Nigeria, sopravvissute a Boko Haram: Il coraggio di raccontare

Vatican News

Janada Markus e Maria Joseph, vittime di Boko Haram, raccontano la loro storia: Una luce sulla devastante realtà che tante donne e ragazze affrontano in Nigeria e nel mondo

Francesca Merlo – Città del Vaticano

La festa della donna. L’otto marzo è un’occasione per far sentire voci che spesso vengono ignorate, dimenticate e soffocate dal frastuono della vita quotidiana. Ironia della sorte, sono proprio queste le voci che dovremmo ascoltare di più, le loro storie testimoniano le terribili realtà di cui molti di noi sono all’oscuro.

L’importanza di parlare

In questo 8 marzo le voci che ascoltiamo sono quelle di Maria Joseph e Janada Markus e, in un certo senso, delle migliaia di ragazze e donne che esse rappresentano mentre raccontano con coraggio la storia dei loro rapimenti e detenzioni da parte dei violenti uomini di Boko Haram. Hanno portato questa stessa testimonianza a Papa Francesco mercoledì mattina.

Maria, che dopo nove anni di prigionia di Boko Haram preferisce essere chiamata Mariamou, parla solo Hausa (una delle tre lingue principali della Nigeria, insieme a igbo e yoruba). È stata rapita all’età di dieci anni e liberata lo scorso agosto, all’età di 19 anni.

Janada è leggermente più grande di Maria, 22 anni, e sebbene la sua prigionia sia stata più breve di quella della sua amica, è stata rapita quattro volte e non prova meno dolore.

Martedì pomeriggio le due ragazze hanno incontrato i giornalisti presso la sede di Aiuto alla Chiesa che Soffre a Roma. Si sono sedute una accanto all’altra e hanno raccontato a turno le loro storie. Janada ha iniziato e, grazie all’incoraggiamento di padre Joseph Fidelis, che dirige il centro traumatologico della diocesi di Maiduguri dove le ragazze sono assistite, ha scelto di parlare inglese, che ha recentemente imparato a scuola.

Le due ragazze e padre Joseph nel corso dell’incontro con i giornalisti a Roma

La storia di Janada

Janada è sopravvissuta a quattro attacchi di Boko Haram. Tutta la sua famiglia è riuscita a sfuggire al primo, nel 2011, quando i terroristi hanno dato fuoco alla loro casa a Baga. Quando la stessa cosa è accaduta solo tre anni dopo nella loro nuova casa di Askira Uba, nello Stato di Borno, alcuni membri della famiglia non ce l’hanno fatta. Tuttavia, è nel raccontare il terzo attacco, il 28 ottobre 2018, che gli occhi di Janada si riempiono di lacrime e scoppia a piangere. “È difficile per lei”, interviene don Joseph rivolgendosi ai giornalisti in italiano a nome suo. “È il giorno in cui hanno ucciso suo padre”. Janada aveva solo diciassette anni quando suo padre fu decapitato davanti ai suoi occhi. Ancora una volta, due anni dopo, Janada si è trovata faccia a faccia con gli uomini che hanno ucciso suo padre, rapendola dal letto dell’ospedale dove si stava riprendendo da una piccola operazione. L’hanno tenuta ostaggio per sei giorni, durante i quali è stata torturata emotivamente, fisicamente e mentalmente.

Janada riceve la benedizione da Papa Francesco

La storia di Maria

Maria ha una storia molto diversa. È stata rapita all’età di 9 anni e ha vissuto sotto Boko Haram per oltre dieci anni. Maria, o Mariamou, racconta di essere stata tenuta in gabbia, di essere stata colpita a una gamba mentre tentava di fuggire, di essere stata promessa in sposa a un uomo molto più grande di lei. A differenza di Janada, Maria non piange, ma anche lei alla fine smette di parlare e don Joseph continua per lei, raccontando che vive ad Abuja con la zia perché non ha potuto vivere con la madre, che da tempo la considerava morta. “Quella zona ci riporta alla mente brutti ricordi”, dice. “Maria per un anno non ha potuto nemmeno stare vicino agli uomini, figuriamoci guardarli negli occhi”. Nei suoi nove anni di schiavitù, Maria è stata tenuta in ostaggio, per qualche tempo, con alcune delle quasi 300 ragazze rapite da una scuola di Chibok nel 2014, le stesse per cui è stato creato lo slogan “bring back our girls”.

Maria riceve la benedizione da Papa Francesco

Ma nonostante gli sforzi che accompagnano questo slogan, il fratello di Maria è ancora prigioniero. Né le restituiranno l’altro fratello, ucciso come il padre di Janada. E ci sono ancora migliaia di vittime di Boko Haram in tutta la Nigeria.

Come dovrebbe essere la vita

Ma c’è speranza per le ragazze. Janada è tornata a vivere a casa con la madre e i fratelli, studia medicina tropicale, seguendo le orme del padre. Maria è a scuola e sta imparando a leggere e scrivere. Entrambe sono state accolte da padre Joseph nel suo centro traumatologico. Oltre 300 donne hanno beneficiato delle cure del centro, finanziato da Aiuto alla Chiesa che Soffre. Il centro, con i suoi consulenti, esperti in campo fisico, medico, psicologico, sociologico ed educativo, aiuta le vittime di violenza a reintegrarsi nella società, dando loro speranza e mostrando loro come dovrebbe essere la vita, per ogni singola donna, ovunque.