Suor Brigitte Flourez: tornare alla sorgente per andare sempre avanti

Vatican News

di Giuditta Bonsangue 

Ci siamo incontrate il primo giorno della Plenaria 2022 dell’UISG, Unione Internazionale delle Superiore Generali, alla fine della giornata. Ma la stanchezza non appariva sul volto di Brigitte, per lo sguardo energico e la risata contagiosa. A quel punto non si poteva pensare a troppe domande, ma c’era ancora tanta voglia di ascoltarla:

“Mi chiamo Brigitte, che è il mio nome di battesimo e sono una religiosa. In certi Paesi mi chiamano madre Brigitte”. Inizia così l’intervista a suor Brigitte Flourez, superiora generale delle Suore del Bambino Gesù. “Mi sono consacrata a Cristo per il desiderio di dedicare la mia vita a Lui e agli altri – prosegue -. Sono cresciuta in una famiglia credente che mi ha insegnato a pregare e mi ha trasmesso forti valori sociali. I miei erano impegnati nella vita rurale e hanno avviato processi di trasformazione nel mondo contadino che tuttora permangono. Dunque, sono stata molto fortunata”.

Quando hai compreso che la tua vita era destinata alla consacrazione?

Durante un ritiro spirituale sono stata toccata dall’amore di Gesù. Mi son detta: devo fare qualcosa, ma che cosa? Ho cercato Dio nelle cose che facevo, per capire come potevo muovermi. Non è stato subito chiaro, ma ho deciso di vivere in una comunità, in un quartiere molto povero, molto popolare. Ho scoperto il mio fondatore, Nicolas Barré, solo più tardi.

Come mai la conoscenza del fondatore della tua congregazione è stata tardiva?

E’ perchè noi non siamo nate come religiose, ma come un gruppo di donne laiche impegnate nell’educazione di giovani ragazze. A quell’epoca, nel 1662, eravamo quello che oggi sarebbe considerata un’associazione laicale. Siamo diventate religiose molto più tardi; il padre Barré era troppo fuori dalle righe per la vita religiosa tradizionale. Non eravamo religiose. Attualmente ciò che è importante per noi, è di essere disponibili per quello che siamo chiamate a vivere, all’interno delle diocesi, sotto la guida del vescovo, ma con una grande libertà.

Quando da donne laiche siete diventate suore?

Dopo la Rivoluzione Francese, l’educazione delle ragazze è stata promossa dallo Stato, che ha disposto strutture scolastiche e collegi. Molte Congregazioni sono state fondate per occuparsi di educazione e lo stesso abbiamo fatto anche noi. Noi eravamo innovative nel campo: i nostri collegi erano reputati tra i migliori. Nel 1850 alcuni immigrati spagnoli, vedendo quello che facevamo nelle nostre scuole, ci hanno invitato a fare lo stesso in Spagna. Da loro non c’erano scuole per le ragazze dove si istruisse in modo così personalizzato; vennero da noi per apprendere il metodo educativo molto semplice e allo stesso tempo molto attento alle esigenze delle studentesse. In Spagna, le ragazze venivano formate nei monasteri. Essendo noi solo un’associazione laicale, i vescovi spagnoli per poterci affidare le scuole ci chiesero il riconoscimento da parte della Santa Sede. Quindi per poter ottenere tale riconoscimento ufficiale del nostro Istituto, siamo entrate obbligatoriamente nella definizione canonica di Congregazione religiosa”.

È cambiato molto per voi quando siete diventate una Congregazione?

Sì sotto alcuni aspetti, ma abbiamo fortunatamente mantenuto lo zelo missionario. Anzi, siamo diventate la prima Congregazione ad inviare una donna in Giappone! Era la seconda metà dell’ ‘800 e lei era suor Mathilde Raclot. Una donna straordinaria, audace, e nello stesso tempo legata al proprio Istituto, che riuscì a compiere la sua missione in Asia, al tempo della trasformazione delle Costituzioni del nostro Istituto, quando erano necessarie le autorizzazioni dei superiori per tutto, cosa impossibile in un luogo così remoto. Abbiamo vissuto degli anni in cui eravamo l’eccellenza per l’educazione, ottima per la società del tempo, per le donne della Francia, del Giappone, della Malaysia. A Singapore abbiamo ancora 15 mila allievi e siamo tra i migliori istituti del Paese.

Cos’è successo dopo?

Posso dire che abbiamo fatto tante cose buone, perché c’era la volontà di rispondere ai bisogni del tempo. Ma il nostro fondatore voleva solo questo? Oggi durante la Plenaria abbiamo sentito parlare della vulnerabilità e ho pensato a lui. Dio è così grande, ma si è fatto così piccolo per essere vicino ai più piccoli, nascendo bambino. Per questo il primo scopo e la prima forma di questo Istituto è di essere poveri, come lo è stato Cristo. Ricevere un bambino povero è ricevere Cristo, perché Lui ha detto “Tutto quello che fate per i più piccoli lo fate a me”. Il cuore del nostro carisma è di accogliere il bambino povero e abbandonato, per rendergli la sua dignità attraverso l’educazione e la felicità tramite la fede. È bello questo, no? A volte per fare il bene e rispondere ai bisogni del tempo, si rischia di dimenticare i poveri; per questo è molto importante essere alimentati dalla linfa delle origini. Questa è difficile da ritrovare. E ancora oggi abbiamo questa difficoltà.

Come si può tornare alla sorgente per capire la strada da intraprendere?

Oggi abbiamo parlato di una trasformazione da vivere. Questa è sicuramente la sorgente. Quando sono entrata nell’Istituto ho letto dei testi del nostro fondatore, dirompenti! Non erano compatibili con le regole canoniche che ci erano state imposte. A quel tempo le donne non dovevano far parte della vita pubblica, perché destinate all’ambito del privato. Nella mia formazione, il primo fine dell’Istituto era lavorare per la propria santità attraverso la pratica dei voti religiosi, secondo il quadro canonico dell’epoca. Per il nostro fondatore, Dio ci santifica nel servire con amore i bambini poveri e abbandonati affinché loro diventino santi. È stato un modo per convertirci e trasformarci. Ma è stato difficile. Scusami se lo dico così, ma mi appassiona molto. È un cammino che riprendiamo a percorrere, riappropriandoci dello spirito delle origini, per continuare a trasformarci.