Antonella Palermo – Città del Vaticano
La carità come strada privilegiata per avvicinare le genti, ponte, nella gratuità, capace di seminare bellezza. La fecondità di un Vangelo incarnato, pur nella presunta aridità delle steppe sconfinate, si manifesta in queste terre e ha un’onda lunga. Tra i servizi sociali resi a una popolazione che soffre di una forbice troppo ampia tra ricchi e poverissimi, ci sono quelli dedicati in particolare alle fasce giovani, sia nel campo dell’educazione che in quello della ricerca di opportunità di lavoro. A scontare, peraltro, un aggravamento delle condizioni di vita sono i rifugiati concentrati a pochi chilometri dalla frontiera con il Kyrgyztan, nella zona di Almaty. Proprio qui opera la Fondazione AVSI, con l’affiliato progetto MASP (Mezhdunarodnaja Associacija Socialnykh Proektov), in cui è impegnata una cooperante italiana, Silvia Galbiati. È il periodo della ripresa dell’anno scolastico e i ritmi delle giornate ricominciano vorticosi, ma il pensiero di andare a incontrare presto Papa Francesco, coinvolgendo amici locali in un pellegrinaggio di oltre mille chilometri fino alla capitale, riempie di emozione, accorcia le distanze, conferma nella missione.
Scorgere, favorire, servire il bene che c’è
“Partire dal bene che c’è, favorirlo, servirlo e davvero tentare di costruire. Qui si trova gente con cui si può costruire”: è ciò che in sintesi da anni questa donna persegue, per la quale l’enciclica Fratelli tutti rappresenta una ispirazione continua, tanto che ne rilegge il punto n. 77: Ogni giorno ci viene offerta una nuova opportunità, una nuova tappa. Non dobbiamo aspettare tutto da coloro che ci governano, sarebbe infantile. Godiamo di uno spazio di corresponsabilità capace di avviare e generare nuovi processi e trasformazioni. Dobbiamo essere parte attiva nella riabilitazione e nel sostegno delle società ferite. Oggi siamo di fronte alla grande occasione di esprimere il nostro essere fratelli, di essere altri buoni samaritani che prendono su di sé il dolore dei fallimenti, invece di fomentare odi e risentimenti. Come il viandante occasionale della nostra storia, ci vuole solo il desiderio gratuito, puro e semplice di essere popolo, di essere costanti e instancabili nell’impegno di includere, di integrare, di risollevare chi è caduto […].
Quale è l’immagine che porta dentro di sé fin dal suo primo arrivo in questo Paese e che rappresenta il tratto umano saliente di questo popolo?
Il Paese è molto cambiato da quando io sono arrivata, nel 2002. Ma vorrei dire che la cosa più bella e interessante di questo Paese, e di cui mi sono accorta fin dall’inizio, è la possibilità di dialogo e di incrocio di culture impressionante. Diverse religioni e culture che è la vera ricchezza che non bisogna dare per scontata e che occorre non perdere. Ho trovato tante persone disposte a conoscermi per quello che io ero – non parlavo il russo, cattolica – e a costruire con me. Convivo ogni giorno con musulmani, ortodossi, atei, kazaki, coreani… e anche grazie a loro ho approfondito la mia identità. Quando sono arrivata era un luogo molto diverso da quelli in cui ero stata abituata a vivere – steppe immense, poche città, sovietiche come impronta – ma la gente era disposta a un dialogo. Sono diventati ormai davvero tanti fratelli e sorelle, tanti figli. Davvero tanta gente diversa che vive insieme, costruisce rapporti. Con una guerra così vicina [in Ucraina, ndr] e che si prolunga in modo preoccupante, con tutto ciò che qui è successo con la crisi economica a gennaio scorso, che questa convivenza rimanga è una particolarità.
La fratellanza è proprio quella che si vuole rilanciare con il Congresso dei leader mondiali e delle tradizioni religiose a cui partecipa Papa Francesco. Quali sono le attese?
