Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
“Un protagonista disarmato della scena internazionale”, “il primo a praticare il dialogo tra i popoli e le religioni, di cui oggi si parla tanto”. “Oggi per fermare la guerra in Ucraina andrebbe a piedi a Mosca, ma passerebbe prima da Pechino e Washington perché non era solo idealista, ma anche realista”. Così il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato vaticano, Andrea Riccardi, storico della Chiesa e fondatore della Comunità di Sant’Egidio, e l’ex premier italiano Romano Prodi hanno ricordato la figura di Giorgio La Pira, statista, sindaco di Firenze e venerabile per la Chiesa dal 2018, intervenendo in Senato alla presentazione del libro “Giorgio La Pira: i capitoli di una vita”. Un lavoro in tre volumi, la prima vera “opera omnia”, realizzato da Giovanni Spinoso e Claudio Turrini e promosso dalla Fondazione Giorgio La Pira.
Parolin: in lui azione pe la pace e impegno per i poveri
Per il cardinale Parolin l’azione per la pace dello statista siculo-fiorentino “non è separabile dalle lotte politiche e sociali come sindaco di Firenze”. Al centro della sua “sorprendente sintesi esistenziale”, ispirata dalla fede cristiana e all’insegna della “storiografia del profondo”, ha proseguito il segretario di Stato vaticano, c’è “la pace non come assenza di guerra, ma come dono di Dio, che deve essere accolto e coltivato dagli uomini e dalle donne, specialmente credenti”. Pace, dunque, come “dono di Dio e impegno per l’uomo”, ma anche come “ricerca di un senso che, nella pluralità delle visioni, possa accomunare tutti i responsabili delle nazioni e tutti coloro che hanno a cuore la pace”. Concetti che ha approfondito con Vatican News:
Un costruttore di pace, nel senso di una pace completa, globale. Va sottolineato questo di lui. Non si tratta solo di assenza di guerra ma di una pace in pienezza, dove tutte le dimensioni dell’uomo vengono presi in debita considerazione. Per esempio questa attenzione che lui aveva nei confronti dei poveri, che diventava una via per costruire la pace ed eliminare le tensioni all’interno della società e fra le nazioni e raggiungere quella giustizia ed equità che permette la pace.
Quali parole profetiche saprebbe usare Giorgio La Pira in questa situazione di guerra tra Russia e Ucraina?
Io penso che si rifarebbe agli antichi profeti, dicendo che la pace è un dono di Dio, questo è un tema che è sempre stato anche molto sviluppato da parte del magistero della Chiesa. La pace è un dono di Dio che e che quindi in quanto tale va accolta. E direbbe che ha bisogno di un cuore puro e disponibile, ma nello stesso tempo anche che deve diventare un impegno concreto e quotidiano da parte di tutti. Quindi il richiamo all’apertura al Signore e dall’altra la disponibilità a collaborare con questo suo dono. Questo è il messaggio profetico che La Pira oggi ripeterebbe al mondo e che già a suo tempo fece.
In Italia e non solo, servirebbe un politico come La Pira in questo momento, come esempio anche del servizio in politica?
Sì, credo di sì, perché dobbiamo recuperare la politica come attività a servizio del bene comune. Credo che questo è un appello che deve essere raccolto e forse attraverso l’incarnazione in una persona, perché poi le idee e anche la santità camminano sulle gambe delle persone. Potrebbe essere di grande aiuto.
Profeta dello “ius contra bellum”
In La Pira, ha fatto notare il cardinale, “la fede non è mai risultato in una dimensione puramente individuale: La Pira legge la storia come storia di salvezza, che genera la comunione tra gli uomini e l’unità del genere umano”. “Protagonista di non pochi passaggi della storia ecclesiale e politica del Novecento”, La Pira – ha concluso il cardinal Parolin – è stato un profeta dello “ius contra bellum”, di cui oggi siamo chiamati a porre le condizioni “sviluppando norme e strumenti già esistenti nel diritto internazionale per risolvere pacificamente le controversie e scongiurare il ricordo alle armi”. Dialogo, trattative, mediazioni, in questa prospettiva, secondo il Segretario di Stato dovrebbero diventare “efficaci e vincolanti”, e ad essi andrebbe affiancato lo “ius post bellum”, “non solo come strumento per il riconoscimento di nuovi territori, ma come una precisa dimensione umana della pace, dando priorità al diritto più che alle armi”.
