Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Le Eucarestie in streaming, i funerali seguiti al telefono, gli incontri su Zoom o altre piattaforme “per rassicurare, incontrare, essere”. Papa Francesco parte da un ricordo plastico del tempo del lockdown che ha stravolto abitudini e prassi pastorali, nella prefazione del libro “La Chiesa digitale” (Tau Editrice), per incoraggiare all’uso creativo e consapevole del digitale come spazio di presenza della Chiesa per gli uomini e le donne di oggi.
Spazio di incontro e ascolto
Il volume, a cura del giornalista di Tv2000 Fabio Bolzetta, è stato presentato questa mattina nella Sala Marconi della Radio Vaticana dal prefetto del Dicastero della Comunicazione, Paolo Ruffini, e da suor Alessandra Smerilli, segretaria del Dicastero per lo Sviluppo Umano Integrale. Un binomio, la loro presenza, simbolico di una comunicazione che contribuisce allo sviluppo “integrale”, appunto, del singolo o dell’intera società. Che è proprio l’auspicio del Papa, il quale, nel testo introduttivo, ricorda le potenzialità di internet e delle nuove tecnologie: “Anche il web, territorio dove talvolta sembrano prevalere la voce che grida più forte e l’inquinamento delle fake news, può diventare uno spazio dì incontro e dì ascolto”. Lo si è visto chiaramente durante la fase più acuta della pandemia, in cui i social e altri strumenti virtuali hanno aiutato la gente a non sentirsi sola.
La creatività dei preti
In tal senso il Papa, pur riconoscendo “errori ed eccessi”, loda la creatività di tanti sacerdoti che in quei frangenti “si sono ingegnati per mantenere vive le relazioni umane e comunitarie”. E anche “quando questi tentativi hanno messo al centro il messaggio da comunicare, e non il protagonismo del comunicatore, dobbiamo riconoscere che sono stati utili”. L’Associazione dei Webmaster Cattolici Italiani (WECA) – la cui esperienza dei video tutorial per i preti su Chiesa e comunicazione digitale funge da traccia per il libro di Bolzetta – questi sacerdoti negli ultimi due anni li ha incontrati e ne ha raccontato le storie. Preti di ogni età “impegnati, anche attraverso le nuove tecnologie, a mantenere unite le comunità affidate loro”, scrive il Papa. Sono l’esempio dell’assioma più volte ripetuto nel tempo della pandemia: “Da una crisi non si esce mai uguali a prima, si esce migliori o peggiori”. E gli strumenti tecnologici possono essere fortemente utili: “Le reti sociali sono state usate per mantenersi in contatto, per segnalare i bisogni, per non farci sentire soli, per attivare iniziative di carità, per continuare a vederci in faccia in attesa di riabbracciarci. Gli esperti dicono che alcuni dei cambiamenti intervenuti, a motivo dell’uso più frequente della tecnologia per incontri virtuali, sono destinati a rimanere a lungo anche dopo la fine dell’emergenza della pandemia”, afferma il Pontefice.
I giovani, protagonisti di una comunicazione più umana
Certamente un fatto positivo ma, attenzione, afferma il Papa, le novità dettate da una fase eccezionale non possono diventare, almeno nella Chiesa, prassi consolidate: “L’incontro virtuale non sostituisce e non potrà mai sostituire quello in presenza. L’essere fisicamente presenti allo spezzare del pane eucaristico, la carità, il guardarsi negli occhi, l’abbracciarsi, l’essere uno fianco all’altro nel servire Gesù nei poveri, lo stringere la mano dei malati, sono esperienza che appartengono al nostro vissuto quotidiano e nessuna tecnologia o rete sociale potrà mai sostituirle”, afferma Francesco. “Sappiamo che mai il virtuale potrà sostituire la bellezza degli incontri a tu per tu. Ma il mondo digitale è abitato e va abitato da cristiani”, rimarca, “magari da giovani che a partire dalla loro fede domani potranno essere protagonisti di nuove forme di social e di una comunicazione più umana, più capace di ascolto e vera condivisione”.
Ruffini: leggere l’era digitale in maniera non strumentale
Di condivisione e ascolto ha parlato nel suo intervento anche Ruffini, definendo “La Chiesa digitale” un libro “prezioso”, in quanto “guida pratica, ma anche guida spirituale” che “dà gli strumenti per leggere l’era digitale in maniera non strumentale, in un tempo così confuso”. In particolare, il prefetto si è soffermato sui social network e il panorama che essi offrono: da un lato, “facilitano rapporti umani”; dall’altro, “possono portare a polarizzazione e divisioni tra individui e gruppi”. Dinanzi a questo bisogna “scegliere come usarli, per avvicinarsi o allontanarci dal prossimo”.
Così cambia la prospettiva, ma soprattutto la funzionalità delle reti sociali. Il “dualismo feroce” che tutto distrugge, può diventare dialogo; il web da spazio di “spaccio di opinioni per verità” o di “surrogati di pensiero e spirito critico”, può trasformarsi in veicolo per “aiutare la ricerca scientifica, la condivisione della fede, essere antidoto al pensiero unico”. E anche quell’“aurea disincarnata” del digitale che rischia di “distruggere il mondo reale con un non luogo con spazi e tempi annullati”, può invece mutare ed essere strumento per “riscattare le periferie da ogni marginalità” e “unire mondi divisi”. “Non possiamo sotterrare il dono della tecnologia come l’uomo che sotterra i talenti”, ha detto Ruffini, citando la parabola evangelica, “dobbiamo recuperare la capacità di visione come comunicatori”.
Smerilli: serve concretezza
Sulla stessa scia suor Smerilli che ha ribadito la necessità della presenza della Chiesa nel digitale: “Non può, ma deve. Il digitale è reale, è un ambiente dove ci sono le persone e la Chiesa sta dove ci sono uomini e donne, con le loro speranze e angosce”. Il pensiero è soprattutto per i giovani che popolano il mondo virtuale. Il web può essere per loro veicolo di educazione, anche perché “a certi temi, ad esempio di Dottrina sociale, non ci si può abituare a 20 anni, dopo che si è fatto altro. A tre anni già si dovrebbe imparare come si mettono in pratica alcuni principi”, ha detto Smerilli. Da parte sua, anche un invito alla “concretezza”, la stessa che il Papa ha chiesto alla Commissione Covid, nata in seno al Dicastero. “Quando la Chiesa si accosta al digitale, non può farlo solo basandosi sulla teoria”. È la fede stessa a chiederlo, perché, ha affermato suor Smerilli, quando è “veramente vissuta ha bisogno che ci si sporchi le mani”.
Bolzetta: una cultura digitale dell’incontro
In conclusione, Bolzetta ha espresso l’auspicio che il libro ma anche i progetti di WeCa (dei quali si può avere visione cliccando sul QR in copertina del volume) possa contrastare “la tendenza a concepire il digitale come mezzo trasmissione tecnica di dati, laddove può essere spazio per creare una cultura digitale dell’incontro”.