di Deborah Castellano Lubov
Ci sono molti sacerdoti eroici in tutto il mondo, dice il futuro cardinale Lazarus You Heung-Sik, prefetto del Dicastero per il Clero: “Ci sono tante belle storie sacerdotali da raccontare, non solo quelle brutte e spiacevoli, che purtroppo non mancano”, dichiara in occasione della sua nomina cardinalizia in un’ampia intervista rilasciata a Vatican News, nella quale parla di sacerdozio, vocazioni, formazione nei seminari e della Chiesa in Asia. Per il futuro cardinale coreano, il clericalismo nella Chiesa si combatte con sacerdoti “padri” e anche “figli e fratelli” delle loro comunità. Se la Chiesa, afferma, formerà sacerdoti maturi umanamente, spiritualmente e intellettualmente, “allora si sentirà finalmente parlare meno di abusi e di altri mali ben noti.”
Monsignor Lazarus, cosa stava facendo quando ha saputo che il Papa l’aveva nominata cardinale? Qual è stata la sua reazione?
Mi trovavo a Zagabria per un impegno pastorale e quella domenica ero in compagnia di un amico, in visita a un santuario mariano, quando a un certo punto è squillato il cellulare. Dato che quel santuario si trova in un luogo molto alto, la linea non era delle migliori. Al telefono era un amico che mi diceva: “Il Papa ti ha nominato…”. “Chi ha nominato?”, rispondevo io. In poche parole è stato lui a dirmi che il mio nome era nella lista di quelli dei nuovi cardinali. Ricordo che erano passati circa 20 minuti dalla recita del Regina Coeli a San Pietro. Allora, ho spento il cellulare, abbiamo pregato davanti al Santissimo Sacramento, abbiamo recitato il Santo Rosario e ho chiesto alla Madonna il suo aiuto per rispondere bene a questa nuova chiamata a servizio della Chiesa, del Papa e dei sacerdoti. Poi ho riacceso il telefono e sono stato bombardato di telefonate e di messaggi e mi sono detto tra me e me: “Io non ne sono degno, ma se il Santo Padre mi ha nominato allora essere cardinale vorrà dire per me amare ancora di più la Chiesa, servire meglio il Papa, essere uno strumento della grazia di Dio per tutti i sacerdoti, i diaconi e i seminaristi del mondo”.
I cardinali sono i consiglieri più stretti del Papa. In che modo ritiene che eserciterà questo ruolo?
Io non ho mai pensato di consigliare il Santo Padre. Ho trovato invece sempre molto bella la comunione col Papa. Da parte mia, anziché consigliare, cerco piuttosto di ascoltare il Santo Padre per comprendere bene che cosa si aspetta dal mio servizio, a partire da alcune domande fondamentali: di quali sacerdoti ha bisogno la Chiesa oggi? Come sceglierli? Come formarli? Vedo al riguardo una risposta molto chiara, fin da quando, all’inizio del Pontificato, il Papa ci donò la esortazione apostolica Evangelii Gaudium. L’importante è vivere la Parola di Dio. Noi in genere diciamo che chi vive la Parola è cristiano e chi non la vive non può dirsi tale. Vivere insieme la Parola come il Santo Padre auspica nell’enciclica Fratelli tutti, essere cioè fratelli e sorelle in un clima evangelico di amore reciproco. Oggi leggiamo nella costituzione apostolica Praedicate Evangelium che l’evangelizzazione si fa anzitutto con la testimonianza: la testimonianza della carità, dell’amore fraterno. I sacerdoti perciò dovranno essere i primi a mettere in pratica lo spirito di Praedicate Evangelium, vivendo, con le comunità loro affidate, la realtà di una Chiesa sinodale.
La riforma della Curia descritta nella Praedicate Evangelium è in vigore proprio da domenica 5 giugno, Solennità di Pentecoste. Quale effetto ha sulla vostra realtà quotidiana?
Papa Francesco, non appena eletto, istituì il “Consiglio dei Cardinali”, convocandoli periodicamente, l’ultima riunione mi pare che sia stata la quarantunesima. Ma il lavoro di quel Consiglio ha riguardato in qualche modo tutta la Chiesa, in vista proprio della nuova costituzione apostolica Praedicate Evangelium, che non è appunto opera di qualcuno soltanto. Molti infatti hanno studiato, pregato, dialogato, cercando di trovare la “via” per la Chiesa in questo nostro tempo. Personalmente sento che il mio compito è vivere bene lo spirito della Praedicate Evangelium, così che la Chiesa diventi, grazie all’impegno di ciascuno, sempre più quella che Dio vuole e appaia anche sempre più credibile agli occhi del mondo. E una Chiesa sinodale è la testimonianza del suo volto più bello.
Lei è prefetto del Dicastero per il Clero, che si occupa dei sacerdoti e dei diaconi. Papa Francesco condanna spesso il clericalismo. Secondo lei, quali sono in concreto i comportamenti e le abitudini che il Papa vuole combattere? E come si combattono?
