Deborah Castellano Lubov – Città del Vaticano
Tra una settimana, dal 13 al 15 settembre, Papa Francesco si recherà in Kazakhstan in occasione del settimo Congresso dei leaders mondiali e delle religioni tradizionali, un appuntamento triennale che si tiene qui, promosso dal Presidente della Nazione, Kassym-Jomart K. Tokayev. È un viaggio apostolico all’insegna della pace e dell’unità, come recita il motto. La visita si concentrerà nella moderna e futuristica capitale Nur-Sultan, a nord del Paese, dove incontrerà le autorità e la società civile, pregherà con e parlerà ai rappresentanti delle diverse fedi, incontrerà i membri della Chiesa locale, celebrerà una Messa nel giorno della Festa della esaltazione della Croce.
Una piccola Chiesa nella steppa
Le origini della Chiesa in Kazakhstan risalgono alla metà del XIII secolo con l’invio, da parte della Francia, di alcuni missionari che da lì raggiunsero la Mongolia. Furono i Francescani ad essere incaricati della missione nell’intera area dell’Asia centrale. Nel secolo successivo cominciarono le prime persecuzioni e non si ebbero più notizie fino alla metà del XIX secolo. Tornarono i cattolici in parte come soldati dell’esercito russo, in parte come esiliati, deportati, prigionieri di guerra, oppure coloni volontari e rifugiati.
La fine dell’Unione Sovietica, di cui quest’area faceva parte, e la nascita del Kazakhstan indipendente nel 1991, ha impresso una svolta nella piccola Chiesa cattolica locale: nel 1992 stabilite le relazioni diplomatiche dell’ex Repubblica sovietica con la Santa Sede e nel 1998 un accordo tra le due parti che garantisce alla Chiesa cattolica la libertà di svolgere la sua attività sociale, educativa, socio-sanitaria, di avere accesso ai mezzi di comunicazione sociale e di assicurare ai suoi fedeli l’assistenza spirituale nelle strutture sanitarie e nelle carceri. Proprio l’invito all’armonia tra religioni e culture fu al centro della visita di Giovanni Paolo II nel Paese, nel 2001, tema che in sostanza, Francesco va a rilanciare anche alla luce della enciclica Fratelli tutti.
La visita del Papa per promuvere una riconciliazione globale
I cattolici in Kazakhstan sono lo 0,01% della popolazione, circa un quarto di questa minoranza è costituito da cristiani, in netta prevalenza ortodossi. I fedeli sono distribuiti in quattro diocesi (Arcidiocesi di Maria Santissima in Astana – Nur-Sultan), la Diocesi della Santissima Trinità in Almaty, la Diocesi di Karaganda e l’Amministrazione apostolica di Atyrau) per un totale di 70 parrocchie. Un centinaio i sacerdoti. Ne parla a Vatican News monsignor Tomasz Bernard Peta, arcivescovo di Santa Maria Santissima:
Qual è l’importanza della visita di Papa Francesco in Kazakhstan?
Una visita di Papa Francesco è sempre un evento storico, ancor più in un Paese dove i cattolici sono un piccolo gregge. Sono convinto che sia una grande benedizione per noi cattolici e per l’intero Kazakhstan. Considerando la drammatica situazione internazionale, l’attuale visita porta con sé la speranza di pace e riconciliazione su scala globale. Siamo molto grati che il Santo Padre benedica nella Cattedrale di Nur-Sultan la nuova icona del trittico della “Madre della Grande Steppa”. Questa icona è destinata al nostro Santuario nazionale della Regina della Pace a Ozyornoye. Ci ricorderà la visita papale.
Quale il valore del Congresso interreligioso e della partecipazione del Pontefice?
Il Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali non è una piattaforma di discussioni teologiche. A mio avviso, può essere un segno che indica Dio come fonte di pace. Gli sforzi dei politici, pur essendo necessari, sono insufficienti. È necessaria un’intensa preghiera dei credenti per la pace. La partecipazione del Santo Padre Francesco al Congresso eleva il livello di questo evento e indica la cura della Chiesa per la pace e il benessere di tutta l’umanità.
Come viene visto Papa Francesco in Kazakhstan?
Per i cattolici del Kazakhstan è il Capo della Chiesa, il Successore di Pietro. Lo aspettiamo con gioia e speranza. È da notare che per le autorità kazake il Santo Padre rappresenta un’autorità. Lo dimostra l’assiduità con cui il governo sta preparando la visita.
Da quando è arrivato in Kazakhstan, cosa l’ha colpita di più di questa terra?
Sono arrivato in Kazakhstan nel 1990, ancora ai tempi dell’Unione Sovietica. Allora non c’erano strutture ecclesiastiche. Sul territorio di cinque repubbliche dell’Unione Sovietica operavano circa 15 sacerdoti locali, cittadini dell’Unione Sovietica. In molte città e villaggi esistevano comunità di fedeli. Dove ai tempi del comunismo si pregava in modo particolare il rosario, la fede e il sentimento di appartenenza alla Chiesa erano conservati. Questo ha portato poi i suoi frutti nelle condizioni di libertà di religione e di coscienza dopo che il Kazakhstan ha ottenuto l’indipendenza (nel 1991). Vennero rapidamente istituite parrocchie e costruite chiese e cappelle.
Cosa significa essere cattolici in Kazakhstan?
In Kazakhstan godiamo di libertà religiosa. Tuttavia, non è facile essere cattolici. Perché? I cattolici sono meno dell’1%. I 19 milioni di cittadini del Kazakistan sono un mosaico di 130 nazionalità – il 70% sono kazaki – e appartengono a 18 religioni ufficialmente registrate. Essere cattolici significa fare una scelta matura. Durante gli anni dell’indipendenza del nostro Paese, diversi milioni di cittadini si sono recati nelle loro patrie storiche. Tra loro c’erano diverse migliaia di cattolici. In questo periodo la comunità cattolica è diventata più internazionale. I cattolici del Kazakhstan appartengono a dieci nazionalità diverse, tra cui anche rappresentanti della nazione kazaka. Non possiamo più chiamarci, come prima, Chiesa “tedesca” o “polacca”.
In Asia centrale come avete recepito gli appelli del Papa per la pace riguardo alla guerra in Ucraina?
La guerra in Ucraina è una grande tragedia. Si può dire che è una ferita sul corpo di tutta l’umanità. Crediamo che la visita del Santo Padre Francesco contribuirà fortemente alla fine della guerra in Ucraina e all’ottenimento della tanto attesa pace.