Fisichella: annunciare il Vangelo è una vocazione. Catechista si è, non si fa

Vatican News

Adriana Masotti – Città del Vaticano

Seconda giornata del Congresso internazionale di catechesi in Vaticano. Oltre 1400 i partecipanti tra catechiste e catechisti, sacerdoti e vescovi provenienti da 50 Paesi di tutti i continenti. Dopo aver riflettuto, in apertura dei lavori, sulla vocazione del catechista, testimone e annunciatore della vita nuova portata da Cristo, e sull’evangelizzazione nella prospettiva sinodale che la Chiesa sta vivendo, oggi si è parlato di “Libertà personale e coscienza ecclesiale”, di “Catechesi al servizio della formazione della coscienza” e dell'”Apporto della catechesi per il rinnovamento ecclesiale e sociale”. Nel pomeriggio, gli incontri per gruppi linguistici per affrontare temi come “La formazione cristiana dinanzi alla sfida del fine vita”; “Differenza e reciprocità tra uomo e donna: l’ideologia gender”; “Responsabilità e partecipazione alla vita sociale” e ancora “Verità, comunicazione e questione digitale”; “Educazione ecologica per la cura della casa comune” e “Comunicare la cultura cattolica”. Domani il programma proseguirà riflettendo sul rapporto tra catechesi e morale con la condivisione di alcune esperienze pastorali e, poco prima di mezzogiorno, concluderà l’incontro l’udienza con Papa Francesco.

Fisichella: la sfida di trovare linguaggi e segni nuovi

Molto varia la provenienza anche dei relatori: Gran Bretagna, Francia, Brasile, Spagna, Italia, Usa, Repubblica Democratica del Congo. A coordinare il Congresso è monsignor Rino Fisichella, pro-prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, Sezione per le questioni fondamentali dell’evangelizzazione nel mondo, che lo promuove e lo organizza. A Vatican News, monsignor Fisichella parla degli obiettivi dell’iniziativa, delle sfide nuove a cui la catechesi deve trovare risposta e del valore della vocazione del catechista, per la quale recentemente Papa Francesco ha istituito un ministero specifico permanente e stabile.

Ascolta l’intervista a monsignor Rino Fisichella

Monsignor Fisichella, è in corso da ieri il III Congresso internazionale di catechesi: che cosa si vuol approfondire durante queste giornate e quali sono gli aspetti nuovi su cui si intende riflettere?

Il nostro Dicastero ha iniziato anni fa a porre molto attenzione alla formazione dei catechisti e delle catechiste, non possiamo dimenticare che nel mondo noi abbiamo un esercito di catechisti e catechiste che svolgono un ministero preziosissimo per la vita della Chiesa, e quindi abbiamo iniziato già alcuni anni fa a esaminare le quattro parti del Catechismo della Chiesa cattolica. Abbiamo iniziato con la prima parte: il catechista testimone della fede. Abbiamo affrontato poi il tema: il catechista  testimone del mistero, la seconda parte del Catechismo tratta, infatti, della liturgia. In questi giorni ci occupiamo della terza parte cioè la Vita nuova in Cristo, cioè lo stile di vita del credente.

Proprio stamattina il tema di un intervento è stato “L’apporto della catechesi per il rinnovamento ecclesiale e sociale”. Che cosa è emerso?

È emerso quanto sia decisivo, alla luce anche dell’insegnamento recente di Papa Francesco, l’attenzione che la catechesi deve avere non soltanto nei confronti delle situazioni di indigenza, ma anche, ad esempio, alle situazioni che portano a considerare la bellezza del Creato e la cura del Creato, e quindi le tematiche che toccano il sociale, la povertà, il fenomeno delle migrazioni, le questioni che oggi in Europa ci toccano più da vicino cioè la produzione e le risorse della terra e del Creato, tutte queste devono essere necessariamente affrontate anche nella catechesi.

