ANDREA TORNIELLI
Francesco come Paolo VI. Nell’intervista con il quotidiano spagnolo ABC il Papa ha voluto rivelare di essersi comportato come il predecessore bresciano che lui stesso ha proclamato santo. E racconta di aver consegnato all’allora Segretario di Stato Tarcisio Bertone una lettera con la sua rinuncia in caso di “impedimento medico”. Non sappiamo la data esatta di questo documento, ma il riferimento a Bertone quale Segretario di Stato la colloca nei primissimi mesi del pontificato, dato che già nell’ottobre 2013 nel ruolo di principale collaboratore del Vescovo di Roma era subentrato Pietro Parolin. Il gesto di Francesco ricalca quello di Papa Montini. Diversi testimoni nei decenni passati avevano parlato delle lettere di rinuncia di Paolo VI, ma fino al maggio 2018 non erano state rese pubbliche. A renderle note, anche in riproduzione anastatica dall’originale, è stato il Reggente della Casa Pontificia, monsignor Leonardo Sapienza, studioso di Montini e autore di molti libri sul Pontefice bresciano che guidò la Chiesa dal 1963 al 1978, portando a compimento il Concilio Ecumenico Vaticano II e i primi tredici anni della sua applicazione. Il libro che contiene questi documenti di Paolo VI s’intitola “La barca di Paolo” (Edizioni San Paolo).
In quelle pagine si legge: “Noi, Paolo VI… dichiariamo, nel caso di infermità, che si presuma inguaribile, o di lunga durata… ovvero nel caso che altro grave e prolungato impedimento… di rinunciare” al “nostro ufficio”. La lettera è scritta con chiarissima grafia di Papa Montini ed è datata 2 maggio 1965 ed è stata dunque vergata a mano dal Pontefice bresciano non quando era vecchio o malato, ma solo due anni dopo l’elezione, con il Concilio ancora aperto. Con questo testo il Papa vuole mettere al riparo la Chiesa da una sua lunga inabilità: una lettera di rinuncia anticipata, che in quel caso era stata consegnata al cardinale decano perché la rendesse nota agli altri porporati potendo dichiarare decaduto il Pontefice.
Le lettere di Papa Montini erano in realtà due, perché insieme a quella con la rinuncia ce n’è una di accompagnamento indirizzata al Segretario di Stato – che rappresenta certamente il testo più forte. Ed è significativo che quel documento sia stato commentato anche da Papa Francesco, che in un contributo pubblicato nel libro curato da Sapienza scrive: “Ho letto con stupore queste lettere di Paolo VI che mi sembrano una umile e profetica testimonianza di amore a Cristo e alla sua Chiesa; e una ulteriore prova della santità di questo grande Papa… Ciò che a lui importa sono i bisogni della Chiesa e del mondo. E un Papa impedito da una grave malattia, non potrebbe esercitare con sufficiente efficacia il ministero apostolico”.
Il testo della lettera principale, “riservata” e indirizzata al Decano del Sacro Collegio, su carta intestata con lo stemma papale, si apre con queste parole: “Noi Paolo sesto, per divina Provvidenza Vescovo di Roma e Pontefice della Chiesa universale, alla presenza della Santissima Trinità Padre, Figlio e Spirito Santo, – invocato il nome di Gesù Cristo, nostro Maestro, nostro Signore e nostro Salvatore…”. Segue un affidamento a Maria e a Giuseppe. Quindi la formulazione della rinuncia vera e propria, con i dettagli. “Dichiariamo: nel caso di infermità, che si presuma inguaribile, o di lunga durata, e che ci impedisca di esercitare sufficientemente le funzioni del nostro ministero apostolico; ovvero nel caso che altro grave e prolungato impedimento a ciò sia parimente ostacolo, di rinunciare al nostro sacro e canonico ufficio, sia come Vescovo di Roma, sia come Capo della medesima Santa Chiesa cattolica, nelle mani del Signor Cardinale Decano… lasciando a lui, congiuntamente almeno ai Signori Cardinali preposti ai Dicasteri della Curia Romana ed al Cardinale nostro Vicario per la città di Roma… la facoltà di accettare e di rendere operanti queste nostre dimissioni, che solo il bene superiore della santa Chiesa ci suggerisce”. In calce firma autografa e data, “presso San Pietro, nella domenica del buon Pastore,
II dopo Pasqua, il 2 maggio 1965, II del nostro Pontificato”.
È interessante notare che Paolo VI non faccia soltanto riferimento a una malattia, ma anche alla possibilità di “altro grave e prolungato impedimento”. Il che, secondo diverse personalità della cerchia più vicina a Montini, può essere messo in relazione con quanto, secondo alcuni autorevoli testimoni, aveva a suo tempo da Pio XII, vale a dire la sua rinuncia in caso di rapimento da parte di Hitler nella fase culminante della Seconda Guerra Mondiale. Il che avrebbe permesso ai porporati di riunirsi, magari in un Paese neutrale e sicuro, per eleggere il nuovo Vescovo di Roma, in sostituzione di quello divenuto prigioniero del dittatore nazista.