Incontro Famiglie: se sposi e consacrati camminano insieme, la Chiesa si rigenera

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

L’immagine del cammino di sposi e consacrati uniti nella costruzione della Chiesa – in Aula Paolo VI in Vaticano, nella prima mattinata di lavori del decimo Incontro Mondiale delle Famiglie – lo danno plasticamente, dalla Lettonia, Daina e Uldis Zurilo, sposati da 27 anni e con due figli, insieme a don Juris Jalinskis, l’assistente spirituale del movimento internazionale “Incontri per le coppie sposate” che Sana e Uldis guidano da otto anni. Insieme per fare in modo che il ruolo degli sposi nella Chiesa, come chiede don Juris, non si limiti “soltanto nel ‘dare una mano’ ai sacerdoti nel suo ministero”, ma sia quello di “veri protagonisti, capaci di portare frutti alla vita della Chiesa, secondo la loro vocazione e il loro carisma”.

Un respiro nuovo per tutta la comunità

Dal palco dell’Aula Nervi, i moderatori del primo panel, Emma Ciccarelli e Pier Marco Trulli, sposati da trent’anni, quattro figli, della Diocesi di Roma, impegnati nell’associazionismo e nella pastorale familiare, introducono le tre testimonianze del mattino assicurando che “quando c’è piena collaborazione tra sacerdoti e sposi, la Chiesa si rigenera, respira una brezza di pienezza e di benessere che contagia tutta la comunità”. Perché le famiglie, “innestate” nel mondo più del clero, “possono dare un respiro nuovo – spiega Pier Marco – anche a sacerdoti, a volte un po’ chiusi in parrocchia”.

Non lasciare sole le famiglie

Dopo i tre testimoni dalla Lettonia, Alexis e Gloriose Nsabimana, dal Burundi, sposati da 19 anni e con tre figli tra i 18 e i 14 anni, sono responsabili del Movimento “Famiglie Nuove” nell’area dell’Africa Orientale. Vivono la spiritualità dei focolarini e intervengono sul tema “Famiglie e pastori insieme in missione”. E la terza coppia a parlare è quella composta dai libanesi Jérome e Jeannette Daher, sposati da 16 anni e con tre figli: parlando di come “Fare comunità tra famiglie”, sottolineano i pericoli che corrono i nuclei lasciati soli, e insistono sulla necessità di creare comunità, reti di famiglie che si sostengono reciprocamente.

Così la Chiesa si fa Buon Samaritano per le famiglie

Anche così la Chiesa può essere quel Buon Samaritano per le famiglie del mondo, invocato da Papa Francesco nel Festival delle Famiglie di mercoledì pomeriggio. Ne sono convinti anche Emma e Pier Marco, che nella loro parrocchia romana hanno fondato proprio un gruppo di famiglie. Emma, cresciuta negli oratori salesiani, è salesiana cooperatrice. Consulente familiare, è vice presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari e membro dell’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia. Pier Marco è manager in un gruppo bancario italiano. Cresciuto nello scoutismo, ha fatto servizio come capo negli Scout d’Europa a livello locale e nazionale, coordinando la rivista per capi e rappresentando l’associazione presso la Consulta Nazionale delle Aggregazioni Laicali. Insieme, Emma e Pier Marco sostengono le attività dell’associazione Cerchi d’Onda. Li abbiamo incontrati al termine della mattinata.

Ascolta l’intervista ad Emma Ciccarelli e Pier Marco Trulli

Cosa volete sottolineare delle testimonianze che abbiamo ascoltato questa mattina in Aula?

(Pier Marco Trulli): Vorrei partire dalla prima testimonianza, che mi ha colpito proprio perché c’erano tre persone: una coppia di sposi e un sacerdote che sono i responsabili di un’associazione. Questa presenza anche fisica esprime bene anche il senso del nostro panel, vedere sposi e consacrati insieme per edificare la Chiesa. Quindi abbiamo avuto la possibilità di vedere plasticamente che si può lavorare insieme, se c’è anche rispetto e stima reciproca.

(Emma Ciccarelli): Aggiungerei anche che dà proprio l’immagine dell’unità della Chiesa. Lavorare insieme, laici e pastori insieme, in sintonia è anche un’immagine veramente di sinodalità e di cammino condiviso. Non è facile, perché spesso ci sono difficoltà, però veramente deve essere un traguardo per rendere più efficace anche il messaggio della Chiesa.

E questo lavorare insieme porta alla rigenerazione della Chiesa?

(Pier Marco): E’ un po’ la nostra sfida, quella di innovare le relazioni, perché questo nuovo modo di lavorare possa rendere i laici protagonisti. Se ne parla dal Concilio Vaticano II, ma di fatto poi su alcune cose e le parrocchie sono spesso “dominio privato” dei parroci. E  questo purtroppo a volte mortifica anche i carismi dei laici. Invece un approccio che sia rispettoso dei carismi di ciascuno dà fiducia ai laici per prendersi le responsabilità anche di guidare delle attività che non devono essere, come ci dice anche Papa Francesco, esclusivamente dentro il confine della parrocchia. In questo modo la Chiesa si rigenera, perché i carismi che ciascuno ha fanno in modo che lo Spirito suggerisca strade nuove, che Papa Francesco in questo momento ci chiede che siano sempre più di accompagnamento delle persone e delle famiglie. E questo può essere un modo per essere vicini a tutti.

