Michele Raviart – Città del Vaticano
Rendere le persone meno sole. Dare voce a chi non a voce. Educarci alla “fatica” del parlare con gli altri. Sono queste le sfide maggiori del mondo della comunicazione, non solo all’interno della Chiesa, come ha ribadito questa mattina Papa Francesco nel discorso consegnato ai dipendenti del Dicastero della Comunicazione, ricevuti in udienza.
Comunicare per creare una comunità
“Cercare di far si’ di non dimenticare nessuno, anche tramite le nuove tecnologia e le varie possibilità che esistono conferma il lavoro che”, nella Chiesa, “ognuno sta portando avanti, dalla piccola parrocchia a una realtà come il Dicastero per la comunicazione”, spiega suor Veronica Donatello, consultrice del dicastero. Per questo, ribadisce, bisogna sempre partire dalla ricchezza dell’ascolto dell’altro”, per una comunicazione che non abbia solo il fine esclusivo dell’informazione, ma che implica “mettersi in dialogo, mettersi in relazione, ‘lavorare con’”.La sfida è quella di fare rete e che “comunicare crei una comunità”. “Sembra un gioco di parole”, sottolinea suor Donatella,” ma è vero, a prescindere dallo strumento, dal mezzo, dalle realtà che si usano Credo che il Papa abbia ribadito l’importanza di non lasciare indietro nessuno. Di dare voce e di far sì che questo poi entri a far parte di una vita comunitaria che appartenga alla comunità cristiana.
Dalla disabiltà l’occasione per un linguaggio più inclusivo
Suor Veronica Donatello è la responsabile del Servizio nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità della Cei. Persone che spesso sono costrette alla solitudine e che hanno difficoltà di comunicazione o di accesso ai media. Una realtà verso la quale c’è una sensibilizzazione sempre maggiore, paradossalmente anche grazie a un qualcosa di negativo come la pandemia di coronavirus. “Durante il Covid”, spiega suor Donatello, “abbiamo visto che alcune accessibilità pensate solo per una categoria hanno poi aiutato anche a “dare luce” a tutti. C’è gente che ora dice di voler apprendere la lingua dei segni, di redigere testi più fruibili, o di avere un sito internet più accessibile. Allora paradossalmente questo seme che abbiamo gettato durante il Covid sta creando un’opportunità nuova: la bellezza di una lingua, la bellezza dell’entrare in relazione con l’altro. La possibilità anche di fare un’autocritica e pensare che forse i mezzi che usiamo a volte forse non includono, ma dimenticano”. Questa è una possibilità per creare, spiega, “sempre più una comunità generativa, una casa, una famiglia per tutti”.