Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Il mondo anglicano vive il suo profondo dolore per la morte di Elisabetta II, capo della Chiesa d’Inghilterra. Ad esprimerlo, in tutta la sua interezza, è stato ieri nel suo messaggio di cordoglio l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, primate della comunione anglicana. “Abbiamo perso – aveva scritto Welby – una persona la cui lealtà irremovibile, capacità di servizio e umiltà ci ha aiutato a dare un significato a chi siamo attraverso decenni di straordinari cambiamenti nel nostro mondo e nella nostra società”. Lealtà, capacità di servizio e umiltà, doni spirituali che riconosce anche la Reverenda Jules Cave Bergquist, cappellano di Napoli, Bari, Sorrento e Capri e vicario per l’Italia del Vescovo anglicano per l’Europa:
Reverenda, l’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby, ha sottolineato nel suo messaggio di cordoglio per la morte di Elisabetta II, l’incrollabile lealtà, il servizio e l’umiltà della Regina, qualità che hanno segnato profondamente i sudditi, i fedeli del regno …
Io credo che si possa capire tutto alla luce di qualcosa che la Regina ha detto in occasione del suo 21mo compleanno. Era in Sudafrica con la famiglia e ha parlato alla sua gente dicendo “Dichiaro davanti a voi tutti che tutta la mia vita sia lunga o corta sarà dedicata al servizio vostro e anche al servizio della nostra grande famiglia imperiale, alla quale noi apparteniamo tutti”. E quindi lei, già all’età di 21 anni, sapendo di divenire poi regina, ha dedicato la sua vita al servizio. E ha riferito a questo diversi momenti della sua vita. Trascorsi gli anni l’impero è diventato il Commonwealth, una famiglia di nazioni, molte delle quali sono indipendenti oggigiorno, tutte però con forti legami di una storia insieme, ma con rapporti aggiornati, e la Regina ha saputo gestire questo aggiornamento con intelligenza e spirito di servizio. Poteva fare questo soltanto con i doni spirituali della lealtà, verso la sua gente, dello spirito di servizio e dell’umiltà nel trasformare l’impero in un Commonwealth, una famiglia.
Qual è l’eredità di Elisabetta? Che cosa lascia al mondo anglicano? Quale segno della sua fede cristiana?
Lei è conosciuta per una fede molto forte e molto personale. Andava in chiesa ogni domenica e anche in altri momenti dell’anno, nelle cappelle dei palazzi reali di tutta Gran Bretagna. È anche vero che nei momenti in cui la Regina indirizzava un messaggio alla sua gente, tipo a Natale, oppure in momenti di crisi, non lasciava mai scappare l’opportunità di parlare della fede e del conforto e del sostegno che offriva proprio a lei. E credo anche che la sua eredità sia quella di aver saputo trasmettere l’importanza della fede ai suoi discendenti, e quindi anche a Carlo e a William, il rispetto per la fede e l’importanza dei titoli che loro erediteranno come lei ha ereditato, come quello di Defensor fidei, difensore della fede, o di suprema governatrice della Chiesa anglicana. Sono titoli personali ma devono essere radicati nella realtà dell’essere il responsabile spirituale di una Chiesa.
In molti hanno sottolineato la capacità di Elisabetta II di interpretare un ruolo che lei considerava una missione, lei è d’accordo?
Sì, certo. Come dicevo prima, a proposito del suo 21mo compleanno, è sempre stato importantissimo per Elisabetta. Essere monarca per lei era essere Difensor fidei. Sappiamo tutti che Difensor fidei è stato un titolo dato ad Enrico VIII dal Papa (Papa Leone X ndr) per aver scritto un libro sui sette sacramenti. È un titolo ereditato dalla Regina e poi anche dai re. Molte persone mi chiedono: “Ma la Regina è il capo della vostra Chiesa, della Chiesa di Inghilterra, della Chiesa anglicana?” Il capo della Chiesa nostra è Cristo, come per la Chiesa Cattolica. Il Papa per voi è il vicario di Cristo, per noi la Regina, così come i suoi successori, sono governatori supremi della Chiesa d’Inghilterra, significa che il ruolo comprende l’accertarsi che la sua Chiesa abbia i vescovi per essere governata, significa quindi invitare i vescovi ad assumere le responsabilità per il gregge. La Regina ha saputo aggiornare anche questa missione e tramandarla ai suoi discendenti. Era molto importante per lei, non solo la fede personale, ma anche guardare alla fede come una cosa da tramandare al suo popolo, ai suoi eredi.
Lei l’ha incontrata personalmente? Ne ha un ricordo?
No, non l’ho mai incontrata, ho conosciuto sua sorella, Margaret, anche lei donna di grande fede. Però ho incontrato il principe Carlo (Re Carlo III). Ero responsabile nazionale delle vocazioni e lui veniva ad un seminario anglicano a Oxford, quindi ho avuto l’opportunità di parlargli. È una persona molto interessante, è molto curioso di sapere, di incontrare, di agire per il bene. Perlopiù in Inghilterra è conosciuto come agricoltore biologico, sperimenta da decenni una agricoltura ecosostenibile. È appassionato, instancabile sostenitore dei movimenti per salvaguardare il creato, e credo che in questo andrà molto d’accordo con Papa Francesco, autore della Laudato si’. Però Carlo ha parlato anche del titolo di Difensor fidei, che sapeva un giorno avrebbe ereditato. A lui interessano molto anche le altre Chiese cristiane, così come le altre religioni presenti nel territorio. È conosciuto per avere conoscenza profonda dell’Islam, per esempio. Quindi, credo che nel futuro Carlo saprà salvaguardare la libertà della fede di tutti i suoi sudditi. In molti leggeranno come una novità avere un Re che si interessa anche di altre religioni, ma non è vero, e la prova ne è il fatto che il nonno di Carlo, cioè il padre di Elisabetta (Re Giorgio VI, ndr) era ancora imperatore dell’Impero britannico quando fece costruire decenni fa la prima moschea in Inghilterra, a Londra, a St John’s Wood, su di un terreno della casa reale. Fece costruire questa moschea per i suoi sudditi musulmani, quindi già al tempo del padre della Regina la monarchia inglese voleva salvaguardare la possibilità di professare la propria fede e di avere i posti dove farlo. Io sono piena di speranza che la regina abbia saputo tramandare a Re Carlo III l’importanza della fede, nella vita sia della famiglia reale, sia dei suoi sudditi.