Turrini: La Pira grande anticipatore, spesso incompreso
Al termine della presentazione del suo poderoso lavoro, abbiamo raggiunto uno degli autori, il giornalista fiorentino Claudio Turrini, già vicedirettore del settimanale diocesano “Toscana Oggi”:
Da questo lavoro monumentale sull’opera omnia di Giorgio La Pira, quali novità sono emerse sulla sua figura, sul suo servizio in politica e anche sulla sua vita di cristiano oggi venerabile?
Le novità più interessanti sono sicuramente l’attività che lui ha fatto a Firenze, appena arrivato. Lui arriva nel 1926 per laurearsi e fino alla Seconda Guerra mondiale lui fa soprattutto attività di carità e di apostolato tra i giovani a Firenze. Questa è una parte poco conosciuta, ma molto interessante. Abbiamo ritrovato anche un foglietto che lui aveva fatto, “Luci del Vecchio Testamento” per distribuirlo nella comunità ebraica negli anni 1937 e 1938. Quindi anche da questo punto di vista era già stato impegnato nella difesa dei fratelli ebrei. E poi sicuramente abbiamo permesso di poter rivalutare il periodo nel quale aveva abbandonato la carica di sindaco, perché in qualche modo la Democrazia Cristiana lo aveva messo da parte, dopo il 1965. Questo periodo, l’ultimo della sua vita, dal ‘65 al 1977 quando è morto, viene sempre descritto come un periodo in cui ha vissuto isolato, un pò in disparte. In realtà come presidente della Federazione mondiale delle città unite, di cui è stato presidente per tre mandati consecutivi, ma poi per tutta la sua rete di relazioni, abbiamo potuto verificare quanto è stata importante anche la sua attività in questo periodo a livello internazionale. Spianando la strada, per esempio la strada alla conferenza di Helsinki, avendo rapporti con quasi tutto il mondo, dalla Terra santa, con ebrei, arabi, palestinesi con il Marocco, con l’Egitto, con la Russia. In questo periodo anche con il Cile di Allende, dove lui aveva visto con favore l’incontro tra le forze marxiste e cristiane.
Quali parole userebbe adesso Giorgio La Pira, in questa situazione di guerra?
Noi possiamo dedurre quello che avrebbe potuto fare oggi da quello che ha fatto in passato. Quindi prima di tutto occorre il dialogo tra le parti. In La Pira non esiste la categoria del nemico, può esistere la categoria dell’avversario, della persona che dev’essere portata al tavolo delle trattative. Ma lui non ha mai considerato nessun come inavvicinabile, come da tenere lontano. Quindi sicuramente lui direbbe, come al solito: “Abbattere i muri e costruire i ponti”. Cercare di trovare qualsiasi occasione per far dialogare le parti e trovare una soluzione pacifica del conflitto.
Ma La Pira le armi all’Ucraina le manderebbe?
Sicuramente lui non ha mai promosso questo. Possiamo prendere come riferimento la guerra del Vietnam. Anche lì c’era una situazione in cui lui sicuramente parteggiava per la parte che era offesa, il Vietnam, ma cercando però un dialogo con l’altra parte, che erano gli Stati Uniti. Non ha mai fatto niente per inviare le armi al Vietnam o per agevolare un aiuto sotto questo punto di vista. Viceversa ha fatto di tutto per poter mandare aiuti umanitari al Vietnam e progettò, quando era presidente della Federazione mondiale città unite, dei gemellaggi a tre che mettessero insieme città dell’Europa, città statunitensi e città del Vietnam. Questa era un po’ la sua idea: unire le città per unire le nazioni.
Quanto servirebbe alla politica italiana oggi un La Pira beato come esempio?
Io credo che ci sia la voglia, anche del mondo politico, di riscoprire questa figura, di vederne l’attualità anche oggi. Lui ha avuto la capacità di anticipare tantissime cose. Basta pensare al fatto che ha anticipato il dialogo con il mondo islamico, ha anticipato, nella Chiesa anche preconciliare, il dialogo con i fratelli ebrei. Ha anticipato il dialogo della Cina, e i suoi inviti a Paolo VI ad aprirsi all’Asia, ai popoli nuovi emergenti. Quindi lui è stato molto avanti rispetto alla sua epoca e anche per questo spesso incompreso, ma ha tracciato una strada che credo ancora oggi abbia la sua validità.