccio o altro quando si trova un’imbarcazione in difficoltà nelle acque della propria zona. Dal 2018 la possiede anche la Libia che non può o non vuole coprire la sua zona con la cosiddetta Guardia costiera libica”. “Nel caso di Malta”, sottolinea, “anche il centro di coordinamento per il salvataggio in mare che c’è a La Valletta spesso non risponde o non interviene tempestivamente. Normalmente è l’Italia, come anche in questo caso della Geo Barents, a sostituire per necessità questa mancanza di adempimento maltese”.

Il bisogno di canali sicuri

In questo quadro normativo, reso più complesso dalle nuove norme introdotte dal governo italiano che prevedono che una nave ong attracchi in un porto assegnato dopo ogni soccorso prima di poterne effettuare un altro, spiega ancora Christopher Hein, quello che è necessario a lungo termine è “evitare che le persone abbiano come unica scelta quella di pagare i trafficanti, imbarcarsi e rischiare la vita nel mare”. L’alternativa è quella di utilizzare canali di arrivo regolari, sicuri e protetti: “Di questo si parla da anni però concretamente non succede pressoché niente”, perché, “i posti a disposizione per un arrivo legale, non solo in Italia, ma in tutta l’Unione europea, sono a livello minimo”. Nell’immediato, sottolinea ancora Hein, “è necessario che l’Ue istituisca una propria operazione di salvataggio nel Mediterraneo, analogamente a quanto l’Italia ha fatto nel 2013-14 con Mare Nostrum”.