Parolin: il Papa in Canada per abbracciare le popolazioni indigene

Vatican News

Massimiliano Menichetti

Saranno sei giorni intensi quelli che Francesco si prepara a vivere in Canada. Ad attenderlo un intero Paese, in parte ferito per gli orrori del passato, in cui i popoli indigeni hanno subito violenze e privazioni, a causa della mentalità coloniale che espresse politiche e pratiche di assimilazione culturale volte ad annientare l’identità degli aborigeni. Il Papa stesso ha ribadito che questa visita sarà un “pellegrinaggio penitenziale” per “contribuire al cammino di riconciliazione e guarigione già intrapreso”. Francesco toccherà nuovamente, dopo gli incontri avuti in Vaticano nei mesi scorsi, il dolore e la sofferenza delle comunità originarie. Chiederà perdono, pregherà e porterà la luce della speranza e della riconciliazione, che non può prescindere dalla ricerca della verità, dalla purificazione della memoria, dalla vicinanza alle vittime di abusi e soprusi. Al centro di questo 37.mo viaggio apostolico di Francesco anche l’incontro con la Chiesa canadese che vive la sfida, come in molti Paesi, di un contesto fortemente secolarizzato. Il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, evidenzia che il Papa vuole manifestare la sua vicinanza in modo concreto alle popolazioni sofferenti, “pregare con loro e farsi pellegrino tra di loro”.

Ascolta l’intervista al cardinale Pietro Parolin

Eminenza, Francesco si prepara a partire per il Canada, un viaggio molto desiderato?

Sì, certamente un viaggio molto desiderato, al centro del quale ci sarà l’abbraccio con le popolazioni indigene e con la Chiesa locale. Come il Santo Padre ha ricordato domenica scorsa, dicendo: “Verrò tra voi soprattutto nel nome di Gesù per incontrare e abbracciare le popolazioni indigene”. Il Papa ha manifestato in più occasioni una grande attenzione nei riguardi delle popolazioni autoctone: penso a diverse visite nei suoi viaggi, a numerosi incontri avuti in Vaticano e anche all’Esortazione apostolica Querida Amazonia. Nel caso delle popolazioni indigene canadesi, si tratta – ha specificato sempre domenica – di un “pellegrinaggio penitenziale”, che fa seguito agli incontri avuti con alcuni loro rappresentanti a Roma tra marzo e aprile. Dopo l’ascolto e un primo incontro c’è ora dunque l’opportunità di avere una condivisione più ampia: il Papa viaggerà per diversi giorni in luoghi tra loro anche molto distanti, con il desiderio di visitare le comunità indigene lì dove vivono. È certamente impossibile rispondere a tutti gli inviti e visitare tutti i luoghi, ma il Santo Padre è sicuramente mosso dalla volontà di manifestare una concreta vicinanza. Ecco, direi che vicinanza è, anche in questo caso, la parola chiave: il Papa non intende solo dire delle parole, ma soprattutto farsi vicino, manifestare la sua vicinanza in modo concreto. Perciò si mette in viaggio, per toccare con le sue mani le sofferenze di quelle popolazioni, pregare con loro e farsi pellegrino tra di loro.

Ad aprile il Santo Padre ha chiesto perdono per la partecipazione di alcuni cattolici nel male arrecato alle popolazioni indigene, in particolare per quelli che hanno avuto responsabilità all’interno delle scuole residenziali tra la fine dell’800 e gli ultimi decenni del ‘900. L’incontro, il perdono e la riconciliazione guideranno dunque questi sei giorni canadesi?