(Emma): Questo cammino insieme si fa nell’ascolto reciproco, cioè la rigenerazione della Chiesa parte dal mettersi in ascolto, intanto gli uni degli altri, pastori dei laici e laici dei pastori. Nella consapevolezza che siamo insieme corresponsabili dell’evangelizzazione, della trasmissione della fede. Questo può amplificare anche gli effetti e l’efficacia della evangelizzazione e poi indica anche la strada per un laicato più maturo e consapevole del proprio ruolo nella Chiesa.

La coppia libanese Jerome e Jeanette Daher ha sottolineato il rischio che molte famiglie siano lasciate sole, anche con il Covid, e poi la crisi economica nel Paese. Quale può essere la risposta della comunità cristiana e con quali modalità corrette?

(Emma): La solitudine è il grande rischio delle famiglie, la grande minaccia, quella che amplifica i problemi. Non è semplice vivere dentro le quattro mura i problemi di una famiglia, che sono tanti, perché oggi la famiglia si trova ad affrontare mille complessità in un mondo che è iperconnesso, complesso con una molteplicità di messaggi che arrivano.  E’ importante aiutare la famiglia a decodificare i messaggi culturali che arrivano e accompagnarla nelle difficoltà che si affrontano nei vari momenti del ciclo di vita della famiglia, dal dopo le nozze all’arrivo di un figlio, dal “nido vuoto” alla crescita dei figli, al tempo dell’adolescenza dei figli. Sono tutti momenti critici che la famiglia affronta e, se non ha il giusto sostegno, può rischiare di perdere la speranza. Il compito delle nostre comunità è quello di essere vicini, essere compagni di viaggio gli uni degli altri.

(Pier Marco): In questo senso sicuramente sono molto positive tutte le reti di famiglie che si creano. Noi abbiamo avuto la grazia di averne una, perché abbiamo creato un gruppo famiglie nella nostra parrocchia e questo ha sostenuto la crescita dei nostri figli, ma io direi anche del rapporto di coppia tra di noi. Perché è inevitabile che poi se non ci si confronta, magari si ingigantiscono anche delle paure, si pensa che certe cose non abbiano soluzione e quant’altro. Invece questa rete di famiglie, noi lo abbiamo riscontrato, può essere salvifica proprio per le famiglie perché da un respiro e soprattutto anche degli strumenti concreti per rendere possibile la vita matrimoniale e la vita familiare. Devo dire che nel nostro gruppo non abbiamo avuto ad esempio finora separazioni, se non un paio di coppie che erano già entrate in difficoltà. Quindi queste reti possono funzionare a livello diffuso, anche a livello parrocchiale, non necessariamente legate a movimenti, e secondo me questo può essere un qualcosa di importante da proporre alle famiglie di oggi.

Torniamo alle parole che ieri sera il Papa ha rivolto a tutte le famiglie e a questo suo invito a vedere la Chiesa “come un buon samaritano che si fa vicino a voi, vi aiuta a proseguire il cammino, a fare un passo di più”. Le famiglie, secondo voi, nella vostra esperienza personale, vedono così la Chiesa?

(Emma): Dipende dall’esperienza che fanno con la Chiesa, dall’esperienza locale. Alcune famiglie trovano nella Chiesa veramente una risposta al loro cammino, al loro percorso, e un accompagnamento. Poi dipende anche dalle offerte che ci sono nel territorio. Altri la sentono lontana dal capire la complessità di quest’epoca postmoderna, in cui sembra che tante strutture valoriali siano saltate. Magari la sentono più lontana, più debole, più fragile, non c’è però un percorso di avvicinamento reciproco sia da parte delle famiglie, che delle comunità. Cioè ci si tiene guardinghi l’uno verso gli altri, in attesa di capire dove sta andando il mondo, perché come dice il Papa questa non è un’epoca di passaggio, ma un passaggio d’epoca che rende i confini meno definiti. E in questo passaggio non è facile fare delle scelte precise, quindi le famiglie si barcamenano un po’, e hanno bisogno veramente di essere incoraggiate. Ma in tutto questo la cultura narcisistica non aiuta.

(Pier Marco): Io penso che la differenza stia proprio nel discorso del Samaritano, che si ferma, si carica l’uomo ferito, spende del suo e porta la persona all’ostello. Se noi pensiamo che il nostro accompagnamento sia semplicemente fare da semafori oppure da segretari e non sporcarci le mani e non avere anche la voglia di metterci in gioco, noi stessi come coppia e come famiglie, non andremo da nessuna parte. E soprattutto non saremo considerati credibili. Il problema più grande è che molte persone vedono ancora la Chiesa lontana, giudicante e parliamo della Chiesa intesa come comunità, non solo come clero, come istituzione. Ci vedono ancora molto giudicanti, molto richiusi in noi stessi, molto autoreferenziali. Bisogna un pò uscire da questo percorso che poi è un circolo vizioso, e questa corresponsabilità preti e coppie può aprire nuovi orizzonti. Perché le coppie sono per forza innestate sul mondo e quindi danno un respiro nuovo anche ai sacerdoti che a volte possono tendere a rinchiudersi nel perimetro parrocchiale.