Amnesty: l’attenzione sull’Ucraina non distolga lo sguardo sulle altre crisi

Vatican News

Presentato il rapporto sui diritti umani 2022-23. Dal ritorno della guerra in Europa alle proteste di piazza represse nel sangue in 30 Paesi, l’ong sottolinea l’inadeguatezza della comunità internazionale. Il portavoce italiano Riccardo Noury: diminuiscono i Paesi che utilizzano la pena di morte, ma sul rispetto dei diritti spesso ci sono doppi standard

Michele Raviart – Città del Vaticano

“Nel 2022 sono scoppiati nuovi conflitti, altri sono ripresi e alcuni, di lunga data, sono proseguiti. Sul campo, le violazioni del diritto internazionale umanitario hanno causato terribili tragedie umane. Le risposte internazionali sono state contradditorie, sia rispetto al grave impatto sui diritti umani dei diversi conflitti che alla protezione delle persone che da questi fuggivano, oltre che di fronte a gravi violazioni sistematiche, alcune delle quali equivalenti a crimini contro l’umanità”. Si apre così l’analisi globale del rapporto 2022-2023 di Amnesty International, che ha analizzato la situazione dei diritti umani in 156 Paesi del mondo.

I “doppi standard” dell’Occidente

Lo scorso anno, spiega il portavoce di Amnesty Italia, Riccardo Noury, è stato inevitabilmente segnato dall’invasione russa dell’Ucraina. Un conflitto, sottolinea, “che ha rivelato i doppi standard della comunità internazionale, perché se la risposta dell’Occidente all’aggressione russa dell’Ucraina è stata molto vigorosa e immediata, rispetto ad altre crisi dei diritti umani c’è un silenzio inquietante”. Altre crisi con uccisioni di civili di massa si sono verificate, sottolinea il rapporto, in Etiopia, Repubblica Democratica del Congo e nella regione del Sahel, oltre ai conflitti di lunga data in Libia, Siria e Yemen.“La gestione della crisi dei diritti umani a livello internazionale ha mostrato ancora una volta di essere profondamente inadeguata”, sottolinea Noury, che porta l’esempio della gestione dell’immigrazione. “All’accoglienza degna, finalmente, degli ucraini – spiega Noury – non corrisponde lo stesso impegno per chi viene da sud e da est”.

Ascolta l’intervista integrale a Riccardo Noury

In 30 Paesi ci sono stati morti nelle manifestazioni di piazza

In 87 Paesi del mondo, si legge nel rapporto, ci sono state proteste di piazza e in 30 di questi, con morti tra i manifestanti, soprattutto in Myanmar, Afghanistan, Iran, Perù. “Sono quattro dei tanti Paesi in cui le proteste, perlopiù pacifiche, sono state stroncate con una forza estrema” sottolinea ancora Noury. “Quasi cinquanta persone sono morte in Perù. Oltre cinquecento in Iran”, aggiunge. “C’è stato un uso di armi letali, ma anche meno letali, che è stato irresponsabile e ha prodotto gravissimi danni. Nondimeno, ce lo sta dimostrando Israele in questi giorni, la protesta pacifica rimane lo strumento nelle mani della società civile per pretendere un cambiamento nel campo dei diritti”.

Aumentano i Paesi che hanno abolito la pena di morte

I miglioramenti dello scorso anno nel campo dei diritti umani riguardano soprattutto l’abolizione della pena di morte. “Continuano ad aumentare gli Stati che la aboliscono – ribadisce il portavoce di Amnesty Italia – e continuano a diminuire le esecuzioni. Ci sono state nel corso del 2022 circa duecento buone notizie di prigionieri scarcerati, di condanne a morte annullate. Belle sentenze in favore dei diritti. Quindi come sempre è un bicchiere pieno o vuoto a metà a seconda del punto di vista e della lente con il quale lo si guarda”.

Rendere le proteste pacifiche un diritto fondamentale

L’auspicio per il futuro “è che non ci sia un altro capitolo così fitto di notizie drammatiche sull’Ucraina come quello che compare in questo rapporto e che la comunità internazionale si doti finalmente degli strumenti adeguati per risolvere le crisi”. “Penso – conclude Noury – a una riforma ormai inevitabile del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che deve passare attraverso l’abolizione del diritto di veto degli Stati membri permanenti. Siamo convinti che aumenterà il numero di Stati che avranno abolito la pena di morte e ci auguriamo che venga riconosciuto, e su questo Amnesty, ha una campagna in corso, che quello di protesta pacifica sia un diritto fondamentale”.