Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano
Era dal 26 giugno che i missili russi non colpivano Kiev, ma poco dopo le 08:00 di questa mattina, 229.mo giorno di guerra, nella capitale ucraina si sono sentite numerose esplosioni che hanno causato vittime e feriti nel centro città. Un razzo è caduto vicino al monumento dell’eroe nazionale della rivoluzione ucraina Hrushevsky, e sui social il consigliere del presidente ucraino Zelensky, Anton Gerashchenko, parla di morti, con macchine che bruciano e vetri delle finestre rotti. Il sindaco di Kiev Klitchko scrive di “diverse esplosioni nel distretto di Shevchenkiv, nel centro della capitale”. Il sito del Kiev Independent dà notizia di almeno quattro deflagrazioni. Alte colonne di fumo sono state viste nel centro della città. Tutte le stazioni sotterranee della metropolitana di Kiev sono state adibite a rifugi e la circolazione dei treni sulla linea rossa è stata sospesa.
Colpita Zaporizhzhia e molte altre città ucraine
Nella notte sono state colpite anche Sloviansk, dove quattro persone sono morte e due sono rimaste ferite, Dnipro, nel centro dell’Ucraina, Odessa, Mykolaiv, Khmelnytski e Zhytomyr. Ma soprattutto, alle 03:00 ora locale, un missile ha distrutto un condominio di diversi piani nel centro di Zaporizhzhia. Ci sono vittime che si aggiungono alle 14 del fine settimana e alle 43 dell’ultima settimana, causate da ripetuti attacchi alla città che in periferia ospita anche la più grande centrale nucleare del Paese. Intanto l’esercito russo reagisce alla controffensiva ucraina e si avvicina a Bakhmut, snodo strategico nell’Est dell’Ucraina: nell’ultima settimana è avanzato di due chilometri. Per tutti questi attacchi ai civili, nel suo messaggio serale di ieri, il presidente ucraino Zelensky ha definito la Russia “Stato terrorista” che non vuole la pace. “Lo dimostra ogni giorno e ogni notte – ha dichiarato – il terrore costante contro la popolazione civile rende evidente rifiuto della Russia di veri negoziati”.
Putin: l’attacco al ponte in Crimea terrorismo di Kiev
E di terrorismo aveva parlato anche Putin dal Cremlino, poche ore prima, definendo l’esplosione al ponte di Kerch, che collega la Crimea alla Russia, un atto terroristico compiuto dai servizi segreti di Kiev “per distruggere un’infrastruttura civile criticamente importante”. E queste parole preoccupano, perché rimandano all’ultimo documento russo sulla deterrenza nucleare, il decreto costituzionale del 2 giugno 2020, che tra le condizioni che determinano l’eventualità di impiego dell’arma finale, inserisce l’“azione dell’avversario su siti statali o militari criticamente importanti, la cui messa in disuso porta ad atti di risposta delle forze nucleari”. Il portavoce del Cremlino Peskov, questa mattina, ha escluso una ritorsione atomica per l’attentato.
Oggi a Mosca il consiglio di sicurezza russo
Di certo oggi a Mosca si riunisce il Consiglio di sicurezza, che potrebbe cambiare il nome dell’Operazione militare speciale in Operazione contro-terroristica, come chiedono i gruppi ultranazionalisti, simile a quella condotta in Cecenia per dieci anni a partire dal 1999. Non cambia molto dal punto di vista militare. Ma questa iniziativa si svolge per legge all’interno del Paese. Come lo sono da pochi giorni i territori dell’Ucraina appena annessi via referendum. L’altra conseguenza del cambio di nome è la possibilità di un indurimento del controllo sui cittadini.
L’Onu discute risoluzione contro l’annessione delle regioni occupate
Sempre oggi, a New York, l’assemblea generale delle Nazioni Unite avvia il dibattito su una bozza di risoluzione che condanna l’annessione di quattro regioni ucraine da parte della Russia. La decisione di portare la questione davanti all’Assemblea Generale, dove i 193 membri delle Nazioni Unite hanno un voto ciascuno – e nessuno esercita il potere di veto – è stata presa dopo che la Russia ha usato il suo veto in una riunione del Consiglio di Sicurezza il 30 settembre per bloccare una proposta simile. Bisogna reagire a questo tentativo illegale, ha dichiarato l’ambasciatore dell’Unione Europea all’Onu Skoog, che ha redatto il testo della risoluzione per non dare carta bianca ad altri Paesi per fare altrettanto o dare riconoscimento all’azione della Russia.