Il 21 dicembre, nella Basilica di San Nicola a Bari, si è tenuta la Veglia di preghiera per la pace promossa dalla Conferenza Episcopale Italiana e dall’Arcidiocesi di Bari-Bitonto. A pochi giorni dalla Solennità del Natale, mentre nel cuore dell’Europa la guerra continua a seminare distruzione e morte, la Chiesa in Italia – unita a tutti i cristiani di Ucraina e Russia – ha invocato il dono della pace sulla tomba di San Nicola, venerato sia dai Cattolici sia dagli Ortodossi.
Pubblichiamo di seguito il testo dell’omelia del Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della CEI, che ha guidato la Veglia.
In allegato il suo saluto alle autorità religiose e civili presenti.
È una grazia trovarsi insieme in questa casa così ricca di storia e di fede, nella città di Bari, porta di accoglienza e dialogo, che dimostra come il mare può essere davvero nostro, dove “nostro e vostro” si uniscono e il fatto di essere diversi e di attingere alle medesime risorse può significare unione e non competizione, conoscenza e non violenza. Siamo vicini al Natale, risposta di Dio al desiderio di ogni uomo di trovare pace, felicità, amore. La risposta di Dio è il suo amore che non rimane senza forma ma presenza. È Dio che nasce, bambino perché l’amore non sia un’indicazione generica e facile come amano i maestri che dispensano verità prive di cure. Dio nasce nelle cantine che diventano rifugi, nelle case distrutte, nelle grotte di cuori segnati dalla violenza subita. Nella tradizione bizantina, come sappiamo, Gesù è raffigurato non deposto in una mangiatoia, ma nel sepolcro. È luce che viene nelle tenebre. Dio non nasce in una vita facile e finta, ma nella lotta terribile tra vita e morte. Nasce per aprire il sepolcro e farne porta del cielo.
Presentiamo la nostra domanda di pace con l’intercessione di San Nicola, che tanta devozione raccoglie in Ucraina e Russia. Il nostro Dio è “molto geloso di Sion”, perché è amore vero, non elisir di benessere per individualisti che riducono tutto alla propria personale convenienza o ad una elicità individuale a qualsiasi prezzo. Gesù piange guardando Gerusalemme della quale ne osserva la distruzione. Gesù piange, non condanna o rivendica di avere ragione: piange e affronta il male perché il male non sia l’ultima parola e perché in ogni loro croce gli uomini vedano il suo amore.
Il sogno di Dio è che “diventiamo vecchi e vecchie” in piazze che “formicoleranno di fanciulli e di fanciulle”. Vecchi e giovani, la vita protetta dall’inizio alla fine. Per realizzare questo sogno, che è suo e nostro, Dio ci affida “il seme della pace”. Gesù è questo seme, pagato a caro prezzo, tutt’altro che un’entità generica e falsamente rassicurante. Dio è felicità vera, ma ci chiede di amare, cioè di donare non di possedere. Si può forse essere felici e amare da soli? Amarsi senza amare rovina la nostra vita! E la pace è un seme, irriducibile, perché non c’è vita senza pace. Dipende da noi! Non prediamocela con Dio! Lui la pace l’ha pagata a caro prezzo. Adesso dipende solo da noi.
Siamo qui per affidare all’intercessione di San Nicola la sofferenza di tanti il cui dolore è il nostro dolore, le cui lacrime sono le nostre. Basta parlare con una donna ucraina per vedere le lacrime che sgorgano immediate, pensando ai cari lontani o che non ci sono più. Ricordo la foto – perché sono immagini di via crucis di Gesù e dobbiamo stamparcele nel cuore e non fare zapping – di quella donna che stava per partorire, portata in uno scenario spettrale su una barella fuori dall’ospedale di Mariupol bombardato. Ecco perché siamo qui. Per lei e per il suo bambino, che hanno perso la vita tutti e due. L’ansia della pace è il loro e nostro grido, che diventa preghiera: vieni Gesù, porta il Natale della pace in Ucraina, fa che il seme della pace possa crescere nelle crepe di cuori induriti, di paesi distrutti, di corpi violati, di persone disperate, perché Tu possa raggiungere tutti con la forza della sua grazia, che possano vedere presto i piedi «del messaggero che annuncia la pace» (Is 52,7). È un sogno? No. È speranza, visione, scelta. È non abituarsi alla guerra, per di più tra cristiani, umiliazione e scandalo perché offende il nostro unico e comune Maestro che la spada ordina di rimetterla nel fodero, ricordando che chi di spada ferisce di spada perisce e che la violenza segna la vita della vittima e dell’assassino, sempre. L’Erode della guerra che tanti santi innocenti produce si rivolta anche contro chi crede di usarlo e lo distrugge.
