Archie, il vescovo Sherrington: riconoscere la sua dignità di persona

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Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Dal momento che il supporto vitale di Archie Battersbee verrà ritirato, “ogni passo deve riconoscere la sua dignità intrinseca di persona creata a immagine e somiglianza di Dio. In questo momento di addio, è importante il processo di accompagnamento compassionevole di Archie e dei suoi genitori”. È quanto si legge in una nota del vescovo John Sherrington, ausiliare della diocesi di Westminster e responsabile per le questioni della vita per la Conferenza Episcopale Cattolica di Inghilterra e Galles, nel momento in cui è prevista la sospensione del trattamento che, dal 7 aprile scorso, tiene in vita il dodicenne britannico, ritrovato esanime in casa vittima di una sfida di un gioco on line e ritenuto dai medici cerebralmente morto. Da quel momento la famiglia si è sempre battuta perché al ragazzino non venissero tolti i meccanismi di respirazione assistita. Di ieri la decisione dell’Alta Corte che Archie non debba essere trasferito dall’ospedale in un hospice prima della sospensione del trattamento.  

Cercare la mediazione tra famiglie e operatori sanitari

“Le recenti e dure discussioni in tribunale sul trattamento e sulle cure in corso di Archie – scrive ancora il vescovo Sherrington – evidenziano ancora una volta la necessità di trovare modi migliori di mediazione con cui i genitori e gli operatori sanitari possano raggiungere accordi comuni ed evitare complessi procedimenti legali”. Sebbene, quindi, la Chiesa cattolica “riconosca che ci sono situazioni in cui il trattamento medico per sostenere la vita non è più obbligatorio se non c’è speranza di guarigione”, conclude il presule, “il trattamento ordinario e l’assistenza dovrebbero essere forniti in modo appropriato alle condizioni del paziente”.

La lunga battaglia dei genitori

Al Royal London Hospital di Londra tra oggi e domani verrà staccata la spina ai supporti vitali che tengono in vita Archie. I genitori, Hollie Dance e Pal Batterbee da aprile portano avanti una durissima battaglia che li ha visti rivolgersi all’Alta Corte, alla Corte d’appello, alla Corte suprema, alle Nazioni Unite così come alla Corte Europea per i diritti dell’uomo, senza ottenere il prolungamento dell’assistenza o il trasferimento del figlio in un hospice per malati terminali.