Monsignor Paolo Bizzeti parla ai media vaticani della catastrofe del terremoto che ha colpito il Paese in cui da oltre sette anni svolge la sua missione: abbiamo accolto nell’episcopio una cinquantina di persone, c’è smarrimento ma stiamo organizzando gli aiuti con la Caritas
di Beatrice Guarrera
La cattedrale cattolica di Iskenderun devastata, le case distrutte, le persone stremate: il giorno dopo il terremoto che ha colpito la Turchia e causato oltre quattromila vittime, il vicario apostolico di Anatolia, monsignor Paolo Bizzeti, racconta le profonde difficoltà in cui versa il Paese. «La situazione purtroppo è in peggioramento — spiega trafelato, mentre il suo telefono continua a squillare, per le tante richieste di aiuto —. A Iskenderun, ad Antiochia e in altre località manca l’elettricità, mancano l’acqua potabile e l’acqua in generale. C’è un’emergenza dentro l’emergenza ed è dura. Tuttavia le persone si stanno stringendo le une alle altre in una bella gara di solidarietà».
Il vescovo, al momento del terremoto, si trovava in Italia per impegni legati al suo ministero, ma si è subito messo all’opera per organizzare gli interventi e fornire il massimo sostegno alla popolazione colpita. «Nell’episcopio abbiamo accolto una cinquantina di persone, quindi si registra questo bell’aiuto reciproco, ma la situazione è drammatica e temo che non sia finita, perché questo sisma è stato di grandi proporzioni». Al momento non si registrano vittime tra i collaboratori del vicariato apostolico e tra i cristiani — che costituiscono una piccola minoranza appartenente a sei parrocchie — ma la situazione è in continuo aggiornamento.
Tra coloro che si trovano in difficoltà, ci sono anche tanti rifugiati, provenienti dai vicini Paesi. L’epicentro della scossa, infatti, è stato localizzato nell’area di Gaziantep, area di transito, dove risiede un gran numero di loro. «I più poveri — sottolinea monsignor Bizzeti — sono quelli che pagano il prezzo più alto. Tra le famiglie che assistevamo come Caritas Anatolia abbiamo dei morti, delle persone sono ancora sotto le macerie. Qui nel sud della Turchia è pieno di rifugiati siriani, afghani, iracheni, iraniani, che sono fuggiti da situazioni terribili».
Monsignor Bizzeti, che è anche presidente di Caritas Anatolia, spiega che, pur tra mille difficoltà logistiche, si sta tentando di raggiungere tempestivamente ogni area colpita e di pianificare degli interventi che vadano oltre l’emergenza: «Le persone in loco stanno cercando di far arrivare soccorsi, anche se non è facile, perché l’autostrada è mal messa, anche gli aeroporti sono chiusi — afferma il presule —. Non è semplice, ma noi stiamo organizzando delle raccolte di denaro per far fronte via via alle necessità e in modo organizzato, perché, in queste occasioni, si rischia di far arrivare tanto i primi giorni e poi, dopo, si è in una situazione di disagio. È prioritario portare avanti queste raccolte fondi, in modo da potere poi, con metodo, spaziare temporalmente gli aiuti».
In questa tragica circostanza, oltre che con i danni materiali, bisognerà fare i conti con lo sconforto e l’angoscia, cercando però di non chiudere la porta alla speranza. «Le persone sono persone di fede, quindi, c’è un senso forte di essere nelle mani di Dio — afferma il vicario apostolico d’Anatolia — ma non si può negare che è un grande shock. Per i rifugiati è una tragedia nella tragedia, per la gente è uno stravolgimento della vita. Come sempre in queste occasioni si ha un senso di smarrimento, però anche ieri si è celebrata l’Eucaristia, le persone stanno pregando. La fede è un grande aiuto».