L’arte dei detenuti in mostra nella scuola della Polizia Penitenziaria a Roma

Vatican News

Roberta Barbi – Città del Vaticano

“Anche se abbiamo sbagliato, abbiamo una dignità e la possibilità di ricominciare”. Così gli artisti di Liberi Art, ormai ex detenuti, hanno presentato le proprie opere alla Polizia Penitenziaria che li ha ospitati nella Scuola di Formazione di Roma, per un pomeriggio all’insegna dell’arte. Nell’occasione sono state donate tre opere: una alla ministra della Giustizia Marta Cartabia, rappresentata all’evento dal Capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria Carlo Renoldi, raffigurante l’emblema della Repubblica Italiana, e le altre due alla Polizia penitenziaria, una con lo stemma araldico del Corpo e  l’altra dedicata ai magistrati vittime di mafia Giovanni Falcone – a cui è intitolata la Scuola di formazione – e Francesca Morvillo, dono personale alla Polizia Penitenziaria dall’insegnante di arte che ha condotto i detenuti per mano in quest’avventura: Anna Protopapa, artista, da anni volontaria negli istituti di pena di Reggio Emilia.  

Ascolta l’intervista con Anna Protopapa:

L’arte in carcere: un cammino di rinascita verso la legalità

Le 19 opere esposte sono state realizzate con materiali diversi, la maggior parte dei quali di riciclo o donati da commercianti “amici”. Ritraggono soggetti diversi, ma che hanno un’unica aspirazione e un significato univoco: “Che il cambiamento è sempre possibile!”, come racconta Anna Protopapa, convinta che l’arte in carcere possa aiutare molto i reclusi. È stata lei a guidarli tra tele, pennelli e non solo, in mostra, infatti, vi è anche una collezione di sette modelli ispirati alle invenzioni di Leonardo e realizzati per lo più con stuzzicadenti. Una nuova dimostrazione di come il carcere sia un luogo pieno di vita che, invece, “troppo spesso è associato a immagini negative, perché certo è un luogo di punizione, ma come afferma la nostra Costituzione, è anche un luogo di cambiamento”, come spiegato da Renoldi. Il Capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ha poi sottolineato come il tempo della detenzione debba essere dedicato anche alla riflessione su quanto commesso e sul destino delle vittime: “Come dice Papa Francesco: ‘nessuno si salva da solo’, e così anche noi dobbiamo lavorare in comunità, perché il carcere è parte del territorio e può cambiare solo con gli stimoli, i suggerimenti e le esperienze che vengono anche da fuori”.

Un carcere che è sempre più “casa”

Della necessità di inserimento del carcere nel tessuto sociale e territoriale ha parlato anche Anna Angeletti, direttrice della casa di reclusione di Paliano, in provincia di Frosinone, che ha ricordato come gli istituti di pena siano chiamati nell’ordinamento giuridico proprio “case”: circondariali o di reclusione. E proprio a Paliano, esempio unico in Italia di istituto che ospita esclusivamente collaboratori di giustizia, nella fase più acuta della pandemia da Covid, è nata una falegnameria che ha realizzato i cavalletti in legno sui quali sono state esposte le opere di Liberi Art. Sull’attenzione di Papa Francesco verso i detenuti si è concentrata, invece, la testimonianza di Alessandro Gisotti, vicedirettore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, che ha ricordato l’attenzione che il Papa ha dimostrato in molte occasioni verso i detenuti, raccontando in particolare il viaggio a Panama nel gennaio 2019, in occasione della XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù, quando celebrò in un istituto di pena minorile una toccante liturgia penitenziale alla quale presero parte i giovani privati della libertà.

Liberare la creatività e indurre alla riflessione

A Papa Francesco e alla sua enciclica Fratelli tutti è particolarmente legato il progetto Liberi Art. La prima opera realizzata, infatti, oltre un anno fa, è stata dedicata proprio “a questo messaggio del Santo Padre che è universale, perciò rivolto a tutti, detenuti compresi – ricorda Protopapa – abbiamo deciso così anche per fare nostro questo messaggio e per impegnarci a viverlo ogni giorno”. E sono molti i messaggi che il progetto ha esplorato, tematiche come il contrasto al bullismo, la violenza sulle donne o la lotta alla mafia, che “sarebbe difficile affrontare con i ragazzi fuori dal contesto artistico”. Un modo per soffermarsi a riflettere, dunque, ma non solo. “Per me è stata un’opportunità di esprimere le mie capacità – racconta Stiljan, ex detenuto di Reggio Emilia, oggi in detenzione domiciliare – con l’arte riesco finalmente a esprimere cose che normalmente non riesco a dire e, nel tempo che ho passato in carcere, è stato anche un modo per andare oltre il muro”. Liberare la mente, mollare gli ormeggi, magari proprio come quel modello di nave pirata che Stiljan per quattro mesi ha costruito con gli stuzzicadenti e che poi lo ha portato fuori dal carcere, ma stavolta per davvero.

Ascolta l’intervista con Stiljian