Bahrein, il Papa a vescovi e sacerdoti: fate circolare la gioia del Vangelo

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Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Una comunità cristiana dal respiro “cattolico”, cioè universale, perché formata da persone che provengono da varie regioni del mondo e insieme confessano l’unica fede in Cristo. È un ricco caleidoscopio di volti l’incontro di preghiera con i vescovi, i sacerdoti, i seminaristi e gli operatori pastorali nella chiesa del Sacro Cuore a Manama, in Bahrein. Appartengono tutti al Vicariato Apostolico dell’Arabia del Nord, dove sono circa i 60 sacerdoti e oltre 1300 catechisti lavorano tra circa 2 milioni di cattolici presenti in Bahrein, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita. 

Pace per l’Etiopia e per l’Ucraina

Dall’abbraccio con questa composita comunità risuonano ancora parole di pace: “In questi mesi – sottolinea Papa Francesco – stiamo pregando tanto per la pace: in tale contesto costituisce una speranza l’accordo che è stato firmato e che riguarda la situazione in Etiopia. Incoraggio tutti a sostenere questo impegno per una pace duratura affinché con l’aiuto di Dio si continui a percorrere le vie del dialogo e il popolo ritrovi presto una vita serena e dignitosa. E anche non voglio dimenticare di pregare e di dirvi a voi di pregare per la martoriata Ucraina perché quella guerra finisca”.

Una Chiesa migrante nel deserto

L’incontro e l’Angelus con coloro che hanno consacrato la vita al Signore è preceduto dalle parole di benvenuto di monsignor Paul Hinder, amministratore apostolico del Vicariato dell’Arabia del Nord:  coloro che  si trovano in questa chiesa a Manama, la prima costruita sulle rive deil Golfo, sono “rappresentanti di una Chiesa migrante”. E rappresentano, afferma monsignor Hinder, quanti “sono impegnati nella pastorale in questa regione”. Con le parole del Papa si intrecciano poi sguardi di persone innamorate del Vangelo che incrociano, spesso, le loro vite con le sofferenze di quanti vivono situazioni non facili, come chi è detenuto in carcere o chi, per motivi di lavoro, è lontano dalle proprie famiglie. 

È questo il vissuto che emerge, in particolare, da due testimonianze. Chris Noronha, operatrice pastorale, è nata in Bahrein ed è stata battezzata nella Chiesa del Sacro Cuore. Spiega di aver visto la comunità crescere e di aver assistito “personalmente alle prove affrontate da molti migranti che hanno lasciato le loro famiglie in patria per lavorare, in modo da poter mantenere i propri cari”. Suor Rose Celine ripercorre l’impegno missionario delle Suore del Carmelo Apostolico che dopo la fondazione in Kuwait, sono state accolte in Bahrein, “la terra dei sorrisi”. “Trascorriamo del tempo – spiega la religiosa – con le detenute, pregando con loro, condividendo la parola di Dio”. Legando il proprio discorso anche a queste testimonianze, Papa Francesco ricorda innanzitutto il “piccolo gregge composto da migranti” lontani dai loro Paesi d’origine. E in particolare, vedendo presenti all’incontro i fedeli del Libano, assicura la sua preghiera e vicinanza a questo “amato Paese, così stanco e provato, e a tutti i popoli che soffrono in Medio Oriente”.

È bello appartenere a una Chiesa formata da storie e volti diversi, che trovano armonia nell’unico volto di Gesù. E tale varietà – l’ho visto in questi giorni – è lo specchio di questo Paese, delle genti che lo popolano ma anche del paesaggio che lo caratterizza e che, pur dominato dal deserto, vanta una ricca e variegata presenza di piante e di esseri viventi.

L’acqua dolce dello Spirito


Accostando il Vangelo al nostro tempo, il Pontefice sottolinea che anche nel deserto e tra le fragilità umane sgorga l’acqua capace di rinnovare la vita.

Le parole di Gesù che abbiamo ascoltato parlano dell’acqua viva che sgorga dal Cristo e dai credenti (cfr Gv 7,37-39). Mi hanno fatto pensare proprio a questa terra: è vero, c’è tanto deserto, ma ci sono anche sorgenti di acqua dolce che scorrono silenziosamente nel sottosuolo, irrigandolo. È una bella immagine di quello che siete voi e soprattutto di ciò che la fede opera nella vita: in superficie emerge la nostra umanità, inaridita da tante fragilità, paure, sfide che deve affrontare, mali personali e sociali di vario genere; ma nel sottofondo dell’anima, nell’intimo del cuore, scorre calma e silenziosa l’acqua dolce dello Spirito, che irriga i nostri deserti, ridona vigore a quanto rischia di seccare, lava ciò che ci abbruttisce, disseta la nostra sete di felicità. E sempre rinnova la vita. È di questa acqua viva che parla Gesù, è questa la sorgente di vita nuova che ci promette: il dono dello Spirito Santo, la presenza tenera, amorevole e rigenerante di Dio in noi.

Tutto sgorga dalla grazia

L’acqua della vita nuova sgorga “nell’ora in cui Gesù muore in croce” e “dal costato aperto di Cristo”. Un’acqua, spiega il Papa, destinata a rigenerare “tutta l’umanità liberandola dal peccato e dalla morte”.

La Chiesa nasce lì, nasce dal costato aperto di Cristo, da un bagno di rigenerazione nello Spirito Santo (cfr Tt 3,5). Non siamo cristiani per nostro merito o solo perché aderiamo ad un credo, ma perché nel Battesimo ci è stata donata l’acqua viva dello Spirito, che ci rende figli amati di Dio e fratelli tra di noi, facendoci creature nuove. Tutto sgorga dalla grazia, tutto viene dallo Spirito Santo.