La presenza del Papa è un enorme regalo. Io e gli amici kazaki lo attendiamo in modo molto forte. Come si attende un maestro, un padre, un uomo grande a cui in questi anni si è guardato, capace di aprire strade nuove, di voler bene alla gente e molto desideroso di pace e speranza, ciò di cui la gente ha estremo bisogno. Lo aspettiamo con gratitudine e gioia. Curiosi di sapere cosa ci dirà, cosa dirà anche ai tanti che verranno, dalla Russia e non solo. Credo sia un segno grande proprio in questo momento storico.
Accennava alla crisi economica e sociale di cui è stata testimone, attualmente come è la situazione?
Sono stati eventi drammatici, settimane in cui la gente si è molto spaventata. Il mondo ha la capacità di dimenticare in fretta le cose… ma sicuramente dopo gennaio la gente è cambiata. È acuta la mancanza di speranza, il senso di insicurezza, la paura. Non mi addentro in analisi storico-politiche, ma voglio dire che qui di certo ci sono problematiche serie, ancora aperte che devono essere affrontate. C’è tanto da fare ancora sull’istruzione, per esempio, sulla sanità, anche nel campo dei diritti umani occorrono cambiamenti reali. Andando in giro per le scuole con i nostri bambini tante volte viene un gran dispiacere nel vedere povertà esagerate appena fuori dalle città, oppure studenti che frequentano su tre turni perché le scuole non sono sufficienti, oppure il sistema sanitario e penitenziario che non ha a cuore veramente la persona. Ciò nonostante, io credo che bisogna guardare ai problemi che ci sono, ma non soffermarsi troppo nella lamentela sterile o in ideologie che alla fine finiscono con il peggiorare le situazioni invece che migliorarle. Ecco, credo che occorra avere una posizione diversa e in questo l’enciclica del Papa Fratelli tutti – che qui sentiamo molto nostra – mi è di grande aiuto.
Con il progetto Masp cosa state costruendo?
E’ partito nel 2002 e in questi anni abbiamo cercato di lavorare sempre a partire dai bisogni che vediamo stando con la gente. Oggi lavoriamo su attività sociali educative rivolte a minori e giovani che vivono disagio materiale e sociale. Ci occupiamo molto di orientamento professionale per adolescenti e giovani con disabilità; svolgiamo attività di aiuto psico-fisico per minori da 0 a 12 anni e aiutiamo anche materialmente 180 famiglie bisognose grazie al sostegno a distanza di Avsi. Negli ultimi quattro anni abbiamo aperto una cosa che a me piace molto: è una piccola attività imprenditoriale dove sono impiegate nel cucito e nella lavorazione della lana cotta dieci ragazze con disabilità. Le abbiamo molto curate in questi anni queste bambine e oggi lavorano nel centro. Dà molta speranza anche ai genitori.
Che storie hanno i vostri bambini?
Hanno situazioni familiari gravi, alcuni sono legati anche a problematiche di dipendenze dei genitori. Noi cerchiamo, finché possiamo, di farli restare dentro il contesto familiare in cui vivono. Quando non è possibile, vengono allontanati, ma noi cerchiamo sempre di seguirli. Anche quando diventano maggiorenni noi cerchiamo di non abbandonarli. È questa prossimità che ci sta a cuore e che sentiamo ci viene richiesta. Far vedere loro che è possibile vivere e che loro non sono da soli. La cosa che mi colpisce qui, come dicevo prima, è che nonostante le differenze abbiamo lo stesso cuore e lo stesso bisogno di essere voluti e amati.
C’è qualche storia in particolare che la commuove tuttora ed emblematica di questa rigenerazione?
Le persone con cui lavoro, i miei colleghi. Ci sono in particolare cinque o sei persone che io sento proprio come sorelle. Una uigura, l’altra russa, una kazaka. A me colpisce che davanti alla vita abbiamo un comportamento molto affine su tante cose importanti. Io ho perso il mio papà durante la pandemia, due anni fa, era tutto bloccato e lui era in Italia, io qua. Quel giorno ero al lavoro a distruibuire pacchi alimentari e mascherine. Quando, dopo la telefonata di mia sorella, ho comunicato alla mia amica musulmana che mio padre era venuto a mancare, lei mi ha chiesto: cosa vuoi fare? Io ho risposto che volevo dire il rosario. E lei ha detto con me il rosario. Cose così sono quelle che cambiano davvero il mondo.