Come ricorda spesso il Papa, le trasformazioni culturali e sociali richiedono percorsi educativi adeguati, nuovi, quindi anche il linguaggio, la modalità dell’annuncio del Vangelo deve trovare nuove forme…

Assolutamente sì. Non sono un linguaggio che sia dedito all’annuncio, ma anche quel linguaggio che si fa concreto nei segni. In questi giorni, abbiamo qui 1400 catechisti e catechiste accompagnati dai rispettivi vescovi e dai sacerdoti, è un momento realmente ecclesiale, si cammina insieme. La cosa importante è proprio trovare anche dei linguaggi che siano il più possibile comuni. Perché i partecipanti vengono da più di 50 Paesi diversi, dall’Asia e dall’Africa, dall’America Latina all’Australia e all’Europa, ma tutti vivono anche con una finalità comune, quella di svolgere un servizio, un autentico ministero nella comunità cristiana per trasmettere la fede alle generazioni più giovani.

Quanto conta la diversità culturale e sociale in cui vive un catechista riguardo al suo ruolo?

Questa è la grande sfida che noi abbiamo, la sfida dell’inculturazione del Vangelo, capire in che modo l’evangelizzazione entra nelle culture, le ascolta, ne valuta la ricchezza che vi è presente e le indirizza al Vangelo. E proprio il catechista ha questo compito particolare perché la catechesi è una tappa fondamentale nella via dell’ evangelizzazione. Questo è uno anche dei motivi per cui Papa Francesco ha istituito il ministero del catechista, perché ci sono uomini e donne che sono realmente dediti e donano tutta la loro vita al servizio della catechesi. Questo richiede un impegno nella trasmissione della fede che sappia entrare nelle culture, però oggi, come ho accennato, noi siamo davanti a una grande sfida perché la nostra è una cultura globale universale. La cultura digitale, la cultura di internet va oltre la differenza delle lingue perché accomuna tutti in alcune caratteristiche, e anche in alcune contraddizioni, non dimentichiamolo, e sviluppa un linguaggio comune con comportamenti e stili di vita che diventano sempre più uniformi.

Poco fa, a proposito dell’annuncio del Vangelo, lei ha parlato di “segni”, ci fa qualche esempio?

Fin dai primi tempi della Chiesa il Vangelo si è espresso in questo modo: il Vangelo è stato annuncio, ma è stato anche segno concreto che quell’annuncio era fattibile, che portava veramente la salvezza. Noi troviamo già nelle prime pagine del Libro degli Atti, l’impegno degli apostoli e della comunità cristiana di annunciare il Vangelo, però l’annuncio era accompagnato anche dai segni. Il primo era quello che vedeva i cristiani frequentare il tempio per la preghiera in comune, vivevano in comunità, era quindi il segno della comunità che è fondamentale. Un altro segno di cui ci viene detto è che nessuno era nel bisogno, perché si poneva in atto il segno della profonda solidarietà. Noi abbiamo visto nei secoli le persone ammalate venir buttate per strada, nessuno si prendeva cura di loro e abbiamo realizzato il segno degli ospedali. Abbiamo visto che l’istruzione, nel passato, era riservata soltanto ad alcune classi e ceti sociali e ci sono stati uomini e donne che hanno intuito che l’educazione doveva essere per tutti e allora abbiamo fondato le nostre scuole, e così via… Così noi anche oggi dobbiamo essere ugualmente capaci di dare dei segni di speranza: il grande linguaggio che oggi noi possediamo è quello della speranza.

Domani ci sarà l’incontro dei partecipanti al Congresso con Papa Francesco che chiuderà l’incontro. Che cosa vi aspettate da lui?

Noi abbiamo iniziato questo Congresso internazionale ponendoci in ascolto di Papa Francesco e sono sicuro che con la sua lunga esperienza di incontro con i catechisti e le catechiste della sua diocesi Papa Francesco ancora una volta, come è stato nel passato, ci darà un messaggio forte e non mancherà di ricordare a tutti quanti noi che non bisogna “fare” il catechista, ma bisogna “essere” catechisti, perchè svolgere la catechesi non è come andare a scuola e non è un’ora di lezione, ma è una vocazione: essere catechista quindi e non fare il catechista.