Lo Spirito è sorgente di gioia

Francesco si sofferma su “tre grandi doni che lo Spirito Santo ci consegna e ci chiede di accogliere e di vivere: la gioia, l’unità, la profezia”.

Anzitutto lo Spirito è sorgente di gioia. L’acqua dolce che il Signore vuole far scorrere nei deserti della nostra umanità, impastata di terra e di fragilità, è la certezza di non essere mai soli nel cammino della vita. Lo Spirito è infatti Colui che non ci lascia soli, è il Consolatore; ci conforta con la sua presenza discreta e benefica, ci accompagna con amore, ci sostiene nelle lotte e nelle difficoltà, incoraggia i nostri sogni più belli e i nostri desideri più grandi, aprendoci allo stupore e alla bellezza della vita.

A quanti hanno scelto di consacrare la propria vita al Signore, il Papa rivolge in particolare una esortazione:

A voi, che avete scoperto questa gioia e la vivete in comunità, vorrei dire: conservatela, conservatela; anzi, moltiplicatela. E sapete qual è il metodo migliore per fare questo? Donarla. Sì, è così:  la gioia cristiana è contagiosa, perché il Vangelo fa uscire da sé stessi per comunicare la bellezza dell’amore di Dio. Dunque è essenziale che nelle comunità cristiane la gioia non venga meno e sia condivisa; che non ci limitiamo a ripetere gesti per abitudine, senza entusiasmo, senza creatività. Al contrario, perderemo la fede e diventeremo una comunità noiosa: è brutto, quello! È importante che, oltre alla Liturgia, in particolare alla celebrazione della Messa, fonte e culmine della vita cristiana (cfr Sacrosanctum Concilium, 10), facciamo circolare la gioia del Vangelo anche in un’azione pastorale vivace, specialmente per i giovani, per le famiglie e per le vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa. La gioia cristiana non si può tenere per sé, no: la gioia cristiana non si può tenere per sé e quando la mettiamo in circolo, si moltiplica.

Lo Spirito sorgente di unità

Il Papa sottolinea quindi che “lo Spirito Santo è sorgente di unità”. “Quanti lo accolgono ricevono l’amore del Padre e diventano suoi figli”.

Non può esserci spazio per le opere della carne, cioè dell’egoismo: per le divisioni, le liti, le maldicenze, le chiacchiere. State attenti al chiacchiericcio, per favore: le chiacchiere distruggono una comunità. Le divisioni del mondo, e anche le differenze etniche, culturali e rituali, non possono ferire o compromettere l’unità dello Spirito. Al contrario, il suo fuoco brucia i desideri mondani e accende la nostra vita di quell’amore accogliente e compassionevole con cui Gesù ci ama, perché anche noi possiamo amarci così tra di noi. Per questo, quando lo Spirito del Risorto discende sui discepoli, diventa sorgente di unità, e sorgente di fratellanza contro ogni egoismo; inaugura l’unico linguaggio dell’amore, perché i diversi linguaggi umani non restino distanti e incomprensibili; abbatte le barriere della diffidenza e dell’odio, per creare spazi di accoglienza e di dialogo; libera dalla paura e infonde il coraggio di uscire incontro agli altri con la forza disarmata e disarmante della misericordia.

L’unità è anche perno della fraternità. “Per essere credibili nel dialogo con gli altri – afferma il Papa – viviamo la fraternità tra di noi”. “Facciamolo nelle comunità, valorizzando i carismi di tutti senza mortificare nessuno; facciamolo nelle case religiose, come segni viventi di concordia e di pace; facciamolo nelle famiglie, così che il vincolo d’amore del sacramento si traduca in atteggiamenti quotidiani di servizio e di perdono; facciamolo anche nella società multireligiosa e multiculturale in cui viviamo: sempre a favore del dialogo, tessitori di comunione con i fratelli di altri credo e confessioni”.

Lo Spirito è sorgente di profezia

Francesco sottolinea infine che “lo Spirito è sorgente di profezia”. “La storia della salvezza, come sappiamo, è costellata da numerosi profeti che Dio chiama, consacra e manda in mezzo al popolo perché parlino a suo nome”.

Anche noi abbiamo questa vocazione profetica: tutti i battezzati hanno ricevuto lo Spirito e tutti sono profeti. E in quanto tali non possiamo far finta di non vedere le opere del male, restare nel “quieto vivere” per non sporcarci le mani. Un cristiano prima o poi deve sporcarsi le mani per vivere la sua vita cristiana e dare testimonianza. Al contrario, abbiamo ricevuto uno Spirito di profezia per portare alla luce, con la nostra testimonianza di vita, il Vangelo.

“La profezia – conclude il Papa – ci rende capaci di praticare le beatitudini evangeliche nelle situazioni di ogni giorno, cioè di edificare con ferma mitezza quel Regno di Dio nel quale l’amore, la giustizia e la pace si oppongono a ogni forma di egoismo, di violenza e di degrado”. L’ultimo saluto pubblico nella terra del Bahrein è un ringraziamento: “Con animo colmo di riconoscenza benedico tutti voi, specialmente quanti hanno lavorato per questo viaggio. E, visto che queste sono le ultime parole pubbliche che rivolgo, permettetemi di ringraziare Sua Maestà il Re e le Autorità di questo Paese – anche il ministro della Giustizia, presente qui – per la squisita ospitalità”.