Lo scrittore e conduttore televisivo, morto all’età di 84 anni a seguito di una malattia cardiaca, ha dedicato un’intera carriera al racconto di campioni sportivi, leader politici e alla causa dei popoli latinoamericani. Nel suo blog, l’elogio alla Radio Vaticana, da lui considerata fonte preziosa di informazione sui conflitti nel mondo. La camera ardente in Capidoglio mercoledì 29 marzo dalle 10 alle 19. I funerali saranno celebrati in forma privata
Antonella Palermo – Città del Vaticano
“Per sapere qualcosa di serio e vero sui conflitti e sul mondo, ormai ascolto quasi solamente Radio Vaticana”. È un estratto dall’ultimo post – risalente all’inizio della guerra in Ucraina – del blog di Gianni Minà. Un post che onora la nostra emittente da parte di un giornalista dallo sguardo ampio, appassionato di sport e dei diritti dei più deboli, in particolare di quelli dei popoli latinoamericani. Lo scrittore e conduttore televisivo è deceduto il 27 marzo, all’età di 84 anni, dopo una malattia cardiaca. La camera ardente sarà allestita da mercoledì 29 marzo, in Campidoglio nella Sala della Protomoteca, con apertura dalle 10 alle 19. I funerali si svolgeranno in forma privata.
Campioni sportivi e diritti dei latinoamericani
La carriera giornalistica cominciò nel 1959 a Tuttosport, di cui fu poi direttore dal 1996 al 1998. L’esordio alla RAI nel 1960, in occasione delle Olimpiadi di Roma. Cominciò a realizzare reportage e documentari per le rubriche che hanno evoluto il linguaggio giornalistico della televisione, come Tv7, AZ, un fatto come e perché, i Servizi speciali del TG, Dribbling, Odeon. Tutto quanto fa spettacolo, Gulliver. Ha seguito otto mondiali di calcio e sette olimpiadi, oltre a decine di campionati mondiali di pugilato, fra cui quelli storici dell’epoca di Muhammad Ali. Ha anche realizzato una Storia del Jazz in quattro puntate, programmi sulla musica popolare centro e sudamericana (come ad esempio “Caccia al bisonte” con Gianni Morandi) e una storia sociologica e tecnica della boxe in 14 puntate, intitolata Facce piene di pugni. È stato tra i fondatori de L’altra domenica con Maurizio Barendson e Renzo Arbore. Molto attento ai conflitti sociali delle minoranze, iniziò ad approfondire storie dell’America Latina che divennero una sua caratterizzazione profonda. Tra i suoi lavori specifici su quest’area e i suoi personaggi: Storia di Rigoberta sul Nobel per la pace Rigoberta Menchú (premiato a Vienna in occasione del summit per i diritti umani organizzato dall’ONU); Immagini dal Chiapas (Marcos e l’insurrezione zapatista) presentato al Festival di Venezia del 1996; Marcos: aquí estamos (un reportage in due puntate sulla marcia degli indigeni Maya dal Chiapas a Città del Messico con un’intervista esclusiva al Subcomandante realizzata insieme allo scrittore Manuel Vázquez Montalbán); Il Che quarant’anni dopo ispirato alla vicenda umana e politica di Ernesto Che Guevara.
Nel 1978, mentre seguiva come cronista il campionato mondiale di calcio 1978, venne ammonito e poi espulso dall’Argentina per aver fatto domande sui desaparecidos al capitano di vascello Carlos Alberto Lacoste (capo dell’ente per l’organizzazione del mondiale) durante una conferenza stampa, e per aver cercato poi di raccogliere informazioni. Del resto, il suo, fu sempre uno spirito libero, controcorrente, anche a costo dell’isolamento, della solitudine, come si legge sui suoi social.
Cuba tra i suoi interessi prioritari
Nel 1981 il Presidente Sandro Pertini gli consegnò il Premio Saint Vincent come miglior giornalista televisivo dell’anno. Nello stesso periodo, dopo aver collaborato a due cicli di Mixer di Giovanni Minoli, dal 1981 al 1984 ha esordito come autore e conduttore di Blitz, un programma innovativo di Rai 2 che occupava tutta la domenica pomeriggio e nel quale intervennero fra gli altri Federico Fellini, Eduardo De Filippo, Muhammad Ali, Robert De Niro, Jane Fonda, Betty Faria, Gabriel García Márquez, Enzo Ferrari, Léo Ferré e Tito Schipa Jr.. Rimasta celebre la sua intervista, nel 1987, per 16 ore al presidente cubano Fidel Castro, in un documentario dal quale è stato tratto un libro pubblicato in tutto il mondo. Da quello stesso incontro è stato tratto Fidel racconta il Che, un reportage nel quale il leader cubano, per la prima e unica volta, racconta l’epopea di Ernesto Guevara. Il prologo alla prima intervista con Fidel Castro è stato scritto da Gabriel García Márquez; quello alla seconda, dallo scrittore brasiliano Jorge Amado.
Privilegiare i lunghi racconti
A Muhammad Ali, che Minà ha seguito in tutta la sua carriera, ha dedicato il lungometraggio Cassius Clay, una storia americana. Altro sodalizio rimasto una sorta di icona, è quello con Maradona. Maradona: non sarò mai un uomo comune era un reportage-confessione di 70 minuti con il fuoriclasse argentino alla fine dell’anno più sofferto per la vita dell’ex calciatore. Nel 2004 ha realizzato un progetto inseguito per undici anni e basato sui diari giovanili di Ernesto Guevara e del suo amico Alberto Granado quando, nel 1952, attraversarono in motocicletta l’America Latina, partendo dall’Argentina e proseguendo per il sud del Cile, il deserto di Atacama, le miniere di Chuquicamata, l’Amazzonia peruviana, la Colombia e il Venezuela. Dopo aver collaborato alla costruzione del film tratto da questa avventura e intitolato I diari della motocicletta diretto da Walter Salles e prodotto da Robert Redford e Michael Nozik, Minà ha realizzato il lungometraggio In viaggio con Che Guevara, ripercorrendo con l’ottantenne Alberto Granado quell’avventura mitica.