Cosa può pensare San Nicola se non rattristarsi e chiedere nel nome di Dio di fermarsi? San Nicola non vuole la violenza e ordina la pace! Non si dica che non ci sono le condizioni! Quelle si trovano! La pace non è un sogno è l’unica via per vivere! È la scelta, non una scelta. E la pace diventa preghiera, sofferta, per certi versi drammatica invocazione. Ma la pace è anche solidarietà per aiutare chi è colpito, perché la guerra senza nessuna pietà distrugge tutto, perfino gli ospedali, le scuole. La guerra uccide di freddo, di malattie non curate, di disperazione. Non smettiamo di aiutare, accogliere, mandare aiuti! Comunque fanno sentire che qualcuno si ricorda di loro, che non sono soli. Ed è già molto.
Un profeta di questa terra di Puglia, un instancabile operatore di pace, don Tonino Bello, in giorni in cui si assisteva a una crescente militarizzazione, scriveva: «Incombe su di noi la dissolvenza in negativo del testo di Isaia che dice: “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci, e non si eserciteranno più nell’arte della guerra. Ci sovrasta l’ombra di un minaccioso anti-Isaia, dove sono i vomeri a trasformarsi in spade e le falci in lance». Non è questo anche il terribile rischio del nucleare? E non dobbiamo pensare già al disarmo e a investire proporzionalmente in vie di dialogo? Facciamo nostra la sua preoccupazione, che supera il tempo e ci aiuta a vivere il nostro, perché ciascuno di noi non si stanchi mai di coltivare sogni di speranza e di pace. Senza visione di pace non la si cerca e non la troviamo! Certo, un seme sembra piccolo, inutile! In esso è nascosta, però, tutta la pace. Ed è affidato a noi. Se lo teniamo per noi non serve a nulla. Possiamo, ciascuno di noi, artigiano com’è di pace, gettare il seme con il perdono che estingue l’odio, con la conoscenza che libera dal pregiudizio, con la solidarietà che libera dalle conseguenze terribili, con l’accoglienza che libera dalla disperazione. Tutti possiamo fare tanto. È la famosa goccia che riempie l’oceano. E noi vogliamo esserci e non fare mancare la nostra. Anche perché, non dimentichiamolo, in una sola goccia qualcuno vedrà tutto l’oceano!
Vogliamo che tanti vedano la luce del Natale riflessa dalla nostra umanità e solidarietà. Noi vogliamo sollecitare, nella nostra umiltà, ma anche con la ferma risoluzione chi può e deve fare qualcosa per la pace perché, anche in maniera esplorativa, sia avviato un cammino che conduca al dialogo. Quanta distruzione di persone e cose dobbiamo aspettare? San Nicola, uomo di pace, volge le spalle a chi non ascolta l’invito di scegliere la pace! Sollecitiamo la preparazione di una conferenza che, come saggiamente avvenne a Helsinki ormai troppi anni fa, possa risolvere tanti conflitti e creare le basi di una convivenza pacifica. E questa inizia tessendo interessi comuni, riannodando i fili di fiducia che si sono spezzati. Rinnoviamo l’appello perché nei giorni di Natale non si compiano azioni militari attive e sia permesso ai cristiani di onorare il Dio della pace, non si profani quel giorno distruggendo le tante Betlemme dove vuole nascere il Signore. San Nicola ispiri la saggezza e il coraggio di questa scelta.
Non ci abituiamo alla guerra e facciamo nostra la stessa trepida attesa del Papa per commuoverci come lui, sperando che ogni giorno sia l’ultimo di guerra e attendendo con ansia, con la fretta di Maria, che venga il Natale della pace. Che tutti noi, come Maria, senza chiederci se tocca o meno a lui, senza indugi, facciamo crescere il seme della “pace”, che richiede fatica, tenacia, creatività. Lo facciamo perché non abbiamo pace senza la loro pace.
Desidero far risuonare ora quanto il Santo Padre disse quattro anni fa, sul sagrato di questa Basilica. Restano ancora oggi purtroppo di drammatica attualità: «La pace va coltivata anche nei terreni aridi delle contrapposizioni, perché oggi, malgrado tutto, non c’è alternativa possibile alla pace. Noi ci impegniamo a camminare, pregare e lavorare, e imploriamo che l’arte dell’incontro prevalga sulle strategie dello scontro, che all’ostentazione di minacciosi segni di potere subentri il potere di segni speranzosi. […] Per fare questo è essenziale che chi detiene il potere si ponga finalmente e decisamente al vero servizio della pace e non dei propri interessi. Basta ai tornaconti di pochi sulla pelle di molti! Basta alle occupazioni di terre che lacerano i popoli! Basta al prevalere delle verità di parte sulle speranze della gente! […] L’anelito di pace si levi più alto di ogni nube scura. I nostri cuori si mantengano uniti e rivolti al Cielo, in attesa che, come ai tempi del diluvio, torni il tenero ramoscello della speranza. Su te sia pace! In te giustizia, sopra di te si posi la benedizione di Dio. Amen».
Su di te sia pace, Ucraina. Amen.