Come tutti ricordiamo nell’incontro del 1° aprile il Papa ha espresso vergogna e indignazione per le azioni di non pochi cristiani che, anziché dare testimonianza al Vangelo, si sono adeguati alla mentalità coloniale e alle passate politiche governative di assimilazione culturale, che danneggiarono gravemente le comunità indigene. In particolare, è stato doloroso il ruolo di alcuni cattolici nel cosiddetto sistema delle scuole residenziali, che ha comportato l’allontanamento di molti bambini indigeni dalle loro famiglie. Questo contesto storico configura e caratterizza la dimensione penitenziale, come ricordavo pima, di questo viaggio, nel quale sicuramente risalteranno i temi della guarigione delle ferite e della riconciliazione. Ma non solo questo perché gli incontri, sulla scia di quelli calorosi che hanno avuto luogo a Roma, saranno anche nel segno della fraternità e della speranza. E saranno anche nel segno della riflessione sul ruolo che le popolazioni indigene rivestono pure oggi. Può essere infatti proficuo per tutti riscoprire molti loro valori e insegnamenti. Penso, ad esempio, all’attenzione per la famiglia e per la comunità, alla cura per il creato, all’importanza attribuita alla spiritualità, al forte legame tra le generazioni, al rispetto per gli anziani… A questo proposito il Papa tiene particolarmente a celebrare la festa dei Santi Gioacchino e Anna, nonni di Gesù, proprio nel contesto di questo viaggio.

Il Successore di Pietro confermerà nella fede la Chiesa cattolica, parteciperà, per suo espresso desiderio, al pellegrinaggio al lago di Sant’Anna. Potrebbe chiedere un nuovo slancio evangelizzatore in un Paese dalle grandi risorse, non solo naturali?

In ogni suo viaggio apostolico, e più in generale nel suo ministero, il Santo Padre non solo conferma la comunità cristiana, ma desidera anche essere, manifestarsi, fratello nella fede insieme al Popolo di Dio, facendosi pellegrino presso i luoghi che visita e le tradizioni religiose che incontra. Così, ha fortemente voluto vivere un momento liturgico presso il lago di Sant’Anna, che dagli autoctoni viene chiamato il “lago di Dio”. Lì, da oltre cento anni, si svolge un pellegrinaggio in onore di Sant’Anna, la nonna di Gesù, e in quelle acque si bagnano molti ammalati e persone ferite nel corpo o nello spirito. In quel luogo particolare e nel contesto di una cornice naturale molto suggestiva, sarà bello, a proposito dell’evangelizzazione, tornare alle sorgenti della fede, pensiamo a Gesù che disseta e guarisce riversando nei cuori l’acqua dello Spirito, l’acqua che zampilla per la vita eterna. Al tempo stesso, come nelle altre tappe di altri viaggi, il Papa non mancherà di richiamare all’urgenza dell’evangelizzazione in un contesto fortemente secolarizzato, facendo leva proprio sulle sfide che il secolarismo pone alle nostre priorità pastorali, ai nostri linguaggi e, in generale, al nostro modo di essere Chiesa e di testimoniare oggi la fede.

Il motto della visita è “Camminare insieme”. Cosa si aspetta il Santo Padre da questo viaggio?

Questo motto oltre a indicare il percorso che è stato intrapreso con le comunità indigene canadesi, evoca la parola “sinodo”. Come il Papa spesso ha ribadito, il sinodo non è un evento occasionale, ma è piuttosto uno stile ecclesiale che tutti siamo chiamati ad assumere nello spirito del Vangelo e delle prime comunità cristiane, uno stile che si concretizza nell’ascolto reciproco, nel dialogo, nel discernimento pastorale comunitario e nella fraternità. Immagino che sarà proprio in questo spirito che il Santo Padre non mancherà di annunciare, ancora una volta, la parola profetica del Vangelo che invita a tessere fraternità, a costruire pace, a superare le divisioni, le quali spesso sono frutto non soltanto di egoismi personali, ma anche di mentalità e visioni distorte. In tale senso richiamando l’importanza della carità vicendevole, il Santo Padre senz’altro auspica di poter incoraggiare in modo significativo il cammino già avviato dalla Chiesa e dalla società canadese sulla strada della riconciliazione e della guarigione. Un cammino che, partendo da una “purificazione della memoria”, ravvivi il desiderio di un cammino fraterno nel quale tutti – Chiesa e società civile – siano concordemente coinvolti. Come in molti ambiti, questo “camminare insieme” è essenziale, oggi più che mai: solo in tal modo, infatti, è possibile costruire e aprirsi ad un futuro di speranza.