di Andrea Monda
Tornare alle radici, alla fonte. Non per un gusto nostalgico, ma per andare avanti, per affrontare le sfide della vita. Nel terzo giorno del suo pellegrinaggio penitenziale Papa Francesco in due distinti momenti liturgici ci invita a riflettere su quanto sia importante, vitale, un sano rapporto con il proprio passato, la propria storia.
Nel primo momento, la messa celebrata di mattina presso il Commonwealth Stadium di Edmonton per la festa dei santi Gioacchino e Anna, i nonni di Gesù, il Papa ha parlato dei nonni ricordandoci due aspetti: il primo è che «siamo figli di una storia da custodire. Non siamo individui isolati, non siamo isole, nessuno viene al mondo slegato dagli altri. Le nostre radici, l’amore che ci ha atteso e che abbiamo ricevuto venendo al mondo, gli ambienti familiari in cui siamo cresciuti, fanno parte di una storia unica, che ci ha preceduti e generati. Non l’abbiamo scelta, ma ricevuta in dono; ed è un dono che siamo chiamati a custodire». Il secondo è che «oltre che figli di una storia da custodire siamo artigiani di una storia da costruire. […] I nostri nonni e i nostri anziani hanno desiderato vedere un mondo più giusto, più fraterno e più solidale e hanno lottato per darci un futuro. Ora, tocca a noi non deluderli. Sostenuti da loro, che sono le nostre radici, tocca a noi portare frutto. Siamo noi i rami che devono fiorire e immettere semi nuovi nella storia». Il tema è quello delle radici, l’immagine è quella dell’albero.
Lunedì, nella chiesa del Sacro Cuore di Edmonton, davanti all’altare costruito sopra un grande tronco d’albero, il Papa aveva già usato questa immagine parlando di riconciliazione e di Gesù che «ci riconcilia fra di noi sulla croce, su quell’albero di vita, come amavano chiamarlo gli antichi cristiani. Voi, cari fratelli e sorelle indigeni, avete molto da insegnare sul significato vitale dell’albero che, congiunto alla terra dalle radici, dà ossigeno attraverso le foglie e ci nutre con i suoi frutti. Ed è bello vedere la simbologia dell’albero rappresentata nella fisionomia di questa chiesa, dove un tronco congiunge al terreno un altare sul quale Gesù ci riconcilia nell’Eucaristia, “atto di amore cosmico” che “unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato” (Lett. enc. Laudato si’, 236) […] è Lui che sulla croce riconcilia, rimette insieme ciò che sembrava impensabile e imperdonabile, abbraccia tutti e tutto».
Anche nei discorsi del terzo giorno, apparentemente su altri argomenti, torna il tema centrale di questo viaggio-pellegrinaggio penitenziale. Parlando dei nonni il Papa osserva che «essi ci hanno trasmesso qualcosa che dentro di noi non potrà mai cancellarsi e, allo stesso tempo, ci hanno permesso di essere persone uniche, originali e libere. Così, proprio dai nonni abbiamo appreso che l’amore non è mai una costrizione, non priva mai l’altro della sua libertà interiore». Sta parlando a popolazioni ferite proprio perché hanno subito un processo di cancellazione della propria identità, da qui la lezione che Francesco sottolinea: «Cerchiamo di imparare questo come singoli e come Chiesa: mai opprimere la coscienza dell’altro, mai incatenare la libertà di chi ci sta di fronte».
Queste costrizioni e oppressioni sono avvenute proprio nel luogo in cui mai dovrebbero verificarsi, la scuola. Nell’incontro di lunedì nella chiesa del Sacro Cuore il Papa aveva ricordato che «l’educazione deve partire sempre dal rispetto e dalla promozione dei talenti che già ci sono nelle persone. Non è e non può mai essere qualcosa di preconfezionato da imporre, perché educare è l’avventura di esplorare e scoprire insieme il mistero della vita». La scuola è proprio il luogo dove passato e futuro s’incontrano. E devono stare sempre insieme, non si possono condurre le giovani generazioni verso il futuro sradicando e cancellando il passato. È il dramma avvenuto nelle scuole residenziali in Canada. Un corto circuito tragico e insensato. È come fare a meno dei nonni, anzi “rimuoverli” nel momento in cui si comincia a crescere. Invece il Papa ci mostra il valore di “fonte”, sorgente inesauribile dell’affetto che scaturisce dai nonni da cui proveniamo: «È a questa fonte che troviamo consolazione nei momenti di sconforto, luce nel discernimento, coraggio per affrontare le sfide della vita». È il futuro a pro-vocare il passato, a farlo riemergere come risorsa fondamentale, se si ha la forza, umile, di rivolgersi a chi ci ha preceduto. La “scuola” dei nonni non può fallire, per questo, quando il futuro ci si presenta incalzante e inquietante, bisogna «tornare sempre a quella scuola, dove abbiamo appreso e vissuto l’amore. Significa, di fronte alle scelte da prendere oggi, domandarci che cosa farebbero al nostro posto gli anziani più saggi che abbiamo conosciuto, che cosa ci consigliano o ci consiglierebbero i nostri nonni e bisnonni».
Anche nel secondo incontro di martedì, presso il Lake Ste. Anne il Papa ha parlato di radici e di fonti: «Siamo ora qui, in silenzio, contemplando le acque di questo lago. Esso ci aiuta a tornare anche alle fonti della fede. Ci permette infatti di peregrinare idealmente fino ai luoghi santi: di immaginare Gesù, che svolse gran parte del suo ministero proprio sulle rive di un lago, il Lago di Galilea». Il pellegrinaggio qui diventa un viaggio dell’immaginazione. «Possiamo dunque immaginare quel lago, chiamato mare di Galilea, come un condensato di differenze: sulle sue rive si incontravano pescatori e pubblicani, centurioni e schiavi, farisei e poveri, uomini e donne delle più variegate provenienze ed estrazioni sociali. Lì, proprio lì, Gesù predicò il Regno di Dio: non a gente religiosa selezionata, ma a popolazioni diverse che accorrevano da più parti come oggi, a tutti e in un teatro naturale come questo. Dio elesse quel contesto poliedrico ed eterogeneo per annunciare al mondo qualcosa di rivoluzionario […] Così proprio quel lago, “meticciato di diversità”, divenne la sede di un inaudito annuncio di fraternità; di una rivoluzione senza morti e feriti, quella dell’amore. E qui, sulle rive di questo lago, il suono dei tamburi che attraversa i secoli e unisce genti diverse, ci riporta ad allora. Ci ricorda che la fraternità è vera se unisce i distanti, che il messaggio di unità che il Cielo invia in terra non teme le differenze e ci invita alla comunione, a ripartire insieme, perché tutti siamo pellegrini in cammino».
Tutti in cammino ma come pellegrini, non padroni del mondo ma persone che lo hanno ricevuto in dono e che lo attraversano, lietamente, mossi dalla gratitudine per il dono ricevuto. E tutti insieme: in “orizzontale” noi contemporanei, diversi eppure fratelli e sorelle, e, in “verticale”, con chi ci ha preceduto e chi verrà dopo di noi, pronti a ricevere da noi quel bagaglio di saggezza che a suo tempo abbiamo ricevuto alla “scuola”, sicura e affettuosa, dei nostri antenati.