Salvatore Cernuzio – Inviato a Juba
Preti, suore e religiosi attendevano ieri pomeriggio in parrocchia davanti a ventole e ventilatori, ma il cardinale Parolin si è fatto aspettare. Fuori dalla parrocchia di St. Joseph, a nord di Juba, una donna ha fermato il segretario di Stato. Gli ha indicato un bambino in braccio alla mamma, Nelson, sussurrando qualcosa vicino all’orecchio. Poche parole e il cardinale ha chiesto rabbuiato: “Non si può fare niente?”. Nelson è malato. Ha un anno e 7 mesi e una malattia degenerativa che, se non curata in questa fase della vita, rischia di farlo diventare cieco in tempi brevi.
I saluti delle donne
Ieri si ciucciava il pollice e fissava un punto nel vuoto. Indossava Crocs rosa, gliele hanno procurate le suore della parrocchia. Sono della sua misura, questo basta. Parolin gli ha accarezzato la testa ma lui si girava e si rifugiava nel petto della mamma, Bakhita, come la santa tanto venerata in questi luoghi. Di cognome fa Mansur, ha 25 anni e ieri non ha mai alzato gli occhi per guardare il cardinale, contrariamente ad altre donne che invece allungavano le braccia per avere un saluto. Un’anziana, cieca, si è buttata perfino in ginocchio e ha baciato le mani del porporato: “His Holiness, my eyes…”, ha detto indicando gli occhi coperti da una patina azzurra.
Storia di Bakhita
Bakhita, invece, è rimasta muta tutta il tempo. Restia ad ogni contatto, con le labbra carnose serrate e gli occhi che sembrava stessero per scoppiare in un pianto da un momento all’altro. Amer, una ragazza accanto, a capo di un movimento femminile locale che si batte per i diritti delle donne, la incitava a parlare. Lei, qausi catatonica, ha sillabato un impercettibile “Thank you”. Nient’altro. Non ha voluto rispondere neppure alle richieste di Vatican News che le chiedeva di spiegare meglio il problema di Nelson e se ci fosse mai qualcosa da fare per aiutarlo. “Pray”, ha risposto, girandosi dall’altra parte. È intervenuta di nuovo Amer per spiegare che al bambino servirebbero soldi per trasferirsi a Karthum dalla zia dove ci sono cliniche specializzate. I pochi risparmi Bakhita li ha già spesi tutti per andare da Wau e Juba. Da sola, il marito è un soldato. Le avevano detto che qui avrebbero curato il figlio, invece non hanno potuto far nulla. Ora vorrebbe solo andare a Karthum, ma non ha voluto lasciare il numero né altri contatti.
La vicinanza del Papa
“Pray. Prega”, ha detto. Il cardinale le ha fatto un segno della croce sopra la testa ornata da treccine e le ha assicurato vicinanza spirituale. Non solo la sua ma anche la vicinanza del Papa di cui è stato messaggero in questi giorni di viaggio in Africa, come ha ripetuto in tutti gli eventi, incluso quello in questa parrocchia dalla forma trapezoide adornata da tende verdi, gialle e bianche. Qui Parolin ha tenuto l’incontro con il clero locale. La zona in cui sorge, secondo gli abitanti di Juba, è da definirsi “chic”. Per arrivarci bisogna attraversare strade impraticabili anche a piedi, polverose, dissestate, piene di dossi e buche in cui viene bruciata la spazzatura. Nell’odore di marcio e sopra i resti di plastica carbonizzata i bambini giocano in ciabatte e a piedi nudi o rimangono seduti con le madri a guardare le macchine che passano. Vengono controllati a vista da jeep con militari in mimetica, armati di fucili.
Il clero di Juba
Pure ieri facevano avanti e indietro davanti alla parrocchia, mentre Parolin parlava con preti, suore e religiosi. Un clero impegnato per i poveri, come Bakhita e altre ragazze come lei. Qualcuno ha raccontato infatti al segretario di Stato la propria storia di servizio, per la gente o per l’educazione. Tante e dettagliate le testimonianze; il cardinale le ha ascoltate tutte, allungando ogni tanto l’occhio al sagrato dove, su alcune panche, fino alla fine è rimasto Nelson.
L’azione della Chiesa
“I bambini sono la speranza per il futuro”, ha detto il porporato nell’intervento, ma sono anche una “grande sfida”. Mentre in Europa si registra l’inverno demografico, in Africa continuano a nascere e crescere piccole vite; per loro, però, non ci sono risorse sufficienti. Un paradosso in una terra fertile e ricca di risorse come il Sud Sudan che potrebbe tranquillamente vivere di export. “La Chiesa fa qualcosa, come provvedere a cibo e medicine”, ha sottolineato Parolin, ricordando anche l’impegno della Segreteria di Stato. Tutto rimane però sempre insufficiente.
Rischio fame
Serve un impegno della comunità internazionale. Un impegno anche urgente visto che proprio in Sud Sudan nei prossimi mesi quasi un terzo della popolazione in grave insicurezza alimentare sarà lasciato senza assistenza umanitaria dal World Food Programme a causa della grave carenza di fondi. Circa 1,7 milioni di persone rischiano di morire per la fame. “Serve un impegno per la solidarietà per lenire le sofferenze degli altri”, ha affermato il cardinale Parolin.
Voce profetica
Da parte sua la Chiesa, oltre all’aiuto materiale, ha da assumersi anche l’impegno dell’assistenza spirituale per la gente. “Deve essere voce profetica”, ha incitato il segretario di Stato, rassicurando i consacrati sul fatto che “la Chiesa del Sud Sudan non è sola, è in comunione con il Papa e questo è grande motivo di ispirazione, consolazione, incoraggiamento per voi”. Una Chiesa, peraltro, che nonostante le difficoltà che affronta deve ritenersi “fortunata” perché, ha evidenziato il porporato, “le persone non hanno perso il senso religioso della vita”.
Dinanzi proprio a questa gente, “la Chiesa deve essere modello ed esempio di comunione”, ha chiosato il cardinale. “È possibile cooperare andando oltre le differenze, la discomunione diventi collaborazione. Dimostrate la tenerezza di Dio, non siate una social agency ma preti della tenerezza di Dio”.