Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Benedetto XVI è stato “un interlocutore che ha scelto di operare su di un tipo di ascolto molto elevato, alto nei contenuti e nella riflessione religiosa, cercando di cogliere comunanze teologiche, e considerando anche le fonti ebraiche come fonti di ispirazione per il percorso della Chiesa”. Noemi di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane, ricorda così, a Radio vaticana – Vatican News, Joseph Ratzinger, da lei mai incontrato direttamente, ma vissuto durante la visita che il Papa emerito fece alla sinagoga a Roma, un evento storico, il 17 gennaio del 2010, secondo Pontefice nella storia ad entrare nel tempio, dopo Giovanni Paolo II nel 1986. “Seguii molto attentamente i discorsi fatti in quel momento – racconta Di Segni, che sarà presente al funerale a capo di una delegazione dell’Ucei e con membri dell’Assemblea Rabbinica italiana – e ho avuto modo di rileggere nuovamente il suo in questi giorni, per rammentare anche a noi stessi che tipo di esplicitazioni vennero fatte in quella sede”.
Benedetto XVI in sinagoga
Di Segni ricorda la visita di Benedetto in sinagoga, a Roma, come un momento estremamente delicato: “Si entra nella casa dell’altro in punta di piedi, sapendo che ogni parola che verrà detta sarà scrutinata e ascoltata con estrema attenzione. Il mondo ebraico, specialmente quelli italiano e romano, avendo vissuto per 2000 anni questa vicinanza con la Chiesa, forse ha una sensibilità ancora più alta, più elevata, e quindi era veramente delicatissimo questo momento. Ricordo bene anche il saluto ai sopravvissuti che erano presenti al tempio, molto toccante, un momento solenne, si sa che nella vita non è un’occasione così frequente, si era quindi nella consapevolezza che si stava vivendo un momento storico, e così è come lo vediamo adesso”.
I tre momenti simbolo del dialogo con gli ebrei
Di Benedetto XVI quale interlocutore “di altissimo livello, fermo nella fede e nelle convinzioni, ma disposto all’ascolto rispettoso” aveva parlato nei giorni scorsi il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni, al fianco di Ratzinger in Sinagoga, quel 2010. Per rav Di Segni, Benedetto “ha lasciato un importante segno per la Chiesa e per il mondo intero, nonostante i timori vissuti nel mondo ebraico che la sua elezione potesse portare a un rallentamento del dialogo fortemente inseguito dal predecessore Giovani Paolo II”. Invece il dialogo proseguì, così come sottolinea la presidente dell’Ucei, “un dialogo è fatto di tanti momenti, di tante esternazioni e anche di tanti comportamenti silenziosi”, e fu ribadito da tre importanti momenti del pontificato di Benedetto, tre luoghi di pellegrinaggio. “Auschwitz, Gerusalemme, il muro del pianto, la Sinagoga. Questi tre luoghi – spiega Di Segni – sono luoghi dell’identità ebraica molto significativi e importanti attraverso i quali si segna il momento del dialogo affermato. Il percorso della Chiesa, dal Concilio Vaticano a la Nostra aetate – e come questo si traduce poi nel rapporto con l’ebraismo – è un percorso molto importante, fatto di diverse esplicitazioni di termini, di indicazioni, di toni che partono dall’alto e devono arrivare verso il basso e verso la periferia. E la sfida è proprio questa, farlo diventare quotidiano, non solo affermazioni scritte e formalizzate al livello più alto delle sfere vaticane più alte”.
La sfida dell’ascolto
“La dottrina del Concilio Vaticano II – disse Ratzinger durante la visita in sinagoga – ha rappresentato per i cattolici un punto fermo a cui riferirsi costantemente nell’atteggiamento e nei rapporti con il popolo ebraico, segnando una nuova e significativa tappa. L’evento conciliare ha dato un decisivo impulso all’impegno di percorrere un cammino irrevocabile di dialogo, di fraternità e di amicizia, cammino che si è approfondito e sviluppato in questi quarant’anni con passi e gesti importanti e significativi”. Quel 17 gennaio segnò dunque un momento fondamentale, il suo omaggio agli ebrei romani deportati, il suo saluto ai sopravvissuti ai campi, fecero sì che il mondo ebraico parlasse di “nuovo rispetto e di una più stretta fraternità”, come ebbe a dire la storica Anna Foa. Si sa bene, conclude Noemi Di Segni, che la dialettica tra i cattolici e gli ebrei è stata “importante e faticosa. Saper ridare un significato di convivenza, di ascolto, è un segnale molto importante. Non sempre da parte del mondo ebraico è facile capire il modo di ragionare del teologo cattolico – sono due linguaggi diversi, specialmente per chi viene dal mondo dello studio e della religione – e anche questa è una sfida, quella del saper cogliere nell’altro il tipo di ascolto che sta facendo”.