Antonella Palermo – Città del Vaticano
Francesco all’Angelus prende spunto dal brano dell’evangelista Luca della Liturgia domenicale, già ampiamente commentata nell’omelia della Messa celebrata nella basilica di San Pietro con la comunità congolese romana, per sottolineare lo stile di Dio nella missione evangelizzatrice.
Gesù non invia dei solitari ma discepoli che vanno due a due
Il Papa previene le perplessità che qualcuno potrebbe nutrire riflettendo sulle ragioni dell’invio dei discepoli nei villaggi ad accogliere Gesù. Essi vengono mandati ‘due a due’. Perché? A pensarci – riconosce il Papa – essere in compagnia è fonte di potenziali litigi, rallentamenti, svantaggi. “Quando invece si è da soli, sembra che il cammino diventi più spedito e senza intoppi. Gesù però non la pensa così”.
Le istruzioni che Egli dà loro sono non tanto su che cosa devono dire, quanto su come devono essere, cioè non sul libretto, ma sulla testimonianza da dare più che sulle parole da dire. Infatti li definisce operai: sono cioè chiamati a operare, a evangelizzare mediante il loro comportamento.
La missione evangelica avanza se c’è fraternità
Il pontefice lo aveva già detto nella Messa di questa mattina, “mai senza fratello, perché non c’è missione senza comunione” e torna a precisarlo anche all’Angelus: i discepoli non vanno considerati “battitori liberi”, predicatori che non sanno cedere la parola a un altro. La priorità, secondo lo stile di Dio, è “il loro saper stare insieme, il rispettarsi reciprocamente, il non voler dimostrare di essere più capace dell’altro, il concorde riferimento all’unico Maestro”. Ed ecco, allora, il cuore del messaggio per l’oggi:
Si possono elaborare piani pastorali perfetti, mettere in atto progetti ben fatti, organizzarsi nei minimi dettagli; si possono convocare folle e avere tanti mezzi; ma se non c’è disponibilità alla fraternità, la missione evangelica non avanza.
Come portiamo agli altri la buona notizia del Vangelo?
Qui racconta la storia di un missionario in Africa il quale, dopo essersi separato da un suo confratello, finì col diventare una sorta di imprenditore, anche bravo, alle prese con attività edilizie. Aveva perso di vista la cosa più importante che riscoprì dopo essersi ricongiunto con lui. Il punto su cui il Papa vuole che ci concentriamo è se siamo capaci realmente di prendere decisioni insieme ad altri, rispettando il punto di vista altrui, o se siamo invece autocentrati.
La missione evangelizzatrice non si basa sull’attivismo personale, cioè sul “fare”, ma sulla testimonianza di amore fraterno, anche attraverso le difficoltà che il vivere insieme comporta. Allora possiamo chiederci: come portiamo agli altri la buona notizia del Vangelo? Lo facciamo con spirito e stile fraterno, oppure alla maniera del mondo, con protagonismo, competitività ed efficientismo?
L’appello per la pace in Ucraina e il ricordo dei due nuovi beati
Dopo la preghiera mariana, il Pontefice ha ricordato Pedro Ortiz de Zárate e Giovanni Antonio Solinas, beatificati in Argentina, due missionari barbaramente uccisi dagli indios il 27 ottobre 1683. Il loro esempio – ha detto il Papa – ci aiuti a portare il Vangelo nel mondo senza compromessi. E poi un nuovo appello per la pace in Ucraina, in particolare Francesco si è rivolto ai leader politici internazionali: “La crisi ucraina può diventare una sfida per statisti saggi”, ha scandito.