In Vaticano al via il processo dell’ex revisore Milone

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Prima udienza, oggi pomeriggio, nel Tribunale vaticano per la causa civile intentata con il collaboratore Panicco contro la Segreteria di Stato e l’Ufficio del Revisore generale, dopo quelle che definiscono “dimissioni forzate” per cui chiedono oltre 9 milioni di danno. Le difese dichiarano l'”improcedibilità” dell’azione civile per ritardi e indeterminatezze e si appellano alla prescrizione: ipotesi di non autenticità della documentazione depositata il 18 gennaio

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Sarebbero documenti “falsi” o “sottratti” all’Ufficio del Revisore generale, dove aveva prestato servizio per due anni, i trentanove allegati (per un totale di 545 pagine, incluse anche note audio) che l’ex revisore generale, Libero Milone, e il suo collaboratore Ferruccio Panicco hanno depositato il 18 gennaio scorso nella Cancelleria del Tribunale vaticano per la causa civile intentata contro la Segreteria di Stato e l’Ufficio del Revisore. Il dato è stato evidenziato dagli avvocati delle difese durante la prima udienza del processo di oggi che vede protagonisti i due ex auditor vaticani che nel giugno 2017 hanno presentato le loro dimissioni, dopo che Milone, esulando dalle sue competenze, aveva “incaricato illegalmente una società esterna per svolgere attività investigative sulla vita privata di esponenti della Santa Sede”. Ora chiedono un risarcimento pari ad oltre 9 milioni di euro a causa di quello che definiscono un “licenziamento” da parte del Vaticano, il quale, tramite i suoi inquirenti, dalla scorsa primavera indaga lo stesso Milone per peculato. 

Le accuse 

Nell’atto di citazione in giudizio letto dal giudice relatore durante l’udienza preliminare di oggi, durata dalle 16.55 alle 18.20 e interamente dedicata alle eccezioni procedurali, Milone e Panicco – entrambi assenti e rappresentati dall’avvocato Giovanni Merla – affermano che quelle dimissioni furono “estorte”, a seguito anche di “violenza psicologica” ricevuta durante l’interrogatorio da parte di un membro della Gendarmeria vaticana tra “urla e intimidazioni”. Come già avevano riferito a mezzo stampa nel novembre 2022, avevano fatto causa alla Segreteria di Stato, nella persona del cardinale Pietro Parolin, e all’Ufficio del revisore generale, guidato adesso da Alessandro Cassinis, chiedendo un risarcimento di 9.278.000 euro “con l’intento di chiarire quanto ci è accaduto e per ottenere un giusto ristoro per i danni subiti”. Tra questi, il mancato rispetto delle regole, la lesione subita dalla loro immagine professionale, l’impossibilità a ritrovare un lavoro a causa del carattere calunnioso del loro allontanamento. Anche la sospensione di terapie oncologiche per Panicco a causa dello smarrimento dei referit medici a seguito della perquisizione del suo ufficio in Vaticano da parte della Gendarmeria.

Le difese

Tutte accuse che oggi gli avvocati dei due Dicasteri, Enrico Gabrielli per l’Ufficio del Revisore e Maria Pitrella per la Segreteria di Stato, hanno eccepito punto per punto dichiarando l’inammissibilità della citazione a giudizio e l’improcedibilità della causa per varie motivazioni. Anzitutto la produzione tardiva della documentazione, poi l’indeterminatezza nelle ragioni delle richieste di risarcimento, i difetti di giurisdizione dovuti al fatto che la causa sia intentata contro la Segreteria di Stato con la quale i due attori della causa non avevano alcun rapporto di lavoro (Milone era sotto contratto del Consiglio dell’Economia, Panicco dell’Ufficio del Revisore) e che quindi il ricorso sarebbe dovuto essere presentato all’Ulsa (Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica). L’avvocato Pitrella ha chiesto pertanto che “la Segreteria di Stato venga estromessa dal presente giudizio”. Tutte le difese si sono appellate soprattutto alla prescrizione, essendo trascorsi più di cinque anni dai fatti. 

Dubbi sulla documentazione

Oltre a tutto questo, il fatto che, come ha sottolineato l’avvocato Gabrielli, difensore dell’Ufficio del Revisore, “il 18 gennaio sono stati depositati documenti mai visti e mai sentiti prima. Per l’Ufficio non è stato possibile effettuare uno scrutinio puntuale su ciascun documento, ma solo dare una sommaria valutazione”. E da questa sommaria valutazione, ha detto il legale, “è emerso che dei 39 documenti depositati solo alcuni fanno parte e sono rinvenibili dell’Ufficio del revisore generale”. Solo due sarebbero stati rivenuti di quelli in elenco: “Tutti gli altri non sono presenti in Ufficio nonostante nella memoria a quell’Ufficio vengano accreditati. C’è la fondata ipotesi che la documentazione non sia autentica”. L’Ufficio del Revisore Generale dunque “disconosce” questi documenti e chiede al Promotore di Giustizia “se sussiste notizia criminis”.

L’intervento del promotore

In aula era presente infatti il promotore di Giustizia Alessandro Diddi, il quale ha parlato di “ipotesi di sottrazione di documentazione pubblica”. Diddi ha motivato la presenza del promotore ad un processo civile per “interesse pubblico”, cioè la richiesta di risarcimento “a carico di due Dicasteri regolati da norme di diritto pubblico” e la richiesta della pubblicazione di una “sentenza condanna che dovrebbe colpire organi di Stato”. “Il mio ufficio ha il dovere di intervenire per tutelare l’interesse pubblico”, ha detto Diddi, contestando il fatto, tra le altre cose, che sia Milone che Panicco abbiano dichiarato di aver presentato le dimissioni perché intimiditi da un gendarme: “Se questo è vero, si tratta di una azione unilaterale di un officiale di polizia giudiziaria… Quante volte capita che in Italia i carabinieri facciano attività illecite e mica per questo il responsabile è il presidente della Repubblica”.

La conclusione del presidente Pignatone

A inizio udienza l’avvocato Merla ha chiesto un “congruo” rinvio del processo per la mancata autorizzazione a patrocinare in Vaticano rilasciata all’altro legale, il professor Romano Vaccarella. Alla richiesta si sono opposti tutti i legali. In conclusione, il presidente Giuseppe Pignatone ha detto che il Tribunale vaticano si riserva di decidere senza fissare ulteriori udienze. “Il Tribunale studierà le carte con la massima attenzione”, ha assicurato, “ma non c’è spazio per ulteriori termini e depositi”.