Il sacerdote presiede la comunità, celebra per essa e con essa la Santissima Eucaristia; egli è il padre e la guida della comunità. Gesù ha istituito il sacerdozio anche per il servizio alla comunità; perciò senza comunità non può esistere il sacerdozio ministeriale. Ma il sacerdote è anche figlio della comunità, compagno della comunità, nel senso che cammina assieme ad essa, mangiando lo stesso Pane. Quando dunque si assolutizza il ruolo del sacerdote-padre, da lì può venire il clericalismo. Quando invece un bravo sacerdote è sì padre, ma si sente nel cuore anche figlio e fratello, allora egli amerà la comunità con tutto sé stesso, si dedicherà a essa a tempo pieno, e non perderà tempo a inseguire aspirazioni e ambizioni personali. L’importante è vivere questa vita trinitaria insieme alla comunità.
Lei è preoccupato per il calo delle vocazioni al sacerdozio in molte parti del mondo?
Sì, ne sono molto preoccupato. In quasi tutti i Paesi le vocazioni stanno diminuendo. Eppure molti giovani desiderano imitare i buoni esempi, che non mancano. Si tratta dunque di offrire loro buoni esempi, cioè testimonianze credibili, di chi vive il Vangelo integralmente e sa mostrare così che Dio è amore e che stare con lui rappresenta il nostro unico bene, l’unica vera felicità del cuore umano.
Da questo punto di vista, come può essere di aiuto l’esperienza formativa del seminario?
Il Seminario non è una fabbrica dove si producono i sacerdoti, ma piuttosto un luogo dove vivono i discepoli di Gesù e là diventano pian piano apostoli di lui. Perciò nel Seminario bisogna anzitutto vivere la Parola, tanto a livello personale come nella vita comunitaria. È importante infatti che si viva bene la vita comunitaria anche nei seminari con piccoli numeri. Se il celibato significa anche rinunciare a una famiglia umana per formarne però una più grande, questa consapevolezza deve nascere e svilupparsi nel cuore dei candidati al sacerdozio già nei primi anni della formazione.
Lei proviene dalla Corea del Sud. Nel suo continente, l’Asia, molte Chiese stanno assistendo a una fioritura di vocazioni al sacerdozio. Secondo lei cosa potrebbero insegnare a quelle in cui la crisi delle vocazioni si fa più sentire?
La storia cristiana della Corea è una storia di martiri e molti di essi hanno ricevuto in dono la fede attraverso la testimonianza di fedeli laici. Poi, in tempi più recenti, è vero che le vocazioni al sacerdozio sono aumentate, ma attualmente sono in calo anche là, sebbene la Chiesa rimanga molto impegnata nella promozione e nell’accompagnamento delle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata, sia maschile che femminile. Personalmente vedo le vocazioni in Corea come un dono che Dio ci ha dato e continua a darci tramite i nostri martiri. Dobbiamo perciò tornare all’esempio dei martiri e questo penso che possa valere anche per gli altri Paesi.
Nella sua veste di prefetto del Dicastero per il Clero, quali sono le sfide che lei vede più urgenti oggi per i sacerdoti e per il loro ministero? E come affrontarle?
Il sacerdozio è un grande dono di Dio. Spesso i media bombardano chi ascolta con notizie non sempre belle sui sacerdoti… Eppure io vedo che sono tanti i sacerdoti eroi, buoni, bravi: parroci, missionari a servizio del popolo di Dio, soprattutto degli emarginati dalla società Allora è importante e doveroso incoraggiare i sacerdoti, perché siano gioiosi: mai col muso lungo ma col sorriso sulle labbra, capaci di esprimere anche nel volto la bellezza del dono ricevuto. Ci sono tante belle storie sacerdotali da raccontare, non solo quelle brutte e spiacevoli, che purtroppo non mancano.
Papa Francesco ha compiuto molti sforzi per risollevare la reputazione della Chiesa come istituzione credibile e degna di fiducia, facendo di tutto per la salvaguardia e la protezione dei minori dagli abusi. Quale ruolo ha in questi sforzi il suo Dicastero?
Provo enorme dolore nel sentire di atti compiuti da sacerdoti a danno di minori come la pedofilia e gli abusi in genere. Ritengo che se noi riusciamo a formare sacerdoti maturi umanamente, spiritualmente e intellettualmente, questi non useranno la sessualità per il puro piacere, non abuseranno dei minori, ma al contrario li rispetteranno e li aiuteranno, come del resto ha fatto e fa la stragrande maggioranza dei sacerdoti. La questione è dunque formare sacerdoti solidi e maturi, e allora – ne sono certo – si sentirà finalmente parlare meno di abusi e di altri mali ben noti.
Torniamo al boom di vocazioni al sacerdozio a cui stanno assistendo le Chiese in Asia e in Africa…
Ogni continente vive la sua propria situazione, ma è impossibile pensare a una Chiesa senza sacerdoti. Perciò tutto il Popolo di Dio deve invocare con la preghiera il dono di nuovi sacerdoti. Questa è la mia speranza. E sono sicuro che il Signore presto ci darà questa grazia e ci mostrerà la strada.