Giancarlo La Vella – Città del Vaticano
Dopo la notizia dell’intesa preliminare tra militari al potere e gruppi civili, in Sudan la piazza grida al tradimento. Motivo della protesta il fatto che i movimenti civili siano arrivati al dialogo e al preaccordo senza nessuna garanzia da parte di chi, la giunta militare, il 25 ottobre 2021 ha preso il potere con un golpe, congelando le speranze di svolta democratica di uno dei Paesi più poveri al mondo e che, fino al 2019, era stato sotto la dittatura dell’ex presidente Omar Al Bashir, alla guida del Sudan per quasi trenta anni.
Un Paese alla ricerca di stabilità
Da allora, tra incapacità a governare dei rappresentanti civili e colpo di Stato militare, che ha bloccate le attività del Paese, la crisi economica è diventata sempre più grave e le affollate dimostrazioni contro il governo golpista da allora si sono svolte pressoché giornalmente. Comunque l’accordo tra militari e civili, secondo gli osservatori, può essere considerato un primo passo di un processo politico in due fasi: inizialmente la creazione di un’autorità civile transitoria, poi la riorganizzazione delle istituzioni statali e la riforma dell’esercito.
Riorganizzare il Sudan
Il tutto dovrebbe durare alcune settimane e la ristrutturazione del comparto militare appare il tema più difficile da affrontare. Dietro questo progetto ci sarebbe la rinuncia da parte dei vertici delle forze armate a interessi e poteri economici consolidati nel tempo. Proprio la conservazione di queste prerogative sarebbe all’origine del colpo di Stato militare del 2021, quando si stava avviando la riorganizzazione politica, economica e sociale del Sudan dopo i quasi trenta anni dell’era Al Bashir.