Antonella Palermo – Città del Vaticano
Da anni il Niger è crocevia di migrazioni che investono, in gran parte dei casi, tre continenti: vicino Oriente, Africa subsahariana, Europa. Caritas italiana ha visitato il Paese, il più povero al mondo – un nigerino su due è indigente, l’analfabetismo è all’80 per cento – per porre le basi in vista del prossimo corridoio umanitario. “Si spera possa essere possibile nella tarda primavera”, annuncia Oliviero Forti, responsabile area internazionale dell’organismo CEI.
Forti è appena tornato dalla missione in Niger per ‘selezionare’ possibili beneficiari di corridori umanitari, persone bloccate senza nessuna prospettiva di futuro: dal Sudan, dal Ciad, dal Camerun, dalla Liberia. “Il Niger ha tante difficoltà già al suo interno – spiega – ma è molto generoso, e si è reso disponibile ad accogliere questi migranti momentaneamente. Hanno attraversato il deserto, hanno vissuto il dramma dei trafficanti, sono stati imprigionati, torturati. La Chiesa italiana si fa promotrice della loro tutela perché, almeno in parte, possano poi essere trasferiti in modo sicuro nel vecchio continente.
Le storie di chi fa marcia indietro, dopo le torture in Libia
“Le storie sono quelle che spesso si trovano sui giornali ma che in pochi leggono – sottolinea amaramente Forti – donne che fuggono, spesso, da villaggi devastati da bande di criminali o terroristi”. E riferisce di una signora fuggita con i propri figli che, con grande lucidità, ha raccontato di aver dovuto camminare sui corpi dei propri concittadini prima di mettersi in salvo e che in questo tragitto ha perso anche uno dei suoi figli. “Sono persone provate psicologicamente, molte anche fisicamente. Ci fanno spesso vedere, a testimonianza di quello che ci raccontano, le ferite delle torture che subiscono in Libia, molti ne restano menomati”. Diversi di loro, dopo aver vissuto l’arresto in Libia, sono riportati indietro dall’Unhcr fino in Niger, unico Paese disposto ad accoglierli, per tentare poi nuovamente il varco del Mediterraneo.
Le diocesi italiane pronte all’accoglienza
Da 50 a 70 sono le diocesi disposte a ricevere i migranti che sarà possibile trasferire in Italia. “Speriamo davvero di riuscire nell’intento quanto prima possibile”, spiega Forti, che sottolinea la risposta ampia arrivata senza distinzione geografica, da Nord a Sud della penisola. Abbiamo riscontrato una sensibilità molto spiccata da parte dei territori – un terzo circa di tutte le diocesi italiane – molti dei quali “hanno all’attivo già delle storie molto belle di integrazione, alcune più faticose, altre veramente virtuose”. Tra queste, figurano le aree costiere della Sardegna, dove la delegazione regionale di Caritas e Migrantes regionale organizza per oggi pomeriggio il seminario “Conoscere per comprendere”, in cui verrà presentato il 29° Rapporto Caritas e Migrantes. Sono 1.050, dal 2017 ad oggi, le persone portate in Italia da Caritas attraverso il canale dei corridoi sicuri.
La complessità della condizione dei minori non accompagnati
Papa Francesco non ha trascurato di ricordarsi dei piccoli, e di ricordarlo al mondo. “Ce ne sono in tutte le rotte”, ha detto Francesco. L’allarme di 120 minori soli sull’impervio e gelido percorso di sopravvivenza nei Balcani era stato lanciato dall’eurodeputata Moretti che ha denunciato anche l’altissimo rischio abusi. Anche nel Tigray c’è la stessa preoccupazione. Sono i più vulnerabili, molti traumatizzati, in preda a paure e privazioni. “Abbiamo incontrato anche bambini che hanno lasciato le loro terre all’età di 10, 12 anni. Si sono messi in cammino e li abbiamo ritrovati all’età di 16, 17 anni. Piccoli uomini – racconta Forti – che ormai da oltre cinque anni sono in viaggio. Trovare una soluzione alla propria esistenza e a quella della propria famiglia significa poter dare una chance anche a chi è rimasto nel proprio Paese. Purtroppo ad ora non ci sono canali per i minori non accompagnati perché da un punto di vista strettamente giuridico è molto complesso trasferire questi giovani ragazzi da un Paese terzo in Europa. Tuttavia, ci sono dei progetti che stanno lavorando in questo senso, promossi da realtà italiane con il Ministero degli Esteri.”
Niger, un Paese poverissimo ma generoso
E’ di venerdì scorso l’appello delle Nazioni Unite per l’assistenza di emergenza a più di due milioni di persone colpite in Niger dalla crisi alimentare, dalle inondazioni e dalla violenza jihadista in diverse aree. Il “finanziamento urgente” è stimato in 523 milioni di dollari. Più di 450mila bambini tra i 6 mesi e i 5 anni sono anche “esposti alla malnutrizione acuta grave”. Nella sua parte sud-orientale, il Niger sta affrontando gli attacchi dei jihadisti di Boko Haram vicino al confine con la Nigeria, mentre la parte occidentale, al confine con il Mali e il Burkina, è teatro di violenze da parte di gruppi affiliati allo Stato Islamico e ad al-Qaeda. Sebbene attraversato da contrabbandi di ogni sorta, il Niger è l’unico Stato del Sahel in grado di offrire protezione per le centinaia di migliaia di persone in fuga da attentati nelle aree limitrofe.
La mediazione dell’Onu per i rifugiati
Alganesh Fessaha, presidente di Ghandi Charity, al seguito della delegazione di Caritas italiana appena rientrata, racconta la difficile operazione di mediazione attuata dopo parecchi giorni di sciopero da parte dei profughi sotto la sede dell’Unchr. Alessandra Morelli, capo ufficio in Niger, è riuscita a sbloccare lo stallo che vedeva coinvolte Germania e Gran Bretagna, Stati che avevano accettato la ricollocazione di circa duecento profughi. “E’ una grande conquista in questo periodo”, spiega Fessaha considerando l’epilogo della vicenda. “Sono intimoriti, gente che viene dalla sofferenza estrema, scappati da fame, sete, tortura. Vorrebbero essere protetti, per ora l’unico difensore è l’Unhcr”.