La Bce alza ancora i tassi, l’economista Becchetti: i salari sono erosi dall’inflazione

Vatican News

Dopo la crisi innescata dal crack della Silicon Valley Bank era molto attesa la decisione della Bce che conferma la sua politica dell’aumento dei tassi di interesse, volta a frenare l’inflazione. Intanto, la Banca centrale svizzera interviene per salvare la Credit Suisse ma tremano anche altri istituti esposti con le obbligazioni

Marco Guerra – Città del Vaticano

Si propaga ancora l’onda del crack della Silicon Valley Bank che ha scosso listini e gli istituti di credito di tutto il mondo. Oggi la Credit Suisse segna un rialzo record alla borsa di Zurigo dopo il salvataggio deciso dalla Banca centrale svizzera, con prestiti fino a 50 miliardi di franchi.

Bce alza i tassi

L’intervento delle istituzioni bancarie svizzere in mattinata ha favorito il recupero anche delle altre borse europee che poi invece sono tornate in negativo dopo la decisione presa oggi dalla Banca centrale europea (Bce) di alzare i tassi di interesse di un altro mezzo punto percentuale, portando il tasso sui rifinanziamenti principali al 3,50%, quello sui depositi al 3%, e quello sui prestiti marginali al 3,75%.

Inflazione per un periodo troppo lungo

La Bce ha deciso di alzare i tassi d’interesse dello 0.5% malgrado le turbolenze che stanno investendo le banche. Si tratta di una politica per contrastare l’inflazione record, alimentata dal caro energia, ma che secondo molti analisti Francoforte avrebbe potuto interrompere per non danneggiare gli istituti di credito esposti con ingenti prestiti. La Bce spiega in una nota che “l’inflazione dovrebbe rimanere troppo elevata per un periodo di tempo troppo prolungato. Pertanto, il Consiglio direttivo ha deciso oggi di innalzare di 50 punti base i tre tassi”. Nel comunicato sul rialzo dei tassi, il Consiglio si sofferma anche sulle turbolenze bancarie ed afferma che “segue da vicino le attuali tensioni sui mercati ed è pronto a rispondere, se necessario, per preservare la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria nell’area dell’euro”.

Becchetti: crisi innescata dal calo del settore high-tech

“Per ridurre l’inflazione bisogna emanciparsi dalle fonti fossili”, spiega a Vatican News l’economista Leonardo Becchetti, docente all’università di Roma Tor Vergata, che poi entra anche nel merito delle motivazioni che hanno scatenato questa nuova crisi degli istituti bancari.

Ascolta l’intervista a Leonardo Becchetti

Perché la crisi è partita dalla banca della Silicon Valley?

Stiamo parlando di una banca americana che aveva dei fattori di rischio molto importanti, non abbastanza regolamentati, la regolamentazione bancaria negli Stati Uniti è molto più lasca che nell’Unione Europea. In particolare è una banca che investiva in un unico settore, ovvero quello dell’high-tech e in un’unica area geografica, ed aveva comprato un portafoglio molto ampio di obbligazioni quindi molto sensibile al rialzo dei tassi di interessi che c’è stato quando le banche centrali hanno iniziato a contrastare l’inflazione. L’insieme di questi fattori di rischio ha portato alla crisi e al necessario salvataggio da parte delle istituzioni quindi della Fed americana.

Quindi questa crisi bancaria nasce anche dalla frenata del settore high-tech della Silicon Valley?

Esatto, questo ha portato al ritiro dei depositi e la banca ha dovuto fronteggiare il ritiro dei depositi liquidando una parte del proprio portafoglio delle obbligazioni che aveva perso valore a causa dell’aumento dei tassi di interesse.

Il contagio sui listini di tutto il mondo e sulle banche europee come è avvenuto? In particolare cosa è successo in Svizzera?

E’ avvenuto perché poi ci sono stati timori che le banche che hanno anch’esse patrimoni importanti investiti in obbligazioni avessero delle perdite di valore. In particolare è avvenuto con Credit Swisse perché è una banca che ha assunto rischi molto forti sul proprio patrimonio ed è stata vista come l’anello più debole della catena.

In questi ultimi giorni si parla di ricadute sui tassi dei mutui, perché?

Ma in realtà potrebbe esserci un risvolto positivo, perché alcune banche centrali che avevano deciso di continuare ad alzare i tassi per contrastare l’inflazione hanno deciso di rallentare questa politica, perché sono consapevoli del fatto che l’aumento dei tassi potrebbe avere effetti molto negativi sui portafogli delle banche. Questa situazione quindi potrebbe portare ad un rallentamento dell’aumento dei tassi di interesse e quindi ad una situazione che non peggiora almeno sul fronte dei costi dei mutui.

Anche questa volta gli Stati sono intervenuti per salvare le banche, questo ha sollevato le solite polemiche da parte di chi fa osservare che non c’è la stessa celerità di intervento per famiglie e imprese…

Anzitutto diciamo che il vero potere per salvare le banche ce l’hanno le banche centrali e non lo Stato, dando liquidità. E poi pensiamo che le banche sono un anello vitale del sistema economico dietro le quali ci sono famiglie e imprese. La banca non è un ente astratto, quando salta una banca l’effetto sull’economia reale è devastante, ecco perché bisogna intervenire.

Dopo la crisi dei mutui sub-prime del 2007 si erano messi a punto strumenti per regolamentare il mercato. Questi strumenti non sono stati ancora implementati?

Gli Stati Uniti hanno allentato questi strumenti sotto la presidenza Trump, la regolamentazione è stata indebolita, questo è uno dei motivi della crisi della Silicon Valley Bank. Dobbiamo dire però che l’attività bancaria non è mai esente da rischi, prevenire e fronteggiarli è un lavoro che non finisce mai.

In generale che fase è per l’economia europea e mondiale?

Dobbia fare i conti con il fatto che i rischi e gli shock sono continui sul fronte finanziario, sociale e ambientale, l’importante è avere strumenti per proteggersi. L’economia in questo momento non sta andando molto bene, dopo gli anni terribili del Covid-19. Quello che è importante è ridurre l’inflazione che pesa sui bilanci delle famiglie e il percorso di riduzione sta proseguendo.

Quindi il vero spauracchio è l’inflazione che sta erodendo gli stipendi?

Certamente erode il potere di acquisto, lo scorso anno è stato molto duro con un più 10% di inflazione che non vedevamo da molto tempo. L’inflazione ora si sta un po’ riducendo perché sta venendo meno la causa, ovvero l’esplosione dei prezzi dell’energia da fonti fossili. Per rimuovere alla radice questa causa dobbiamo fare la transizione ecologica.