Alessandro Gisotti
Ci sono avvenimenti di questo Pontificato, scelte compiute da Francesco che, con il passare degli anni, assumono una forza sempre maggiore e una dimensione che, in certi casi, non è esagerato definire profetica. L’8 luglio di nove anni fa, pochi mesi dopo l’inizio del suo ministero petrino, compiva il suo primo viaggio apostolico, recandosi a Lampedusa. Un viaggio che è stato anche un messaggio perché in quelle poche ore passate nell’isola simbolo del dramma dei migranti nel Mediterraneo, Francesco testimoniò con gesti e segni cosa intendesse per “Chiesa in uscita”. E mostrò perché bisogna partire, concretamente e non metaforicamente, dalle “periferie esistenziali” se vogliamo costruire un mondo più giusto e solidale, un’umanità riconciliata con sé stessa.
Di quella visita portiamo ancora il ricordo indelebile di alcune immagini: il Papa che celebra la Messa su un altare realizzato con i barconi dei migranti, la corona di fiori lanciata in mare da una barca, l’abbraccio con i ragazzi che sono sopravvissuti a quei viaggi chiamati della speranza, ma che tante volte si trasformano purtroppo in viaggi della disperazione. Il cuore della visita era dunque, chiaramente, la condizione dei migranti. Francesco, tuttavia, in quell’occasione, pronunciò un’omelia che allargava lo sguardo muovendo da quell’isola e da ciò che significava in quel momento. Un’omelia che oggi fa effetto ri-leggere (e ancor più ri-ascoltare) alla luce di quanto sta accadendo in questi mesi in Ucraina sotto attacco russo così come in ogni angolo più o meno remoto della Terra dove le guerre scatenano – liberano dalle catene – quello “spirito cainista di uccidere, invece dello spirito di pace”.
In quella omelia, il Papa offrì la sua personale meditazione sul dialogo che il Signore ha con Caino subito dopo l’uccisione del fratello Abele. Dio pone la domanda che oggi e sempre deve risuonare come un monito per ognuno di noi: “Caino, dov’è tuo fratello?”. Per ben sei volte Francesco ripete quell’interrogativo lancinante: “Dov’è tuo fratello?”. Tuo fratello migrante, tuo fratello prostrato dalla povertà, tuo fratello schiacciato dalla guerra. Negli anni successivi a quel viaggio, il Pontefice è tornato numerose volte sull’antinomia decisiva fratellanza-fratricidio. Il 13 febbraio del 2017, in una Messa a Casa Santa Marta, parlando ancora una volta di Caino e Abele, pronunciò parole fortissime di condanna per chi decide che “è più importante un pezzo di terra che il legame della fratellanza”. Francesco metteva in guardia quei potenti della terra che si permettono di dire: “A me interessa questo pezzo di terra, questo altro, se la bomba cade e uccide duecento bambini, non è colpa mia: è colpa della bomba”.
Il Papa della Fratelli tutti, della Dichiarazione di Abu Dhabi sulla fratellanza, il vescovo di Roma che ha preso il nome di frate Francesco, avverte che proprio questa lotta tra fratellanza e fratricidio è la questione delle questioni del nostro tempo. Con il passare degli anni vede tragicamente definirsi sempre più il profilo lugubre di quella che definirà “Terza Guerra Mondiale a pezzi”. E che cosa non è questa se non anche un “Fratricidio Mondiale a pezzi”, perché ogni guerra porta in sé proprio quella radice malvagia che spinge Caino a uccidere il fratello e poi a rispondere sprezzante a Dio che gliene chiede conto: “Sono forse io il custode di mio fratello?”.
Nella Statio Orbis del 27 marzo 2020 nella piazza San Pietro vuota, il Papa affermava che, con la tempesta della pandemia, “è rimasta scoperta, ancora una volta, quella benedetta appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”. Fa impressione accostare queste parole a quelle, amare e angosciate, che pronuncerà all’Urbi et Orbi della Pasqua di quest’anno. “Era il momento di uscire insieme dal tunnel mano nella mano, – sottolinea riferendosi al Covid-19 – mettendo insieme le forze e le risorse. E invece stiamo dimostrando che in noi non c’è ancora lo spirito di Gesù, c’è ancora lo spirito di Caino, che guarda Abele non come un fratello, ma come un rivale, e pensa a come eliminarlo”.
Francesco ha più volte sostenuto che da una crisi si esce migliori o peggiori, mai uguali. Oggi, l’umanità si sta confrontando con una delle crisi più profonde e a più livelli che abbia dovuto affrontare. Per uscirne migliori bisogna dunque invertire la rotta, ci esorta il Papa, allontanandoci dalla potente calamita di Caino e orientando la bussola della nostra vita in modo deciso verso la stella polare della fratellanza.